Il cordiglio bianco e blu |
Nicky Di Paolo, Marzo 2013
In Etiopia si racconta che al tempo del re Teodoro, nel grosso borgo di Miagerà, situato nel cuore dell’altipiano, spiccava la residenza del governatore della provincia del Soddo, Ras Gabriù; costui era un uomo di nobile indole, di bell'aspetto e di grande coraggio, rispettato quindi da tutta la popolazione che gli forniva i mezzi per il suo sostentamento, mentre lui, da parte sua, per lo meno una volta l’anno, organizzava e guidava spedizioni militari nella sottostante valle dei laghi dove riusciva a catturare un buon numero di schiavi con scarso rischio. La sua casa era costruita in pietra, a due piani, e il tetto era coperto di fascine molto fitte ed inclinate in modo da riparare bene sia l'acqua che il freddo, nonché logicamente, anche i raggi solari. Vicinissima alla casa del ras era la chiesa del villaggio a pianta ottagonale, anche quella costruita in pietra e legno, ma più piccola a confronto della casa del capo che aveva il piano inferiore libero da infrastrutture, a parte alcune colonne in pietra che reggevano i sovrastanti solai. Nel piano inferiore si tenevano i raduni per amministrare la giustizia, per le riunioni con i capi dei vicini villaggi, per festeggiare la riuscita delle spedizioni militari, nonché per il semplice piacere di ritrovarsi assieme a banchettare; in quest'ultimo caso erano invitati tutti gli abitanti che facevano a turno per presenziare ai festini; anche gli schiavi erano invitati ma potevano partecipare solo per ultimi. Gli schiavi erano senza dubbio la miglior forma di arricchimento per tutta la popolazione del villaggio; infatti i poveretti che venivano catturati e strappati dai luoghi nativi, dovevano apprendere in breve tempo, con le buone maniere o più spesso con la frusta, come servire un uomo libero e portare avanti il lavoro di un’intera famiglia. Allorché giudicati pronti a svolgere i compiti di buoni servitori, uomini e donne, di solito molto giovani, venivano ceduti in cambio di denaro, di animali, di derrate alimentari, di oro, di una giovane abissina da maritare o di qualsiasi altra necessità del proprietario del povero derelitto. Le fughe erano praticamente impossibili in quanto non c'era uomo capace di superare le enormi distanze tra l’altipiano e la valle dei laghi, territorio preferito per le razzie, senza l'indispensabile attrezzatura che comprendeva muli carichi di acqua e di cibo; quei pochi che tentavano di sottrarsi alla schiavitù, in genere tornavano in condizioni pietose chiedendo perdono, ma non riuscivano a evitare l'impietosa frusta del padrone che li segnava a sangue di fronte a tutto il villaggio onde convincere i dubbiosi che la fuga era impossibile e dolorosa. Inoltre gli abissini dei villaggi vicini si davano da fare per riacciuffare gli schiavi in fuga; era un tacito accordo che rendeva più facile la cattura dei fuggiaschi e che frenava gli impulsi dei più coraggiosi. Per il suo quarantacinquesimo compleanno Ras Gabriù organizzò una razzia a Godacianù, un villaggio non molto distante dal lago Scialla che si trovava a sei - sette giorni di cammino dal villaggio di Miagerà. Partirono 500 guerrieri seguiti da donne e fanciulli che assicuravano i servizi logistici; per il ras fu una lunga passeggiata, servito in ogni sua necessità da una decina di servi che lo assistevano in tutto, dal montare la tenda, preparare il cibo, lavarlo della polvere che si accumulava sulla pelle, rendergli lieta la notte, nonché accudire al suo cavallo con la cura che poteva dedicarsi a una persona. Viaggiare al ras piaceva e le razzie sedavano i forti istinti guerreschi che contraddistinguevano le genti abissine. La tecnica era sempre la stessa: a circa mezza giornata di cammino dal paese preso di mira, i guerrieri lasciavano in un posto protetto le donne e i giovani mentre, prima che l'alba schiarisse l'orizzonte, si incamminavano veloci verso l'obiettivo. Quel mattino, in vista del borgo di Godacianù, il ras, come al solito, impugnò la scimitarra e diede l'ordine ai suoi cavalieri di caricare. Gli abitanti non fecero in tempo ad allestire una minima difesa perché gli abissini furono loro addosso in un baleno, iniziando a separare i vecchi dai giovani e legando questi ultimi fra loro. In meno di un'ora gli abissini erano già sulla via del ritorno preceduti, attorniati e seguiti da oltre 300 prigionieri, lasciando il villaggio svuotato di buona parte dei suoi abitanti mentre gli scampati, anche se pochi erano stati uccisi, nulla avrebbero potuto fare per continuare a far vivere la comunità essendo ormai rimasti solo i vecchi e gli infermi. In pratica non c'era stata resistenza; un solo giovane aveva tentato di difendersi armato di lancia e di scudo; era riuscito a disarcionare due cavalieri abissini con una forza e un coraggio che attirarono l'attenzione del Ras che, chiamati a sé due dei migliori guerrieri, si precipitarono su l'intrepido giovane e lo immobilizzarono. Furono necessari altri due uomini per