Gheresghier

ANGRA

 

Gheresghier viveva in un villaggio di pochi tucul sperduto nella savana. La mattina presto portava a pascolare le sue tre ossute capre accompagnato da un cane pelle ed ossa di colore indefinibile.

Quando ritornava dal pascolo, si rifugiava nella capanna di un vecchio pittore che aveva trascorso tutta la sua vita a dipingere quei rotoli di pergamena divisi in piccoli riquadri raffiguranti episodi della vita di Maria, di Gesù, dei Santi e della regina di Saba.

Assistendo il vecchio pittore, Gheresghier aveva imparato a miscelare i colori insieme ai primi rudimenti di tecnica pittorica e, naturalmente dotato di senso artistico, aveva cominciato ad aiutare il maestro.

Quando il pittore morì, il giovane Gheresghier decise che anche lui si sarebbe dedicato alla pittura, però non avrebbe seguito le orme del maestro. Egli voleva dipingere la sua amatissima Eritrea e, perciò, abbandonò il suo piccolo villaggio portando seco le sue misere cose, qualche rotolo di pergamena, i colori ed i pennelli.

Quel giorno cominciò il pellegrinaggio di Gheresghier lungo i pietrosi sentieri, le erte scarpate, le radure cespugliose ed i rari boschi del suo Paese.

Quando i suoi occhi coglievano uno scorcio particolarmente affascinante, Gheresghier sostava e rimirava a lungo la scena cogliendone anche gli aspetti più reconditi che sarebbero sfuggiti agli occhi di qualunque viandante non dotato di sensibilità acuta come quella del giovane.

Seduto sulla nuda terra, Gheresghier masticava qualche boccone di chiccià, poi stendeva un rotolo bloccandolo alle estremità con qualche sasso e cominciava a preparare colori e pennelli. Quando dipingeva, il giovane aveva la capacità di astrarsi da tutto ciò che lo circondava e si concentrava sul soggetto da dipingere mentre la sua mano correva leggera e veloce stendendo i colori che, via via, andavano assumendo forma e vita.

Intanto passavano i giorni, i mesi e gli anni e Gheresghier proseguiva il suo instancabile cammino.

Oramai i suoi capelli erano canuti, la faccia scavata ed il  corpo quasi scheletrico per quella vita di stenti e di fatica, ma la sua inestinguibile passione per la pittura lo spingeva sempre avanti.

Sopravviveva scambiando i suoi dipinti con qualcosa da mangiare perché si rifiutava di venderli affermando che l’arte non è mercificabile.  

Stava camminando da qualche tempo attraverso una piana chiusa all’orizzonte da una modesta altura. Decise che si sarebbe fermato sulla cima per riposare e mangiare qualcosa ma, quando giunse a destino, dimenticò tutto. I suoi occhi stanchi si riaccesero di intensa luce giovanile ed il suo cuore riprese a pulsare vigoroso: davanti al suo sguardo si stendeva il Mar Rosso di cui aveva sentito narrare ma che non aveva mai visto.

Il quel momento Gheresghier si sentì invadere da una gioia intensa e da una pace profonda: aveva coronato il sogno della sua vita perché stava ammirando il quadro che aveva sempre sognato di dipingere.

Il variegato azzurro del mare, il grigio tortora delle rocce, l’ocra intenso delle rive, le candide trine delle onde spumose, il bianco abbacinante delle strie di sale, le sporadiche macchie di verde… quell’armoniosa policromia lo ammaliò fino alla spossatezza. Decise che quello sarebbe stato il suo ultimo dipinto completato il quale avrebbe gettato tele, colori e pennelli. E dipinse in preda ad un estro creativo che non aveva mai provato.

Un giorno, mentre riposava in un villaggio dove aveva trovato vitto e ricovero, venne raggiunto dal messo del signorotto locale che lo invitava nella sua residenza.

Gheresghier stupito seguì il messo e raggiunse la grande casa in pietra del signore e fu subito introdotto nella sala dove il padrone di casa sedeva attorniato dai suoi vassalli.

Appena entrato, il pittore si guardò intorno stupito: tutte le pareti erano ricoperte da suoi dipinti racchiusi in semplici cornici di acacia.

Il signorotto accolse Gheresghier con grande affabilità e lo invitò a sedersi alla sua copiosa mensa. Mentre mangiavano, l’ospite espresse la sua profonda gratitudine al pittore perché attraverso i suoi dipinti aveva potuto conoscere tutto il suo Paese scoprendone le più nascoste bellezze e gli offrì di ospitarlo fino alla fine dei suoi giorni.

Il pittore ristette qualche momento in silenzio, poi ringraziò il padrone di casa dal profondo del cuore e gli disse: sarei molto lieto di vivere nella casa di un uomo così generoso e buono, ma vorrei tornare al mio villaggio per essere sepolto accanto al mio maestro al quale devo tutto. Prima di ripartire per l’ultimo cammino vorrei esprimerti la mia riconoscenza donandoti il mio capolavoro. E, così dicendo, srotolò il dipinto del mare.

Gli astanti rimasero muti ed immobili storditi da tanta bellezza: il cobalto del mare increspato da piccole onde coronate di vaporosa schiuma, una bianca nuvola marezzata di tenue rosa, le alghe avvinte agli scogli sembravano giade preziose, il glauco cielo che all’orizzonte baciava il mare, l’oro fuso del Sole che traeva riflessi danzanti di luce…

Gheresghier fu sepolto accanto al suo maestro. Un piccolo povero villaggio custodiva il corpo di due pittori senza lapidi a perenne memoria.

 

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