Fra due ineguagliabili mostre espositive, Asmara è stata la capitale del lavoro italiano |
Enrico Mania, 4-1-07 |
Lo sviluppo e il declino di 700 imprese dovute, in assoluta buona parte, a imprenditori italiani: la M.A.P.E. fu l’attestazione nel periodo del bisogno per il II conflitto mondiale; la “National Expo” fu la grande vetrina dell’intraprendenza per la conquista dei mercati vicini e più lontani, caratterizzata dalla stessa matrice propositiva. |
Sono trascorsi trentasei anni, passando dal Diciannovesimo secolo e superando con una disinvolta allegria più di un quinquennio del nuovo millennio. Eppure, malgrado tanti anni, l’Expo di Asmara viene ancora ricordata e, parlando con amici del tempo che fu, con estrema simpatia si scava e si amplifica e si richiama alla memoria una delle manifestazioni largamente condivise e ben riuscite. Si celebrava, infatti, la piena riuscita del “miracolo” di assicurare, in tempo di guerra, le necessità agricole del momento. E, prima ancora di addentarmi a parlare di queste esibilizioni, devo ricordare un amico che, in questi giorni, è venuto a mancare. Si tratta dell’ex presidente del Comitato esecutivo proprio della “NATIONAL EXPO” di Asmara, Tesfajohannes Behre, già vice governatore generale dell’Eritrea, morto in Gran Bretagna, nel suo esilio di Londra. Inoltre, già nel pieno della strisciante rivoluzione etiopica, aveva assunto, il 26 agosto 1974, le funzioni di ministro delle Miniere nel governo capeggiato da Micael Imrù, uomo di alto prestigio morale e figlio del ras Imrù Haile Sellassie, principe di larghissima popolarità. Tesfajohannes Behre, presidente del Comitato esecutivo della “National Expo” e vice governatore generale dell’Eritrea, prima di assumere, ad Addis Abeba, già nel pieno di una strisciante rivoluzione delle FF. AA., il 26 agosto del 1974, le funzioni di ministro delle Miniere nel governo presieduto dal primo ministro Micael Tesfajohannes, è stato per me un amico ma, soprattutto, era un sincero amico degli italiani, senza riserve. Lo provano i numerosi accordi conclusi, privatamente e pubblicamente, con italiani, senza condizione di censo o di professione. D’altronde rimane, oltre al ricordo, l’amore di quella città, palcoscenico delle biennali mostre, passate sotto l’insegna dell’EXPO. Era l’Asmara, insomma, del lavoro che più volentieri si ricorda e più facilmente si interpone fra le immagini, piuttosto arrugginite, della nostra età. Si, perché in quella città abbiamo trascorso un periodo stupendo, ma anche passato, malamente, i nostri verdi anni. Comunque, non soltanto della manifestazione più vicina nel ricordo, ma anche di quella più distante. Ormai, da quest’ultima, è trascorso un abbondante sessantennio. Dal punto di vista economico, la distanza fra le due manifestazioni (la prima del 1943 e la seconda nel 1970), notevole nel tempo, fu relativa nel grado di importanza: a mio parere le due fiere furono assolutamente grandi. Forse rimangono delle riflessioni diverse sul lavoro consumato in terra africana dalla comunità italiana, collegando la prima ad un periodo tragico per il mondo (il secondo conflitto mondiale) e, la seconda, ad un fine diverso, più legata ai mercati di assorbimento e la visione di una espansione economica. Il filo conduttore, però, delle due esposizioni trascende la semplice elencazione di cifre e, pertanto, si congiunge una verità identica: una forza del lavoro esemplare. La “M.A.P.E.”, tuttavia, ha avuto una valenza maggiore di quella dell’ultima mostra degli anni Settanta dovuta alla particolare situazione in cui si formulava il processo di trasformazione politica del territorio. C’era ancora la guerra, stavano per nascere i primi sommovimenti politici, c’era una instabilità generalizzata ma, soprattutto, si voleva raggiungere (e largamente superare) precisi obiettivi: l’autonomia alimentare. Va ricordato anche che in quel tempo nell’Eritrea era stato ammassato un notevole numero di profughi, costituito in larga misura da anziani e da donne e bambini italiani provenienti da varie parti dell’Etiopia, oltre che da donne e bambini provenienti dalle isole di Malta, bersagliate quotidianamente dai bombardamenti aerei. I centri dell’Eritrea, oltre ad Asmara, furono in grado di ospitare quella massa umana