legarlo e quando solo la testa rimase libera dalle corde, cominciò ad inveire contro gli abissini e allorché il ras si avvicinò per guardarlo bene, il giovane gli sputò in faccia, gesto quanto mai offensivo e provocante. Il ras scese da cavallo e schiaffeggiò con forza il ragazzo che smise subito di divincolarsi e cadde in ginocchio stordito dalla violenza dei colpi subiti. Stette poco in quella posizione e si rimise in piedi malgrado le funi lo stringessero oltre il necessario. Il ras osservava il prigioniero con occhio critico, meravigliato dalla potenza muscolare e dagli scultorei tratti del corpo e del viso e rimase stupito dalla fierezza dello sguardo che fisso lo inquadrava come non volesse più dimenticarlo. Era senza dubbio uno schiavo stupendo, ma si sarebbe mai fatto domare? Il ras diede l'ordine della ritirata; c'era il pericolo che tribù vicine, avvertite dell'avvenimento, organizzassero in fretta e furia un gruppo di guerrieri per correre a liberare i prigionieri e a cacciare gli abissini; questi ultimi quindi dovevano agire con rapidità ed essere già lontani quando la resistenza si fosse organizzata. Il ras trottava in testa ai suoi, trottavano i suoi cavalieri, mentre il resto degli abissini e dei prigionieri correva senza un attimo di sosta. Era quello il momento più critico della spedizione ed era necessario allontanarsi velocemente e rientrare in territorio abissino dove gli abitanti dei laghi non osavano avventurarsi. Anche quella volta andò bene e nessuno diede noie al passaggio dei guerrieri che si tiravano appresso tutte le donne e fanciulli della contingenza nonché lo stuolo degli schiavi. In pratica corsero tutti per almeno sette ore fino a che il ras diede l’ordine di fermarsi e riposare, rassicurato sia dalle guide che non avevano scorto inseguitori, sia dall’avvicinarsi dell’ora del tramonto. La singolare armata aveva in pratica effettuato marce forzate di circa un'ora seguite ognuna da cinque minuti di riposo. Ogni marcia allontanava sempre di più i poveri prigionieri dal loro villaggio e li trascinava dentro il regno degli abissini, i loro eterni nemici, dando vita ai tragici incubi dei loro sogni; più marciavano, più morivano le speranze di potersi salvare; il grosso gruppo si arrampicava come un immenso gregge di capre sulle terre scoscese, veniva ingoiato dal fondo delle valli, per riapparire poi compatto sulle falde delle alture. Gli abissini pungolavano i martiri della loro razzia senza cattiveria, ma spronandoli a mantenere il passo e allontanandoli di fatto sempre più dalla loro terra. Quando fu buio e l’aria si rinfrescò bruscamente, Ras Gabriù si rifugiò all’interno della sua tenda; libero dalle armi che portava in battaglia, soddisfatto del lauto bottino , disteso su un angareb ricoperto di pelli di scimmia e riscaldato da un grosso braciere, ordinò che gli fosse portato di fronte lo schiavo ribelle. Lo aveva tenuto d'occhio per tutto il viaggio: il giovane aveva continuato a camminare senza mai fermarsi e guardando fisso di fronte a sé, incurante delle corde che gli legavano saldamente le braccia. Mentre gli altri schiavi chiedevano ripetutamente da bere, lui non lo aveva mai fatto e non accennava mai a rallentare, anche se gli altri schiavi, legati stretti a lui, cercavano di moderare l'andatura. Una volta sola il giovane ribelle volse lo sguardo verso il ras che cavalcava non lontano da lui ed era un'occhiata di sfida, di odio, di disprezzo. Il ras, come tutti gli abissini, stimava gli uomini coraggiosi e, finita la battaglia, rendeva onore al nemico che si era fatto distinguere nel campo della lotta. Mentre con le mani staccava un pezzo di ingera con il quale afferrava lo spezzatino di zighinì che emanava un profumo stuzzicante e si portava avidamente il tutto alla bocca, non staccava gli occhi di dosso al ragazzo, che per nulla intimorito rifiutò il cibo che una inserviente gli porgeva, ma sosteneva lo sguardo del ras senza mostrare alcuna soggezione, e solo quando il ras voltò il capo verso l'interprete affinché chiedesse quale fosse il suo nome, abbassò lo sguardo sulle mani legate e un moto di disperazione gli attraversò il volto, ma durò solo un attimo e poi, impassibile, continuò a fissare il nulla. Il ras non seppe neppure il suo nome e vani furono tutti i tentativi di stabilire un minimo di conversazione con l'aiuto dell'interprete. Allorché il ras di nuovo solo, non si addormentò subito come era solito fare, ma il pensiero dello schiavo ribelle lo tenne sveglio per un po'; non aveva mai incontrato una persona così determinata, così forte e così prestante nella figura e nel carattere. Avrebbe voluto un figlio con queste doti mentre i suoi due maschi erano giovani validi e belli, ma ben lungi da somigliare all'oggetto della sua preda e, se messi a confronto con il prigioniero, non avrebbero retto né fisicamente, né mentalmente. Lui aveva anche una figlia e, pensando a lei, un brivido gli corse lungo la schiena, senza sapere il perché, ma qualcosa lo