Gli scopritori del lago Rodolfo | ||||||
Manlio Bonati, 23-4-05 | ||||||
Il desiderio della caccia grossa portò in Africa uno sportivo di nobili origini, il conte ungherese Samuel Teleki von Szek. Nato a Sáromberke il l° novembre 1845, studiò alle università di Gottinga e Berlino, dove si dedicò con amore alle scienze naturali e all’astronomia. Non appena terminato il servizio militare, si rivolse con successo alla politica, diventando nel 1881 membro del parlamento. In questo periodo strinse amicizia con il principe ereditario Rodolfo d’Asburgo, figlio dell’imperatore Francesco Giuseppe, che si ucciderà con l’amante il 29 gennaio 1889 a Mayerling. Altra occupazione del Teleki era quella dell’amministrazione dei suoi ingenti beni, parte dei quali utilizzò per organizzare una spedizione scientifica nell’Africa Orientale. Ebbe la felice intuizione di scegliersi come compagno l’austriaco Ludwig von Höhnel, tenente di vascello della Marina imperiale (fu cadetto all’Accademia Navale di Fiume), nato a Presburgo il 6 agosto 1857, esperto in geografia, naturalista d’eccezione e ottimo disegnatore di carte geografiche. Fu proprio il principe Rodolfo che li fece conoscere nel 1886 a Lacroma. A Teleki bastarono pochi minuti di conversazione per capire che l’ufficiale era l’uomo che cercava per il suo viaggio d’esplorazione. In verità il conte sarebbe dovuto partire con un suo amico, il barone Arz, invece lo seguì il tenente Höhnel, che considerò il suo “braccio destro”.
I preparativi occuparono Teleki e Höhnel per molti mesi, poi l’ufficiale si trasferì a Zanzibar, dove arrivò alla fine di ottobre 1886, per adempiere a vari compiti, non ultimo quello di prendere lezioni di swahili. Esattamente un mese dopo fu raggiunto dal Teleki. Si misero subito alla ricerca di un interprete/guida, lo trovarono nell’arabo Jumbe Kimenata, che a sua volta si diede da fare nel reclutare gli uomini occorrenti per la spedizione. Kimenata era pratico di queste cose che elettrizzavano gli uomini bianchi, per essere stato membro della spedizione organizzata nel 1883 dallo scozzese Joseph Thomson (1858-1895), che aveva visitato la zona del Kilimangiaro e del monte Kenya. La carovana era molto numerosa: nove ascari, nove guide, alcune centinaia di portatori, in tutto più di seicento persone. Avevano previsto di stare lontano dalla civiltà per almeno un paio d’anni. Si portavano dietro un po’ di tutto, anche le perline e gli specchi per gli scambi commerciali con i nativi. Il 24 gennaio 1887 calcarono il continente africano. Compito della spedizione era quello di esplorare le località a nord del lago Baringo, territori del tutto sconosciuti pure alle carovane degli schiavisti arabi, e dove si riteneva potesse trovarsi un immenso lago. Naturalmente Teleki e Höhnel iniziarono subito il loro sport preferito, la caccia. Uccisero tantissimi animali. Nel diario venatorio del conte sono registrati quanti animali furono abbattuti: ottantuno rinoceronti, due leoni, settantacinque bufali, trentuno elefanti centosessantadue tra diversa selvaggina ed un numero non quantificabile di uccelli e scimmie. Vantano il triste primato di essere stati i primi bianchi ad aver dato l’avvio alla distruzione della fauna, che un tempo popolava numerosa 1’Africa Orientale. In qualche occasione furono gli animali selvaggi che misero in pericolo la vita degli esploratori, in particolare il conte Teleki quando si trovò nello scomodo dilemma di non sapere se sparare prima ad un rinoceronte oppure ad un elefante che, infuriati, lo stavano caricando contemporaneamente da due differenti posizioni. La sua abilità di cacciatore lo tolse, non senza una bella sudata, da quella critica situazione. Agli inizi di febbraio la spedizione si trovava a Taveta, tappa favorita dalle carovane, villaggio sorto nella foresta e abitato da pacifici indigeni desiderosi di venire in possesso di stoffe, armi e munizioni, perline colorate. Taveta era l’ultimo collegamento con la civiltà. Gli alberi di banani e i vicini ruscelli davano un gran senso di sicurezza ai viaggiatori. Teleki decise di accamparsi in una vicina radura, che distava pochi metri dalla riva sinistra del Lumi. L’accampamento