che creava problemi logistici in quanto la popolazione autoctona, per il fenomeno dell’urbanizzazione, non era in grado di soddisfare tutte le esigenze che la situazione richiedeva. Occorreva disporre dei quantitativi di derrate alimentari per sfamare la popolazione residente e quella aggiunta. Il risultato ci fu, e fu anche il tracciato riversato a piene mani su un ideale percorso: la volontà di fare, di costruire, di risolvere i problemi. In altri termini: di lavorare con un pizzico di entusiasmo. C’era, se mi è concessa la trasposizione giusta, un’atmosfera che si è verificata anche in Italia nella ricostruzione del Paese, che è stato poi definito “miracolo”. In Eritrea c’era stato lo stesso effetto “miracoloso”. La Mostra delle Attività Produttrici dell’Eritrea del ’43 fu un grande successo. Molti italiani, per il lavoro intrapreso nelle campagne, evitarono di finire nei campi di prigionia, e altri ancora uscirono dal campo di concentramento. Sulla bilancia il peso maggiore era dato dal loro comportamento esemplare. E gli inglesi manifestarono apertamente il loro apprezzamento per la collaborazione avuta ma anche per ciò che erano riusciti a compiere nel campo delle attività agricole e nelle fatiche artigianali. Certamente, si lavorava per trarne il proprio profitto. La mostra esaltava, esemplificata nella “Mole” torinese di carta pesta, proprio tutto ciò. L’ultima mostra delle attività economiche dell’ Eritrea si svolse, invece, il 29 gennaio 1970. Cinque anni dopo c’è stato esodo, quasi totale, degli italiani, in una situazione totalmente diversa. Le due rivoluzioni (l’eritrea e l’etiopica), pur essendosi abbeverate alle stesse fonti ideologiche, erano totalmente diverse e, quindi, distaccate sul piano nazionale. Il periodo dello scontro fra i due contrapposti schieramenti fu piuttosto cruento, causando alla fine l’ irreversibile distacco dell’Eritrea. Questo fu l’ultimo arco di tempo in cui la comunità italiana era ancora presente e, ovviamente, consistente in iniziative economiche. Ma era ormai una situazione diversa, anche se c’era sempre da tenere presente che le proprie radici erano state trapiantate molto tempo prima. Una generazione di quarantenni si era in parte sostituita e subentrata agli agricoltori e agli artigiani del ’43 in veste, ormai, di imprenditori, di professionisti, di innamorati di quel lembo di terra che ha visto fiorire iniziative economiche d’avanguardia. Non si produceva, in quella terra, soltanto per consumare, ma per esportare non soltanto nei paese viciniori, per avviare la pregiata produzione ortofrutticola verso la ricca Europa, con navi frigorifere e a mezzo di aerei cargo. Una produzione, insomma, che destava ammirazione e invitava a moltiplicare le iniziative delle industrie di alto livello, tanto che si parlava apertamente di una vocazione industriale. Aggiungerò un particolare, come capo dell’ufficio stampa e autore del libro “UNA RAGIONE IN PIU’ PER IL PROGRESSO” che, nelle didascalie delle numerose foto di industrie e attività economiche inserite nel testo, pubblicato in tre lingue (amarico, inglese e italiano), la maggiore difficoltà fu quella di evitare una prevalenza di industrie dell’Eritrea (nel territorio erano considerate, ripeto, 700 le attività a carattere industriale). Dunque, per evitare segni di conflittualità centrale e periferica, sempre in agguato, ma soprattutto per scongiurare le illazioni di natura politica, in un lavoro di esaltazione delle iniziative dell’imprenditoria indirizzate allo sviluppo economico, si decise di depennare la città e il luogo dove l’attività si svolgeva. A questo punto ritengo che sia opportuno inserire, prima che si arrivi alla “National Expo 1970”, alcune note per quanto si era fatto per allestire l’”ASMARA EXPO 1969’”, divenuta la base di partenza per la più completa edizione della fiera “NAZIONALE”. Ricordo che l’obiettivo era quello suggestivo, e pieno di incognite, di giungere alla definizione giuridica della “ASMARA INTERNATIONAL EXPO”, cioè creare i presupposti, e ottenere i crismi giuridici, per una fiera ”internazionale” all’Asmara. Purtroppo, l’ambizioso progetto ci venne respinto dai ministri del Governo, adducendo che il progetto di realizzare un esposizione permanente “internazionale” ad