turbò; era una ragazza bella e fine ma ribelle e non voleva assoggettarsi ai desideri paterni che la volevano sposata al figlio di un ras vicino: in tal modo si sarebbe creata una grande provincia, forte e guardata con rispetto da tutta l'Etiopia. Ras Gabriù aveva investito molte idee nella sua ragazza, ma sino a quel momento non era riuscito a convincerla di nulla, mentre lei continuava a chiedere di essere lasciata in pace e spingeva il padre ad investire nei due fratelli che avrebbero fatto di tutto per contentare il padre. Purtroppo i due rampolli non erano considerati dalla gente del luogo, la loro fama non era benevola e non c'erano uomini potenti che li avrebbero voluti come generi; il ras vedeva quindi nella figlia così piacevole e dolce l'unica possibilità di aumentare il suo ascendente e la sua ricchezza. Non ci volle molto a fare capire a Gabriù da dove arrivava quel momento di turbamento sofferto nel viaggio di ritorno. Appena giunto a casa e i nuovi schiavi furono equamente spartiti tra i 500 guerrieri, Zaitù, così si chiamava la figlia del ras, si prodigò di attenzioni e di cure verso il giovane schiavo ribelle che, resosi conto della situazione, cercò di favorire la benevolenza della giovane facendosi capire a gesti e con quelle poche parole di amarico apprese lungo il viaggio. Zaitù riuscì a convincere il padre a togliere le corde che contenevano l’ira del prigioniero, garantendo che non avrebbe tentato la fuga. Zaitù non fu capace di capire il nome del ragazzo e cominciò a chiamarlo Marcos; con questo nome lui fece amicizia con tutto il resto della gente del villaggio che presto prese a benvolerlo, in quanto il giovane oltre a piacere per le sue doti fisiche, era sempre pronto a dare una mano a chiunque ne avesse bisogno, prodigandosi il più possibile e dimostrando di essere capace ed idoneo al lavoro dei campi e a quello degli armenti. Zaitù non lo abbandonava mai e al padre non faceva che lodare le doti di Marcos, la sua bellezza, la sua gentilezza, il suo coraggio, tutte doti che mancavano ai suoi fratelli e agli altri giovani pretendenti. In verità questi ultimi, se da una parte riconoscevano i pregi e le capacità del ragazzo della terra dei laghi, dall’altra lo detestavano perché il confronto con lui era penoso e nessuno si azzardava a misurarsi con quello schiavo perché era lampante che non esistevano possibilità di batterlo nelle armi come nella lotta e neppure nelle attività lavorative; era infaticabile nelle attività manuali dei campi, nessuno era pari a lui nel governare gli armenti, sembrava quasi che gli animali comprendessero le sue incitazioni e i suoi ordini. Se le donne del villaggio lo esaltavano, se Zaitù non aveva occhi che per lui e rimaneva incantata da come Marcos imparava velocemente a parlare amarico, il ras era l'unico che non riusciva a stabilire un contatto con il giovane prigioniero che non nascondeva un odio profondo verso colui che l'aveva strappato alla sua famiglia e alla sua terra. Oltre a respingere qualsiasi tentativo di conversazione, Marcos ignorava anche gli ordini che il ras gli dava. Zaitù riusciva a impedire al padre di usare la frusta ma era incapace di convincerlo a dare la libertà allo schiavo ribelle; eppure lei lo amava, non sarebbe mai riuscita a desiderare un altro compagno ed era certa che Marcos, libero della schiavitù, sarebbe diventato un uomo importante. Il ras cercò di venderlo, visto l'interesse che destava il ragazzo su chiunque lo vedesse all'opera nei campi, nelle zeribe o alle prese con qualsiasi ostacolo vivente o meno, ma non aveva fatto i conti con la figlia che si opponeva con furia a qualsiasi suo tentativo di liberarsi di Marcos, anzi imparò a conoscerla perché fino a quel momento l'aveva considerata sempre mite e dolce e incapace di ribellarsi a suo padre. Il ras allora decise di rivolgersi al prete della chiesa chiedendo un aiuto per uscire da quella situazione che diventava per lui ogni giorno più complicata e difficile e che gli stava facendo perdere la faccia di fronte al resto della gente del villaggio. - Penso che ci sono solo due possibilità che tu puoi considerare. - Gli disse il prete che già conosceva bene il problema. - La prima è quella che tu dia la libertà a Marcos e accetti di farlo sposare con tua figlia; in cambio sarà lui a riconoscere e rispettare la tua autorità. L'altra e ultima alternativa è quella di riportare Marcos al suo villaggio, ma ci si deve aspettare che Zaitù lo vorrà seguire ed è certo che la perderai e non la rivedrai più. Non pensare di farlo sparire nel nulla perché poi non avresti più pace con tua figlia. Tu sai bene che la nostra religione avversa la schiavitù e Marcos, a mio parere, rappresenta la punizione divina che ti meriti per aver causato tanto dolore in quel villaggio della terra dei laghi. Quindi qualcosa devi pur pagare per ottenere il perdono divino. E che Dio ti assista nella decisione giusta che dovrai prendere. - Ciò detto il prete si ritirò nella chiesa a pregare per il ras