rimase in essere dal 30 aprile al 15 luglio. Per tutto questo tempo visitarono il Chaggaland, esplorarono il monte Meru e raggiunsero il Kilimangiaro. Gli europei guardarono con ammirazione le sue vette innevate. Il solo Höhnel riuscì a salire sino a 5.250 metri e si arrestò nei pressi della sella tra i due picchi, il Kibo e il Mawenzi. Non poté proseguire oltre in quanto una tenace sonnolenza, tipica dell’altitudine, si impadronì della sua testa, mentre dalla bocca usciva un rivolo di sangue. Per evitare l’irreparabile, decise di tornare dove lo attendevano i compagni. Lasciarono Taveta in luglio per dirigersi verso un’altra località importante per le carovane, Ngongo Bagas, sul confine tra i paesi dei Masai e dei Kikuyu. Il 27 agosto il campo di Ngongo Bagas era allestito. Von Höhnel in proposito scrisse: “era una magnifica regione al margine di una foresta fitta, di là dalla quale abitava il temuto popolo dei Kikuyu; verso sud si stendevano vasti pascoli occupati dalle grandi mandrie di bestiame appartenenti ai Masai. (…) Questa è una vera e propria oasi per le carovane del deserto”. Comprarono cibo per parecchi mesi, aiutati da una vecchia donna Masai di nome Nakairo, tenuta in grande stima anche dai Kikuyu. Infatti “è un fatto notevole che le donne di ambedue le parti siano sempre completamente al sicuro, nonostante la perenne inimicizia tra i due popoli”.
Il 7 settembre si rimisero in viaggio guidati da Kassa, un vecchio Kikuyu. In un primo tempo questo popolo si mostrò cordiale con i componenti della numerosa carovana, tanto da avvicinarsi per vendere canna da zucchero, tabacco, cibo, ma in seguito cambiò atteggiamento. Un giorno Höhnel, che stava sempre di retroguardia, si incontrò con Teleki che gli raccontò “che il suo gruppo era stato circondato da centinaia di guerrieri che gli sbarravano il passo ordinandogli di fermarsi, e che erano stati persuasi non senza difficoltà da alcuni capi a tenersi indietro. Questo comportamento era tanto inaspettato quanto poco gradito, ma mantenemmo la calma”. Innalzarono le tende in mezzo ai Kikuyu ostili, che iniziarono a scagliare frecce contro gli stranieri. Gli europei smorzarono le idee bellicose degli avversari mostrando cos’erano capaci di fare i loro fucili e lanciando a notte alta nel cielo, di tanto in tanto, un razzo per mantenere nel terrore gli indigeni. La marcia, comunque, proseguì senza che l’indole bellicosa dei locali si attenuasse. Infatti alcuni giorni dopo la carovana fu attaccata. Seguiamo il racconto di Höhnel: “Improvvisamente udimmo un colpo, poi un altro e un altro ancora, finché si udì risuonare una vera scarica che veniva dalla direzione dell’avanguardia. Guardammo dietro di noi, appurammo che eravamo ben protetti alle spalle e che pochissimi indigeni ci avevano seguito. Tutto il pericolo era perciò davanti; in quel momento vedemmo gli indigeni ritirarsi e fummo in grado di partecipare allo scontro. Il conte Teleki mise presto in rotta completa il nemico; gli assalitori fuggirono come il vento davanti a lui, in ogni direzione”. Per tutto il tempo che ci volle per attraversare il territorio dei Kikuyu, questi scortarono a migliaia la carovana. Per fortuna i guerrieri furono inoffensivi, anche se pieni di terrore nervoso per gli stranieri. In settembre, in una giornata sgombra di nuvole, poterono ammirare “dall’alto di una cresta un grandioso panorama di tipo alpino, che da tanto tempo desideravamo invano di vedere”. Più lontano era visibile il monte Kenya, che ha l’aspetto di una piramide tronca. Vi si diressero senza indugio e il 18 ottobre iniziarono la salita del monte. Superarono senza difficoltà la fascia boscosa, ma poi all’altezza di duemilatrecentosessanta metri trovarono una barriera di bambù, che poterono attraversare soltanto per aver scoperto dei passaggi praticati da elefanti e da bufali. Il 20 si lasciarono alle spalle i bambù; a quota tremiladuecento gli alberi divennero rari. Questa volta l’ascensione la fece il solo Teleki, Höhnel era malato e dovette restare al campo base a tenere a bada i Masai, che se la prendevano con lui per il semplice fatto che non pioveva, mentre lo stregone bianco (ossia Teleki) aveva promesso