Asghedom

ANGRA

Asghedom non sa quanti anni ha, sa soltanto di essere vecchio perché il suo corpo è rinsecchito, la sua schiena curva, la sua faccia rugosa ed i suoi muscoli flaccidi.

Il vecchio è seduto su di un basso sgabello di legno grezzo e paglia davanti al suo tucul, l’unica casa che abbia mai abitato. Siede nel Sole e ricorda. Ricorda l’unico, favoloso ed indimenticabile giorno della sua lunga e faticosa vita fatta di duro lavoro e di stenti.

Quel giorno, ormai remoto, Asghedom sedeva sulla riva del Mareb in un luogo solitario in cui regnava un silenzio quasi assoluto rotto soltanto dal lieve mormorio delle placide acque del fiume.

L’uomo fissava l’acqua affascinato dai giochi di luci e di ombre disegnati dalla luce solare, dal passaggio di qualche nuvola isolata e dalle strisce più scure formate dal riflesso degli alti alberi, quando gli sembrò di udire delle sommesse voci gentili accompagnate da risatine e sospiri. Si fece più attento ed acuì tutti i suoi sensi : non si era sbagliato, erano effettivamente giovani voci femminili che provenivano dal fiume.

Improvvisamente, tra le lievi increspature delle acque, Asghedom vide apparire delle graziose creature perlacee che gli sorridevano. Dopo qualche momento di esitazione, una delle creature gli rivolse la parola e gli disse: ti abbiamo osservato e pensiamo che tu sia un giovane sensibile ed intelligente e, se lo vorrai, potrai tornare a sederti sulle rive del nostro fiume e noi di racconteremo le fiabe del tuo paese.

Asghedom ringraziò e promise di tornare durante i suoi pochi momenti liberi dedicati al riposo. Rientrando a casa, il giovane capì di avere incontrato le Fate del Mareb che da sempre abitavano il fiume e comprese, anche, che quell’incontro avrebbe cambiato la sua vita.

I pellegrinaggi del giovane verso il fiume furono numerosi e, ad ogni incontro con le Fate, apprendeva nuove favole e, ormai, ne conosceva un buon numero.

In una calda notte, mentre giaceva sul suo consunto angareb, Asghedom pensò che forse poteva sfruttare il dono che gli avevano fatto le fate per mutare drasticamente la sua misera e faticosa vita di contadino. Decise di trasformarsi in scrittore.

Ascoltando le Fate, il giovane aveva imparato a raccontare le fiabe con linguaggio accattivante, con le giuste inflessioni e con una certa carica emotiva che riusciva a coinvolgere i lettori e li teneva avvinti.

La gente, infatti, aveva sentito raccontare leggende sui re, sulla fondazione di città; aveva ascoltato le imprese dei guerrieri; aveva seguito le letture di brani delle Scritture durante i riti religiosi, ma nessuno aveva narrato delle fiabe che erano di facile comprensione e, molto spesso, divertenti.

Tra la gente, infatti, erano passati predicatori, religiosi e cantastorie ma mai un favolista che forniva pillole di saggezza attraverso la morale delle fiabe ma con la leggerezza del volo di una farfalla.

“lo scemo fortunato”, “lo scaltro”, “il buono a nulla”, “la sposa bisbetica”, “lo scansafatiche”, “le astuzie femminili”, ”il cocco di mamma”, “il giovane amato da tutte le ragazze”… cominciarono a riempire le pagine del libro che Asghedom, notte dopo notte alla flebile luce di una candela, scriveva con sempre maggiore entusiasmo senza sentire stanchezza.

Dopo qualche mese di notti consumate chino sull’asse di legno che teneva sulle ginocchia e sulla quale appoggiava i fogli di carta i più disparati che riusciva a racimolare, Asghedom completò la sua opera.

Ordinò con cura i fogli, li bucò su di un lato e li legò insieme con cura usando due filacci di sisal.

L’occasione di far conoscere la sua opera ai suoi compaesani, si presentò durante i festeggiamenti che il villaggio tributava all’inizio della stagione delle piccole piogge.

Mentre tutti sedevano sulla spianata all’ombra del grande sicomoro, Asghedom si alzò e cominciò a leggere la prima delle sue fiabe. L’attenzione degli astanti si fece via via sempre più intensa e, quando il lettore tacque, si levò un caldo applauso e Aghedom fu invitato a leggere ancora.

Il giorno successivo, il capo villaggio convocò Asghedom e gli disse di avere un fratello che lavorava in una tipografia in città e che, forse, lo avrebbe potuto aiutare.

Il libro, stampato in una ventina di copie usando scarti di carta e di cartoncino, fu consegnato ad Asghedom che, pazzo di gioia, tornò al villaggio dove in un giorno solo li vendette tutti.

In breve tempo pervennero ad Asghedom richieste da tutta la regione ed il contadino/scrittore fece dei buoni guadagni che gli permisero di condurre una buona vita. Però, il tempo passava e nessuno faceva più richiesta del libro perché le fiabe erano ormai note a tutti.

Allora, lo scrittore pensò di tornare sulle sponde del fiume per incontrare le fate e farsi raccontare altre favole. Trascorse giorni, settimane, mesi nella vana attesa di vedere apparire sull’increspata superficie delle acque le translucide figure sussurranti ma non accadde nulla.

Stanco di attendere, Asghedom decise di buttarsi nel fiume per cercare le fate scomparse. Nessuno mai più lo rivide. Fu così, come succede spesso agli artisti, che il favolista divenne una leggenda ed ancora oggi le sue favole vengono raccontate.

 

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