mentre questi vide bene di recarsi anche dal debterà che, pur essendo cantore nella chiesa, fungeva anche da guaritore e in parte anche da stregone; infatti cercava nei modi più vari di venire incontro a coloro che gli si rivolgevano utilizzando sia le erbe guaritrici, sia quei riti stregoneschi che si tramandavano di padre in figlio e che, con molta astuzia e abilità, riuscivano a tenere ben separati dalla religione. Il debterà era un giovane molto bramoso e ambiva a diventare prete, ma al contempo amava il denaro e tutto ciò che era possibile ottenere avendone a sufficienza. - Ha ragione il prete con i due consigli che ti ha dato, - disse il debterà al ras, - ma c'è una terza possibilità che lui non conosce o che non poteva dire; fai mischiare nel cibo che preparano per Marcos questa erba che ho raccolto con le mie mani: dopo un paio di giorni che la prende, diventerà un uomo molle e privo di volontà. Ben presto perderà la sua fama ed anche tua figlia lo abbandonerà. - Dopo aver dato una lauta ricompensa al giovane guaritore, il ras se ne tornò tranquillo e contento alla sua dimora. Istruì una vecchia serva fedele su come aggiungere le erbe allo zighinì di Marcos e si mise in paziente attesa con la speranza di vedere gli effetti della droga. Nulla si modificò nei giorni successivi e Marcos sembrava addirittura più attivo e virile e sua figlia diventò ancora più affascinata dal prigioniero. Il ras, pensando che la dose usata fosse troppo poca per un uomo come Marcos, decise di aumentare la quantità di erba aggiunta alla pietanza. Dopo altri tre giorni Marcos atterrò un toro con le proprie mani e lo spettacolo di forza esaltò tutto il villaggio che ormai apertamente criticava l'atteggiamento duro del Ras verso un uomo così forte e coraggioso. Carico di odio verso il debterà che lungi da risolvere il problema, lo aveva complicato, si recò alla di lui abitazione e lo bastonò ben bene, dimenticando che non si potevano alzare le mani sugli uomini di chiesa. Il giorno dopo il ras fu trovato esamine dentro il locale dove dormiva con attorcigliata intorno al collo, una corda robusta lunga un paio di braccia: era un cordiglio di fibre di canapa , tessuto a mano, bianco con una venatura blu. La notizia si diffuse in un lampo e tutti gli abitanti circondarono la casa del ras sgomenti della perdita subita. Dentro la stanza del morto la figlia e i due figli urlavano la loro disperazione e invocavano Dio affinché fosse scoperto subito l'assassino per poterlo giustiziare con le loro stesse mani. Il debterà, che non nutriva simpatie per Marcos, al pari di tanti giovani del villaggio, prese la parola per primo: - L'unica persona che odiava Ras Gabriù era Marcos che ignorava i suoi ordini, i suoi consigli ed anche le sue benevolenze. Quindi questo servo lo ha ucciso vendicando così finalmente la razzia della sua gente. Mettiamolo subito a morte e nominiamo un altro ras. - - Tu, prete mancato, stai farneticando!- Urlò Zaitù, uscendo dalla casa del padre con gli occhi gonfi di lacrime. - Marcos non mi avrebbe mai fatto soffrire, quindi taci e cerca da altre parti se vuoi trovare l'assassino.- - Che valore possono avere le parole di una donna innamorata?- Replicò il debterà offeso nella sua dignità. - Forse, sorella, è meglio che tu non ti intrometta.- Osservò uno dei suoi fratelli che si era palesemente schierato a fianco del diacono. - No, - replicò Zaitù, - sei tu che devi tacere in quanto nostro padre stimava più Marcos di voi. Quindi non sei tu la persona che può sostenere l'accusa contro Marcos. Sentiamo invece cosa ha da dire al riguardo il nostro prete. - Il vecchio prete stava uscendo dal portone della chiesa con in mano un lungo bastone sulla cima del quale era infissa una grossa mascàl d'argento. Il brusio che si alzava dalla gente raccolta e stretta attorno alla casa del ras cessò di colpo e tutti, in silenzio, aspettarono che il prete parlasse. Una folta chioma bianca ed una lunga barba, altrettanto candida, davano risalto alla tinta scura di un viso piacevole solcato da rughe vistose. - Non sono un giudice, ma lo sostituisco spesso per le piccole liti o per semplici reati che avvengono nel nostro paese. L'uccisione del ras è qualcosa di talmente grave che può essere giudicato solo dall'imperatore o in sua vece dal ras più anziano che abita vicino a noi. In ogni modo per ora non c'è un indiziato, in quanto nessuna prova esiste che possa indicare Marcos come l'assassino, mentre l’unica testimone è Zaitù, che è favorevole a Marcos. La conosciamo tutti molto bene e non coprirebbe mai l’assassino del padre: fosse chi fosse lo denuncerebbe. – Si fece avanti il capo delle guardie: non aveva nulla indosso che potesse distinguerlo dagli altri uomini del villaggio se non che al fianco destro pendeva una lunga scimitarra che arrivava fino alla caviglia. - Siamo in nove a rendere sicura la vita del Ras e non lo perdiamo mai di vista sia di giorno che di notte. È stato sicuramente un ginni, un diavolo dei laghi a