loro che la pioggia sarebbe caduta. Il tenente si cavò dai guai quando gli venne in mente di affermare che lo stregone bianco era salito sul monte Kenya per parlare con il loro dio Ngai appunto per chiedere che piovesse. Intanto il conte il 22 ottobre raggiunse la sua massima quota, 4.680 metri. Era impossibilitato a proseguire ancora fino a raggiungere le nevi eterne, invalicabili per i mezzi che erano a sua disposizione. Di questo territorio Höhnel disegnò una carta geografica minuziosa e precisa. A questo punto i loro sforzi erano diretti a raggiungere il Baringo, uno dei tanti laghi della Great Rift Valley. Non avevano, però, previsto un nuovo terribile nemico: la fame. Il territorio, che si offriva ai loro occhi, era afflitto dalla carestia e dalle malattie. Dovunque incontravano indigeni affamati e cadaveri insepolti. La caccia non era sufficiente a colmare la fame della numerosa carovana, che era in continuo contatto con la morte. Il 10 febbraio 1888 giunsero al Baringo “che copre circa trecentosessanta chilometri quadrati con le sue isole, baie e golfi”. Intanto Höhnel si era ammalato gravemente di dissenteria, che rischiò di ucciderlo. La situazione per gli uomini non era certo migliore: erano rimasti in duecentotrentotto, tutti gli altri erano morti oppure avevano disertato per fare - probabilmente - una brutta fine. Almeno l’acqua del Baringo era dolce e bevibile! Si riposarono per rimettersi in forze, poi di nuovo in marcia. I giorni trascorsero con i problemi di sempre, quando la mattina del 4 marzo incontrarono un indigeno che si meravigliò di vedere tanta gente in quel luogo. Una guida traduceva quanto il negro andava dicendo: informò che il lago grande non era distante, ma che lì non c’era erba per il loro bestiame. Nessuno gli credette, in quanto dove c’è acqua intorno vi nasce l’erba. Più tardi salirono sopra la sommità di una montagna e dall’alto videro la “scintillante distesa azzurro scuro del lago, che si prolungava a vista d’occhio. (…) In quel momento tutti i nostri pericoli, tutte le nostre fatiche furono dimenticati nella gioia di vedere finalmente coronato dal successo il nostro viaggio d’esplorazione. Pieno d’entusiasmo, ricordando con gratitudine il generoso interesse dimostrato fin dal principio ai nostri piani da Sua altezza reale e imperiale il principe Rodolfo d’Austria, il conte Teleki chiamò lago Rodolfo lo specchio d’acqua incastonato come un perla di gran valore nel meraviglioso paesaggio sottostante”. Il 5 raggiunsero le sue acque che, a dispetto di tutti i presenti, si rivelarono salate. Ecco spiegato il motivo per cui la vegetazione era così scarsa! “A tutto ciò si aggiungevano il calore bruciante e il vento che soffiava senza posa trasportando sabbia”. I due europei si accorsero che le acque del lago Rodolfo contenevano soda, perciò ne misero qualche litro in un recipiente nel quale versarono una piccola quantità di acido tartarico. L’acqua divenne effervescente e poco dopo si poté bere. Per lo meno non si rischiava dl morire di sete. La spedizione risalì la sponda orientale del Rodolfo, assicurandosi che nessun fiume sfociasse oppure avesse origine in quella riva. Ora a Teleki importava sapere se esisteva il secondo lago di cui aveva sentito parlare. La sua curiosità fu premiata il 14 aprile quando avvistò la distesa d’acqua che battezzò lago Stefania, in onore di sua altezza imperiale l’arciduchessa consorte del principe Rodolfo. Höhnel ricordava con queste parole l’avvenimento: “con tutti i mezzi a nostra disposizione, noi e gli uomini celebrammo come meglio ne fummo capaci questo giorno, in cui avevamo raggiunto l’ultima meta della nostra lunga spedizione. Ci preparammo una ciotola di bevanda spumeggiante, composta soltanto, è vero, di miele, acqua, acido tartarico e acido carbonico distillato due volte, ma dal gusto delizioso, e la svuotammo con un entusiastico hip, hip hurrah! in onore della coppia principesca, i cui nomi abbiamo il nobile privilegio di associare a tutte le scoperte geografiche della nostra ardua impresa”. Anche il lago Stefania è salato per l’assenza di emissari e per l’evaporazione che tiene sempre livellata l’acqua entrata nel lago.
