Il mondo sommerso delle Dahlac Nicky Di Paolo e Alberto Vascon L’Eritrea è un paese bellissimo che si affaccia sul Mar Rosso, anzi è più corretto dire che si affaccia sulla parte più bella del Mar Rosso in quanto ai mille chilometri circa di spettacolare costa litoranea che questa nazione possiede, sono da aggiungere circa 2000 chilometri perimetrali propri di due incantevoli arcipelaghi: quello delle Dahlac che si trova proprio di fronte a Massaua e quello di Hauachil, ad est della penisola di Buri. Sono poche le isole che possono rivendicare per superficie e per assetto geologico la dignità di tal nome; buona parte sono atolli, altri semplicemente sono scogli, molti dei quali compaiono e scompaiono con l’avvicendarsi delle maree che alzano e abbassano, due volte al giorno, il livello delle acque di circa un metro. Mare pericoloso quindi per chi lo solca, specie con barche che hanno una carena che pesca più di un metro. Per togliersi la curiosità della bizzarra geometria di questi arcipelaghi, basta dare un’occhiata dal satellite, utilizzando uno dei programmi di Google, e ci si renderà conto di come madre natura sia stata benevola verso gli eritrei. Dalle isole grandi, fino alle più piccole, si può valutare il continuo, inarrestabile, lento, ma stupefacente lavoro che le madrepore, i costruttori della barriera corallina, hanno svolto negli ultimi 500 milioni di anni. Le madrepore si sviluppano in acque marine che non scendono mai sotto i 25 gradi, evenienza climatica che si realizza solo ai tropici. Le madrepore, o coralli costruttori, hanno un ciclo vitale relativamente veloce, e dopo la morte permane integro l’esoscheletro saldato a quello di tanti altri organismi vicini, e tutti insieme vanno a costituire la struttura rocciosa del reef, per la maggior parte formata da calcio e magnesio. Reef vuole dire scogliera ed è la prima entità a formarsi nei pressi della costa di un mare caldo. Una volta che ha preso forma, il reef tende ad allontanarsi dalla costa formando lagune e barriere coralline che a loro volta daranno origine agli atolli. Il tutto costruito con malta e cemento di sintesi organica. I continui intrecci tra reef, barriere coralline, lagune, scogli e spiagge, solo in apparenza disordinati, danno luogo ad un ambiente unico nel suo genere, senza mai ripetersi nella sua vastità, senza mai appagare la curiosità del visitatore che rimane subito intrigato da quelle ineguali bellezze. Visitando le Dahlac in sambuco, l’imbarcazione ancor oggi da consigliare per andare a zonzo fra le isole eritree, si incontra tutto quello che l’amante del mare agogna trovare. Spiagge bianche di rena finissima, create dal movimento dell’onda sulla madrepora, delimitano lagune di un mare trasparente dove distese di diamanti rifrangono il verde della luce in altrettanti piccoli specchi. Spiagge dove non esistono orme umane, ma solo quelle delle tartarughe, dei paguri e dei granchi, ma anche di tante varietà di uccelli marini. Fra questi ultimi c’è il falco pescatore, in estinzione nel resto del pianeta. Mare da vedere, troppo difficile da descrivere. Gli abitanti delle coste del Mar Rosso hanno imparato ad utilizzare il reef, debitamente squadrato, come materiale da costruzione; intuizione quanto mai felice in quanto i mattoni di reef hanno un potere isolante estremamente più elevato della pietra o del mattone; quindi le case di Massaua, di Assab, quelle antiche e abbandonate di Suakin, ma pure quelle della Jedda antica sono costruite con blocchi di madrepora che, oltre ad essere belli, hanno il pregio di opporsi ai dardi infuocati del sole. Sono in tanti ad aver scritto sugli arcipelaghi eritrei: fra gli italiani basterà ricordare Gianni Roghi e Vincenzo Meleca che hanno visitato più volte l’arcipelago delle Dahlac, lo hanno imparato a conoscere, ma soprattutto lo hanno amato. I tramonti e le albe, risentendo di microvariazioni di clima che si vengono a formare in piccoli ambienti così diversi uno dall’altro, danno origine a spettacoli tanto stupefacenti quanto sempre diversi che si susseguono, generando, in ogni punto di questo seducente arcipelago tropicale, meraviglia e commozione. Non è raro alle Dahlac il fenomeno della fata morgana che riproduce nel cielo mari e isole incantati . Se tutto all’esterno è magia, sotto pochi metri di acqua dai colori tendenzialmente verdi si cela uno degli spettacoli più stupefacenti ed emozionanti che l’uomo possa ancora oggi ammirare. Il reef è una struttura vivente unica nel suo genere; è un fantastico acquario dove tutto ciò che si vede è vitale: le pareti, il fondale, gli anfratti, le grotte sommerse, sono tutti formati da madrepore, le più antiche situate in profondità con la sola funzione di sostegno, le più giovani ricolme di vita e intente a svolgere la loro funzione riproduttiva. E’ uno spettacolo da non perdere. Per fare questo è necessario immergersi con maschera, pinne e boccaglio e attuare lo snorkelling, sport diffusissimo da quando le barriere coralline sono state aperte al turismo internazionale. Le isole eritree sono ancora vergini, fin ad ora non sono state mai lambite dal turismo di massa. Forse per questa ragione sono ritenute le più belle e il loro reef più spettacolare e misterioso. Vi proponiamo le immagini di alcuni esseri che abitano la barriera corallina delle Dahlac, invertebrati e vertebrati, molti di loro “costruttori” dello stesso reef. In aggiunta le foto di alcuni dei pesci che vivono in questo straordinario ambiente dove tutto è spettacolare, dalle piccolissime strutture fino ai più grandi predatori, dove tutto è armonia, colore, vita, magia, e tanto fascino. In quelle acque sopravvivono esseri in via di estinzione come il dugongo, mentre la salinità di quel mare è la più alta al mondo. Tralasciamo volutamente di porre sotto le belle immagini, gentilmente concesse da Guido Garosi e Costanza Negrini, le didascalie in quanto, a nostro avviso, turberebbero l’essenza della visione di questo mare incantato mentre indirizziamo il lettore interessato a consultare testi di biologia marina.
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