strangolarlo e lo ha fatto rimanendo invisibile. - - Eccone un altro! - Esclamò con rabbia il prete. - Non basta il mio debterà a dire stupidaggini. Ora ci si mette anche il capo delle guardie a credere nei geni del male. Decine di secoli di cristianesimo non sono bastati a togliervi queste idiozie dalla testa. Sarete in nove guardie, ma la notte rimane uno solo di voi a vegliare e la mattina presto, quando mi alzo, spesso lo vedo uscire dalla casa di qualche donna sola. Quindi chi voleva strangolare il ras, poteva farlo con molta calma e tranquillità. – - Perché invece non cerchiamo di ragionare? - Esclamò il fabbro del villaggio che non era ben visto dalla popolazione in quanto esercitava un mestiere definito poco degno, anche questo un antico retaggio pagano che riteneva coloro che erano capaci di lavorare con il ferro e il fuoco, esseri demoniaci e quindi da tenere lontani. Aveva ragione il prete a lamentarsi per l'incapacità degli abissini di scrollarsi di dosso, una volta battezzati nel cristianesimo, molte reminiscenze pagane. - Cosa c'è da capire?- Chiese il prete che conosceva la saggezza del fabbro. - Non ci sono segni di lotta, e tutti sappiamo che il ras non si sarebbe fatto mettere la corda al collo senza cercare di fermare l'assassino; è quindi probabile che il ras lo conoscesse bene, lo accolse nella sua tenda e tranquillo gli volse le spalle. La seconda domanda che dobbiamo porci è perché Gabriù è stato ucciso. Chi aveva oltre a Marcos delle regioni per odiarlo così tanto? – - Posso rispondere io, - lo interruppe il prete, - nel nostro paese in questo momento ci sono altri 100 schiavi su 300, che odiavano tanto il ras da volerlo morto. Aggiungerei però il fatto che chi ha commesso il delitto doveva avere una forza notevole perché una volta stretto il laccio attorno al collo di Gabriù, fu esercitata una tale potenza che il Ras spirò senza essere capace di reagire: i segni della corda attorno al collo sono netti, come quelli che si vedono nelle impiccagioni. Quindi il numero delle persone capaci di questo delitto sono abbastanza poche. - - È vero! - Riprese il fabbro. - Rinchiudiamo gli schiavi robusti e capaci di abbattere un uomo come Gabriù dentro una zeriba e teniamoceli dentro senza acqua e senza cibo fino a quando non consegneranno il colpevole, perché se è uno di loro, qualcuno deve sapere qualcosa riguardo a questo delitto. - In questo modo escludi tutti gli abitanti del villaggio fra i quali erano in diversi a odiare il ras. No, dobbiamo trovare un modo per scoprire l'assassino, senza incorrere in un tragico errore. - Osservò il prete. - Io, figlio maggiore del ras, metto una taglia per chi indica con sicurezza il colpevole. Ci saranno 20 monete di oro per colui che scoprirà l'uccisore di mio padre. - Un insistente mormorio si alzò dalla folla: quella era una ricchezza immensa che avrebbe cambiato la vita a colui che l'avesse meritata; ogni paesano si sentì potenzialmente capace di guadagnare una tale somma e cominciarono tutti a scambiarsi idee e interrogativi. Ora che l’esca era stata gettata sulla folla, bisognava aspettare che qualcuno parlasse e pian piano si ritirarono tutti nelle proprie abitazioni. Passarono alcuni giorni, ma nessuno riuscì a guadagnarsi il piccolo tesoro; alcuni in buona fede, altri con tanta fantasia indicarono persone che riuscirono tutte a trovarsi degli alibi indiscutibili, creando attriti e malumori fra gli abitanti del paese. Ben presto la taglia entrò nei ricordi degli abitanti di Miagerà senza che nessuno potesse reclamarla. Zaitù e Marcos si costruirono una casetta ai margini del villaggio e ci andarono ad abitare assieme e non ci fu da ridire da parte di alcuno. Un nuovo ras prese il posto di Gabriù senza che i figli di questi pretendessero il posto di comando del padre. Tutto quindi sembrava tornato alla normalità e la vita del paese riprese il suo normale andazzo, se non che una mattina il nuovo ras fu trovato ucciso nel suo letto, strangolato con una corda del tutto uguale a quella che aveva ucciso Gabriù. Era davvero troppo per il villaggio di Miagerà che, a memoria d'uomo, non ricordava un susseguirsi di tali misfatti; la famiglia del nuovo ras rivolse subito istanza all'imperatore Teodoro affinché esercitasse la sua giustizia per punire l'infame assassino. Trascorsero almeno 30 giorni prima che Teodoro avesse l'occasione di transitare attraverso Miagerà, portandosi appresso una decina di prigionieri inglesi, verso i quali rivolgeva tutte le sue attenzioni, ma dimostrando a tutti che non temeva l'ira della regina inglese che, tramite corrieri, intimava a Teodoro di rilasciare i componenti della sua Ambasciata. Teodoro era noto per la sua bellezza, ma anche per la sua scarsa capacità di amministrare, secondo i principi di Salomone, la giustizia abissina; mancava della scaltrezza propria della gente etiopica: basti pensare che fece costruire due enormi cannoni, tanto grossi che nessuno riuscì a farli sparare, o più esattamente uno schiantò alla