Sulle tracce di Nesbitt

(ma più comodamente...)

Valeria Isacchini, 18-7-08

 

 

Ma perché diavolo ‘sti esploratori non scrivevano mai le coordinate dei posti?” si chiedeva perplesso e un po’ seccato Gianmarco Russo, mio compagno di viaggio, alle prese con GPS e mappe, mentre, tra febbraio e marzo di quest’anno, a distanza di ottant’anni, cercavamo in Dancalia di ricostruire almeno alcune tappe del percorso che Nesbitt, Pastori e Rosina avevano fatto nel 1928. Altro che coordinate, manco le date scrivevano…

Il nostro vademecum era “La Dancalia esplorata[1], ovviamente in un’ edizione con robusta legatura amatoriale portata da Gianmarco, dato che nessuno di noi due avrebbe osato portare con sé la propria edizione originale in brossura con sovraccoperta, per timore di rovinarla nel viaggio.

Ho provato a riguardare il testo di Nesbitt, per capire quando esattamente ha iniziato il suo percorso attraverso la Dancalia: è una serie di “il mattino dopo”, “dopo alcuni giorni”, “l’indomani alle prime ore” e così via, finché finalmente veniamo informati che “un bel giorno tutto fu pronto” e che i tre europei, con una decina di locali, quindici cammelli e quattro muli, lasciarono la stazione di Auasc, o Aouache, come preferisce scrivere il capo-spedizione. Il quale ci informa sull’orario, le cinque e mezzo del pomeriggio, ma non sul giorno della partenza![2] Forse, con “british understatement” considerava un inutile appesantimento annoiare il lettore con tali dettagli, che avrebbero potuto far sembrare quella una data storica… E meno male che a un certo punto, in pieno itinerario, almeno cita il suo compleanno, 6 giugno 1928[3] .

 

Della sua sosta alla stazione, a cui i tre esploratori erano ovviamente arrivati in treno, Nesbitt ci lascia invece ampi particolari, che ci danno informazioni  sui numerosissimi e famelici gatti, sulla flora del giardino, sulla struttura dell’albergo. E l’albergo, gestito dalla leggendaria Madame Kiki, oggigiorno non è granché cambiato. Certo, il giardino non appare curato come un tempo, quando Nesbitt  descriveva l’“ampio giardino tenuto a perfezione e pieno di fiori splendidi dai colori più esotici immaginabili”, anche se, nell’aridità e nella polvere del paese, è comunque un momento di ristoro per lo sguardo.

 

Il giardino dell'albergo

 

“Un  tratto vuoto tra due corpi di fabbrica, era unito da una amplissima pergola di fiori rampicanti, che formavano un intreccio così fitto da impedire che mai vi penetrassero i raggi del sole. Sotto codesto cielo di verzura, il suolo era cementato ed era pieno di tavoli allineati [...]

Oddio, sono rimasti il cemento e i tavoli:

 

Il pergolato

 

 La pergola girava anche attorno a due lati di un fabbricato, quello adibito a dormitorio di seconda classe […]

Ancora oggi la pergola ombreggia le stanze degli ospiti; anche se magari preferiamo pensare il tutto  rredato da sedie e tavoli di vimini e giunco, anziché con mobili di plastica.

 

La pergola

 

L’albergo si chiamava “Buffet”, ci dice l’esploratore anglo-italiano, e tale nome è rimasto nel cartello un po’ sgangherato e nel masso che nella stazione del paese danno indicazioni sulla possibilità di un punto di ristoro. Ristoro per chi?

 

 Il cartello dell'albergo

 

Si tratta di una stazione di un’altra dimensione, sempre – o quasi – deserta, sempre – o quasi- in attesa di un convoglio che chissà mai se e quando arriverà,  una stazione rugginosa che sarebbe piaciuta alla fantasia inquietante di Dino Buzzati. Un luogo dove aspettare, nella foschia del caldo,  l’assai improbabile arrivo dei Tartari. La staziòne dei Tàrtari. Suona bene.

 

Stazione Auasc, sulla linea ferroviaria Addis Abeba - Gibuti

 

E non possiamo purtroppo fotografare lo splendido ponte ferroviario in ferro, francese, alto sopra la strada e sopra la gola del fiume Auasc, “magnifico esponente dell’ingegneria in quel luogo selvaggio”, perché truci sentinelle si ostinano a difenderne la strategica visuale, alla faccia di Google Earth.  D’altra parte, una qualche ragione ce l’hanno: siamo sulle orme della spedizione Nesbitt, perbacco! e si sa che in quella occasione Tullio Pastore aveva ricevuto dai servizi segreti  l’incarico, passandoci, di osservare molto, molto attentamente quel ponte,  per individuarne i punti deboli, nel caso in futuro si fosse presentata la necessità di farlo saltare.[4] Non si sa mai che non prendiamo troppo alla lettera  il nostro “gioco”….