Ormai era tempo di ripercorrere la strada già fatta. Il 24 ottobre 1888 videro Mombasa e l’Oceano Indiano. L’eccitante avventura era conclusa, ma la passione per la caccia era ben salda nei cuori dei due esploratori. Infatti il 15 febbraio 1889 si trovavano ancora in Africa e precisamente in Harar quando il nostro esploratore Luigi Robecchi Bricchetti (1855-1926) li incontrò. Da Aden per Zeila avevano per l’appunto fatto una sosta in Harar per cacciare gli elefanti, desiderio che invece non poterono realizzare per motivi di salute. Il Robecchi Bricchetti stette con loro qualche giorno, fin quando non si rimisero in sesto per ritornare a Zeila e salire sulla prima nave che potesse condurli in patria. Nel 1892 von Höhnel diede alle stampe due volumi, pubblicati a Vienna, con il resoconto del viaggio, tradotti poi in lingua inglese nel 1894 e editi a Londra con il titolo Discovery by Count Teleki of Lakes Rudolf and Stefanie. Höhnel nel 1892/1894 fu nuovamente in Africa, questa volta con l’americano William Astor Chanler, con cui esplorò il fiume Uaso Ngiro, le sergenti del fiume Mackenzie, uno dei grandi tributari del Tana, e il lago Lorian. Anche questa spedizione ebbe molti problemi, lo stesso von Höhnel fu ferito da un rinoceronte e dovette prendere la strada del ritorno. In Austria si distinse nella carriera militare: nel 1899 fu promosso capitano di corvetta; ebbe l’incarico di aiutante di campo di Francesco Giuseppe; nel 1903 diventò capitano di fregata; nel 1905 espletò mandati politici ad Addis Abeba presso l’imperatore Menelik. Visse ottantaquattro anni, la morte lo colse il 23 marzo 1942 a Vienna. Il conte Teleki lo aveva preceduto già dal 10 marzo 1916, quando chiuse per sempre gli occhi a Budapest.
Bibliografia: Monty Brown, Where giants trod. The saga of Kenya’s desert lake, Quiller Press Ltd, London, 1989. Diari di esploratori dell’Africa Orientale 1843–1929, a cura di Charles Richards e James Place, Longanesi & C., Milano, 1971. Pascal James Imperato, Quest for the Jade Sea. Colonial competition around an east african lake, Westview Press, Boulder, 1998. Ludwig Ritter von Höhnel, Over Land and Sea. Memoir of an Austrian rear admiral’s life in Europe and Africa 1857-1909, a cura di Ronald E. Coons e Pascal James Imperato, Holmens & Meier, New York, 2000. Angelo Umiltà, Gli Italiani in Africa. Con appendici monografiche su esploratori e personaggi che calcarono il suolo africano dal 1800 al 1943, a cura di Giorgio Barani e Manlio Bonati, T&M Associati Editore, Reggio Emilia, 2004. | ||||||