prima prova del fuoco, l'altro si impantanò durante uno spostamento. Il vecchio prete aveva sconsigliato i parenti del ras di fare appello al re, ma quando Teodoro giunse a Miagerà, lui stesso, in mancanza del ras, dovette andare incontro al sovrano preceduto da 100 guerrieri e 50 tamburi, così come voleva la tradizione e l'etichetta. Erano almeno 1000 i guerrieri che precedevano il corteo imperiale con oltre 90 tamburi di varie dimensioni. Quando i due cortei si incontrarono la confusione diventò inevitabile. Teodoro cavalcava uno splendido destriero bianco con la sella e le redini bordate di argento, mentre la veste nera era drappeggiata e fermata con borchie d'oro. Aveva i capelli lisci tirati all'indietro sulla nuca e tenuti fermi con un vistoso fermaglio d'oro. Da una cintura, anche questa d’oro, pendevano un pugnale da una parte e dall'altra una spada, ambedue finemente intarsiati. I tratti del viso erano gentili, ma lo sguardo penetrante e fiero esprimeva forza e determinazione. Transitando attraverso la folla, osservava tutto e tutti fin nei particolari. Accanto al prete e ai parenti dei due ras uccisi, c’era Zaitù e, passandole di fronte, d‘istinto Teodoro tirò con forza a se le redini del cavallo costringendolo a fermarsi; non disse una parola ma continuò a fissare la ragazza mentre dentro di sé avvertì con forza il desiderio di possederla. Erano le donne che in genere ambivano a giacere con Teodoro per la sua bellezza, per il suo fascino e per il suo carisma. Quella donna doveva essere sua, ad ogni costo e , volto il capo verso un suo fedele attendente, fu sufficiente un cenno per fargli capire cosa doveva fare.
Mentre Teodoro proseguiva verso il centro del paese, dove una
schiera di servi aveva montato la tenda reale, l'attendente si
rivolse ad una delle guardie del ras per chiedere informazioni sulla
ragazza. Subito dopo agì in fretta e senza tentennamenti; fece
arrestare Marcos per il sospetto di essere l'assassino dei due Ras e
parlò a Zaitù senza mezzi termini: - Teodoro ti vuole: se lo amerai
stanotte, domani libererà Marcos, altrimenti lo farà giustiziare,
accusandolo del duplice delitto. - Zaitù rimase molto turbata dalla richiesta, ma era certa che Teodoro avrebbe messo a morte il giorno successivo Marcos e solo lei poteva salvarlo. La sera fu preparata dalle ancelle dell'imperatore all'incontro d'amore con il sovrano. Teodoro però era stanco e fece tutto in fretta, lasciando, dopo una ventina di minuti, libera la ragazza di tornare alla sua casa; in realtà Zaitù sarebbe rimasta volentieri più a lungo con l'imperatore: bello, profumato, cortese e distinto nei modi, era riuscito a inebriare la giovane che aveva, in quei pochi minuti, provato un forte desiderio e avrebbe voluto essere amata per tutta la notte. Tornata nella sua casa, trovò Marcos sveglio che l'aspettava e anche lui rimase perplesso per il poco tempo che era trascorso da quando era uscita di casa. Lei raccontò che aveva trovato Teodoro ubriaco e dormiente e che nulla c’era stato fra loro. La mattina successiva Marcos si rese conto subito che Zaitù era sparita e gli ci volle ben poco a capire che Teodoro l'aveva portata con sé; le occhiate di derisione dei vicini gli fecero sospettare che la ragazza se ne fosse andata di buon grado, lasciandolo solo in mezzo agli abissini e senza più la sua protezione. Teodoro, in compenso, partì di buon ora evitando di presiedere il tribunale: non voleva condannare Marcos, ritenuto da tutti il colpevole, desiderava solo portar con sé la sua ragazza e così si defilò quasi alla chetichella. Vista l'impossibilità di far giudicare l'imperatore, i paesani rimasti continuarono a discutere del problema. Il debterà accusò nuovamente Marcos dell'uccisione dei due ras e il nuovo ras, per non rischiare nulla, lo rimise in catene e lo cedette per un paio di buoi al capo di un vicino villaggio, spinto dalla figlia che si era invaghita anche lei di Marcos. Tutto sembrava risolto fino a quando fu la volta del debterà ad essere strangolato nella stessa maniera, e con la stessa corda. Tutti gli abitanti di Miagerà pensarono che Marcos si fosse vendicato del debterà, ma gli abissini nuovi compaesani del giovane schiavo, testimoniarono in coro che Marcos non poteva essersi mai allontanato dal loro villaggio. La paura cominciò ad insinuarsi nell'animo della popolazione di Miagerà. Un assassino forte e crudele viveva fra loro, un individuo scaltro ed attento che non lasciava trapelare le sue motivazioni, né tanto meno si erano riuscite a trovare tracce dei suoi misfatti. Invano il prete, durante le funzioni religiose, invitava chiunque ne fosse a conoscenza, a fornire indicazioni per stanare l'assassino. Addirittura la porta della stanza dove era stato ucciso il debterà, era chiusa dall'interno, anche se difficile non era entrare e uscire dalla finestra. Ci fu di nuovo chi accusava i demoni del lago, ma il prete tuonò con ancora più veemenza contro quelle superstizioni e invitò tutti a stare molto attenti.