Addis Abeba, era più adatto, per i suoi richiami internazionali già esistenti (Organizzazione dell’Unità Africa e sede della Comunità economica africana). Pertanto all’Asmara si concedeva, in linea subordinata, la “nazionale” soltanto. Comunque, l’Asmara National Expo del 1970 aveva già raggiunto i circa 200.000 metri quadrati di superficie espositiva, attorno al Padiglione centrale e una grande fontana nel piazzale antistante l’ingresso principale. Nell’area circostante erano stati realizzati altri padiglioni espositivi destinati all’area per i servizi del governo, per il commercio, per la piccola e media industria e, più lontano, un padiglione prefabbricato proveniente dal Kenia, ove era stato ospitata la mostra “ITALIA PRODUCE”, offerto dall’Italia, per la sezione dell’’agricoltura. Le maggiori industrie del territorio rappresentate dai rispettivi titolari o da dirigenti designati dai rispettivi organi esecutivi, erano membri del Comitato esecutivo, presieduto dallo scomparso Tesfajohannes Behre, con il quale c’era una sintonia esemplare nell’attuare il programma biennale dell’ente fieristico asmarino. Programmi che concordavano pienamente con quelli degli industriali, ai quali era assicurata piena autonomia nei loro progetti. Ad esempio, la “Birreria Melotti” aveva realizzato, all’interno della fiera, un proprio edificio, dove nel vasto salone poteva essere mostrata la famosa birra, molto gradita in tutto il paese e nei paesi viciniori, i liquori, e i prodotti che uscivano dalla vetreria; il “Cotonificio Barattolo” non era da meno: nella piantagione di Ali Ghidir, nei pressi di Tessenei, si produceva cotone in notevole quantità, sia per le industrie di maglieria di Asmara, che per l’esportazione; ovvio che la “ELABERET ESTATE” non sarebbe stata da meno, ma guida al suo settore agro-industriale, aggiunta alla “GHINDA ESTATE”, il cui progetto era in avanzata fase di realizzazione e alla quale toccava imitare lo stessa schema della “Elaberet” per la produzione e trasformazione della produzione agricola propria. Inoltre, aveva una caratterizzazione socialmente più marcata: la partecipazione, per un terzo del capitale, della popolazione. E dove, la popolazione, sarebbe riuscita ad avere la disponibilità finanziaria, visto che non disponeva di alcuna fonte primaria, innanzi tutto delle banche, per ottenere un credito senza una valida contropartita? L’indicazione fu inventata, e pianificata, dallo stesso Guido De Nadai e dai suoi collaboratori: il capitale, per la popolazione, lo avrebbe anticipato la sua organizzazione commerciale. Quindi, garante il governo della regione, azionista per un terzo dell’investimento complessivo, un altro terzo, pertanto, alla popolazione che sarebbe stata garantita, e versamento in anticipo alla impresa dei Fratelli De Nadai, per distribuirla agli abitanti del luogo, dalla stessa impresa. Era un primo passo, un passo d’avanguardia di riflessi sociali incalcolabili. Da un punto di vista pratico potevano nascere altri investimenti industriali. Così vanno ricordate le due manifestazioni fieristiche, che sono e rimangono due pietre miliari dell’iniziativa e del lavoro italiano espresso in ogni tempo. Prima di chiudere voglio ricordare una vistosa, ma anche inaspettata, lacuna, causata dall’evolversi di una delicata situazione politica in quella parte del “Corno d’Africa”, cioè il mancato completamento, da parte mia, del commento al documentario sulla “National Expo” del Settanta, realizzato dagli operatori di “Kagnew Station” e offerto all’ente fieristico. Io, appunto, avevo la delega per la preparazione e inserimento nel filmato del commento. Nulla di eccezionale, ma era un lavoro che mi competeva anche se era maturata nell’ambiente (me lo disse lo stesso Tesfajohannes) una certa gelosia nei miei confronti. Tuttavia, proprio per gli eventi, i tecnici, tutti militari, erano stati improvvisamente destinati ad altra sede e non ebbi il tempo nemmeno di ritirare per EXPO asmarina la pellicola.
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Asrate Cassa, con il presidente dell'Asmara Expo Tesfajohannes Behre, l'ambasciatore italiano Giulio Pascucci Righi e il sottosegretario alla Farnesina on. Franco Malfatti |
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