 

Il testo di Nesbitt ci accompagna lungo il percorso Sud-Nord; ancora adesso si seguono sostanzialmente le stesse tappe, e non ho certo intenzione di presentare come avventuroso ed irto di pericoli  un itinerario che al giorno d’oggi chiunque abbia un minimo di disponibilità a qualche disagio può fare tranquillamente in 4x4, con pochi giorni (e non  a piedi,  per mesi…).  Può sorprendere che l’ingegnere minerario Nesbitt, esperto di geologia, abbia evitato la leggera deviazione verso il vulcano Erta Ale; d’altra parte, il suo obiettivo era l’attraversamento e la mappatura parziale della Dancalia, non la visita a luoghi paesaggisticamente suggestivi; e una deviazione di anche pochi chilometri in quei luoghi, senza sorgenti, poteva rivelarsi disastrosa.

 

Ci fermiamo lungo la strada per chiedere ai pastori ed ai locali notizie sul punto in cui Nesbitt dice di avere identificato la località dell’eccidio Bianchi. Mostriamo le immagini e gli schizzi che Nesbitt ha lasciato nel suo testo, e che sembrano sorprendere e divertire i locali, nonostante la leggendaria (e ancora confermabile) astiosità, o almeno sospettosità estrema, degli Afar.

 

A Guia mezzo villaggio partecipa alle discussioni sull’identificazione della località dell’eccidio Giulietti–Biglieri, dato che ci piacerebbe anche raggiungere il luogo identificato da Raimondo Franchetti (ma su questo poi siamo costretti a soprassedere, sia per i tempi, sia perché ci viene sconsigliato, anzi sostanzialmente proibito, di allontanarci dalla pista). Io, pur curiosa come una gazza, sono costretta a starmene “tranquilla” da parte, perché, a quanto pare, la presenza di una donna alla conversazione bloccherebbe qualsiasi trattativa – chissà se è poi vero, e non è una scusa di Gianmarco (sapete, il ruolo di maschio dominante, ecc...)-.

A Guia però, mostrando le illustrazioni del libro, otteniamo qualche notizia sulla località in cui Nesbitt ha ritenuto di identificare il luogo della strage della spedizione Bianchi. Proseguiamo lungo la pista finché raggiungiamo un ponte sul Tio, in località 12° 47’183” N - 41°07’484” E,  a -33 mt. slm (+/- 8 mt). Lasciamo l’auto e scendiamo nel greto asciutto del fiume; subito dopo il ponte, verso Nord, gli argini sono bassi e piatti, ben diversi da quelli disegnati da Nesbitt, verso Sud, invece, già a poche decine di metri dal ponte, il profilo degli argini è di pareti alte, verticali. Forse ci siamo.

 

 

Il torrente Tio, sulla strada per il lago Afdera

 

Il luogo dell'eccidio Bianchi secondo Nesbitt

 

Dico “forse”, ovviamente: sia perché la nostra ricostruzione si basa su dati che possono essere vaghi (il letto dei fiumi cambia, anche se qui gli argini, e le proporzioni tra argini e persone, mi sembra siano  decisamente molto simili), sia perché, da quanto mi risulta,  non c’è alcun riscontro, a parte quanto scritto da Nesbitt, che sia stato effettivamente  quello il luogo dell’eccidio. Nesbitt stesso dichiara di avere saputo la cosa “da qualche mezza parola e da certe contraddizioni”.[5] Insomma, nessuno probabilmente avrà mai la certezza di dove siano stati massacrati Bianchi, Monari, Diana, e i loro aiutanti indigeni.

 

 

[1] L. M. Nesbitt, La Dancalia esplorata (Etiopia orientale), Milano, Bemporad, 1930.

 

[2] La spedizione era partita il 13 marzo 1928, ma ci viene detto non da Nesbitt, ma dal prefatore, l’ing. Luigi Luiggi, Senatore del Regno.

 

[3] L. M. Nesbitt, cit., p. 345.  Solo dopo tre pagine, con perfetto understatement  britannico, ci informa che si trattava del suo trentasettesimo compleanno.

 

[4] A. Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale –La conquista dell’Impero, Mondadori, 1999, (I. ed. Laterza 1979), pp. 36-37

 

[5] L. M. Nesbitt, cit., p. 358

 

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