Erano trascorsi una trentina di giorni quando giunse la notizia che
Teodoro si era ucciso pur di non farsi catturare dall'esercito
inglese che con un colpo di mano era sbarcato sulle coste del Mar
Rosso e in un baleno era giunto a Magdala, dove lui risiedeva, aveva
sbaragliato l'esercito abissino e liberato tutto il personale del
corpo diplomatico. A Miagerà si attese la nomina di un nuovo re, per
conoscere la sua dinastia, per rivedere le alleanze, per adattarsi
al nuovo regime, ma nessuno aveva previsto il ritorno di Zaitù. Lei
comparve al tramonto di una giornata piovosa, mentre tutti erano
intenti a rimuovere le pozze d'acqua dalle proprie zeribe per tenere
gli animali all'asciutto; entrò nel villaggio a dorso di muletto,
accompagnata da almeno sei servitori con altrettanti animali carichi
di casse di legno, vestita con una futa bianca orlata di argento e
di oro. Era ornata da tanti gioielli fra i quali le collane
spiccavano per la filigrana perfetta e fantasiosa e perfino i piedi
scalzi erano agghindati con catene e anelli d'oro. Quando trovò la
sua casa occupata da altri, Zaitù ignorò del tutto i suoi parenti e
andò dritta alla chiesa dove scese dal muletto, e chiamò a voce alta
il prete. Il religioso non si fece attendere e si presentò alla
porta della chiesa. La giovane era cambiata non solo nel vestire,
nel truccarsi e nel portare addosso tanti
gioielli; lo sguardo e la mimica del viso avevano sostituito il
volto tenero e ingenuo di Zaitù: l'atteggiamento era altero, gli
occhi scintillavano e la voce imperiosa pretendeva risposte
esaurienti. In pochi mesi Teodoro l’aveva trasformata in una donna
fiera e matura, una vera uoizerò, ancora più bella e suadente. Il
prete pensò che qualsiasi uomo avrebbe pagato dei tesori pur di
averla come moglie e la rese edotta su quello che era successo al
villaggio durante la sua assenza. Nel villaggio di Miagerà la vita riprese il suo corso lento e regolare e dopo qualche mese la gente smise di parlare dei recenti avvenimenti, cercando di dimenticare il brutto momento passato. Solo il prete , durante le funzioni religiose supplicava i fedeli a stare attenti cercando di comunicare qualsiasi stranezza collegabile ai passati misfatti. Il nuovo ras preoccupato non poco per la terribile fine dei suoi due predecessori, raddoppiò la guardia personale, imponendo nuove misure protettive. Erano trascorsi esattamente sei mesi da quando Zaitù era tornata a casa e la tranquillità sembrava essersi nuovamente installata nel villaggio quando una mattina Zaitù e Marcos furono trovati strangolati nella loro casetta con attorno al collo il medesimo cordiglio di quello usato per uccidere le precedenti vittime. Era un delitto inspiegabile: come poteva aver l'assassino ucciso contemporaneamente due giovani nel pieno delle loro forze, tenendo presente che Marcos era tanto forte da valere per cinque. Non esisteva anche qua nessun segno di lotta. Non poteva essere un uomo l'assassino, aveva ragione chi incolpava i demoni e quella volta il prete non riuscì a sedare gli animi. Non ci furono cerimonie funebri, non ci furono riunioni per discutere l'emergenza, non ci fu nulla da discutere se non rimanere presi nella morsa del terrore; gli abitanti, radunate le loro cose e i loro animali, si diedero alla fuga. In poche ore il villaggio fu abbandonato dalla maggioranza della popolazione; in buona parte si erano incamminati verso vicini paesi dove risiedevano parenti che li avrebbero accolti di buon cuore, ma molti scappavano senza una meta precisa, spinti verso l'ignoto da una paura irrazionale. Il ras, il prete e le guardie rimasero assieme a quei pochi abitanti che non se la sentivano di lasciare la loro casa o perché erano anziani, o perché erano malati, ma il paese perse la sua fisionomia, la sua gaiezza e tutto andò allontanandosi: i soliti rumori, i soliti profumi, le grida dei fanciulli, i versi degli animali, il ritmo dei tamburi, il canto delle giovani, tutto era sparito in un baleno e chi era rimasto aveva il cuore pieno di tristezza.
Il capo delle guardie che fungeva anche da cantiba, sindaco del
paese, aveva un pensiero fisso che non lo aveva abbandonato fin dal
primo delitto. Era stato lui il primo a sospettare un demone del
lago, ma l'idea che lo torturava era un'altra ed era connessa a quel
maledetto cordiglio, sempre uguale e che aveva strangolato tante
persone; lui quell'intreccio di fili di canapa bianchi e blu lo
aveva visto una volta, di sfuggita, da qualche altra parte, ma non
riusciva a ricordare dove. Si sforzava talmente che spesso un anello
di tensione gli stringeva così forte la fronte da fargli male. C'era
qualcosa poi che legava la corda all'elenco delle persone uccise: i
ras vestivano tutti con abiti e sciamma orlati di blu, il debterà
indossava abiti bianchi a parte la camicia che era blu. Blu erano
anche i matèb dei due ragazzi strangolati che di solito erano neri.
Il bianco e il blu, due colori che lo facevano impazzire e
imbestialire nello stesso tempo; più ci pensava e più si convinceva
che doveva esserci sotto un velo di pazzia perché un uomo, benché
malvagio, non poteva arrivare a coprirsi di tali ignobili crimini.
Mentre il capo vagava per il paese semideserto, passò di fronte alla
modesta dimora di Jacob, lo scemo del villaggio; era un ragazzo sui
vent'anni che fin da piccolo aveva avuto grandi difficoltà a parlare
e poi a dedicarsi a qualsiasi mansione. L'unica persona con la quale
stava volentieri era il debterà, dal quale apprendeva qualcosa sul
potere delle erbe, ma per il resto era deriso da tutti, compresi i
ras che non amavano le persone ritardate. Per lui era stata una necessità uccidere il primo ras, Gabriù, perché non riusciva più a sopportare le umiliazioni che continuamente gli infliggeva anche quando era in compagnia della figlia: a lei non piaceva la incessante derisione del padre verso Jacob, persona che preferiva ignorare, senza sapere che il poveretto l’ amava e la sognava come tutti gli altri giovani del villaggio. Jacob, in fondo al suo animo, sperava che, eliminato il ras, potesse un giorno avvicinarsi a lei per confessarle il suo amore. Le modalità dello strangolamento erano state sempre le stesse. Faceva aspirare nel sonno, alle sue vittime, il fumo di un piccolo braciere dove aggiungeva alla brace foglie secche di una pianta che il debterà conservava con cura per il potere che aveva di narcotizzare profondamente uomini ed animali. Lui rimaneva immune dall'effetto della droga grazie ad un infuso di bacche precedentemente ingerito. Dopo che la vittima aveva aspirato il fumo del braciere, diventava tutto quanto mai semplice, e non ci voleva molta forza per stringere il cordiglio intorno al collo del poveretto fino a quando cessava di respirare e passava dal sonno alla morte senza svegliarsi. Il secondo ras, istigato dai figli del primo, lo ridicolizzava ancora di più e per lui divenne indispensabile fargli fare la fine del precedente. Quando poi si rese conto che il debterà stava cercando disperato le sue erbe e prima o poi avrebbe capito chi le rubava e l'uso che ne faceva, decise di sopprimerlo se voleva rimanere nascosto; gli dispiacque uccidere il debterà, ma non c'era altra via d'uscita. Quando Zaitù lasciò il paese per seguire Teodoro, Jacob fu invaso da una calma interiore. Il nuovo ras, più anziano e più aggio, non lo beffeggiava mai, anzi lo trattava con cortesia mentre l'assenza di Zaitù e l'allontanamento di Marcos gli avevano tolto la pena dal cuore. Quando Zaitù tornò al paese come fosse una regina, le ferite si riaprirono e Jacob fu di nuovo preda della passione e al contempo dell'ira per la consapevolezza della sua meschinità. La follia diventò poi incontrollabile quando la ragazza fece tornare Marcos e ritornarono a vivere assieme irradiando intorno a loro una grande felicità. Per Jacob non ci furono alternative, doveva eliminarli ambedue; non avrebbe sopportato la disperazione di Zaitù se avesse strangolato solo Marcos. Infine la fuga degli abitanti del paese lo aveva elettrizzato, nel senso che se fosse rimasto solo, nessuno lo avrebbe più deriso e forse sarebbe divenuto lui il ras. Il cantiba non perdeva una parola di ciò che il ragazzo stava raccontando e lo osservava mentre aveva smesso di tessere il suo ordigno per attizzare il fuoco sotto un bricco del ciai. C'era nell'aria un odore strano come di fieno bruciato e il capo delle guardie si chiedeva cosa potesse emanare un tale olezzo; quando capì di cosa poteva trattarsi, era ormai troppo tardi e si rese conto che non riusciva a muovere nessuno degli arti e neppure la testa, mentre un torpore si stava impadronendo dei suoi pensieri e della sua coscienza; l'ultima cosa che intravide, prima di perdere i sensi, fu il cordiglio bianco e blu in mano al ragazzo che lo stava tendendo mentre si avvicinava tranquillo al suo collo.
Matèb |