Enrico Cerulli |
n. a Napoli il 15 febbraio 1898, m. a Roma nel 1988 |
Riportiamo dalla rivista Oriente Moderno, Ottobre-Dicembre 1963: |
OMAGGIO AD ENRICO CERULLI |
Giorgio Levi Della Vida |
II 10 dicembre u.s. nell'Università di Roma è stata conferita solennemente la laurea ad honorem in Lettere ad Enrico Ceruili, già Vice Presidente dell'Istituto per l'Oriente e collaboratore di Oriente Moderno e della collana dell'Istituto, nella quale sono apparsi i quattro volumi dei suoi Studi Etiopici. Nel corso della cerimonia per il conferimento della laurea il prof. Giorgio Levi Della Vida ha pronunciato le seguenti parole: Quindici anni fa mi venne in mente di dedicare un mio libercolo a Enrico Ceruili; e gli apposi in fronte una bella epigrafe, nella quale, in un latino da far invidia all'amico Paratore, era detto tra l'altro: « Henrico Cerulli ... sibi quondam discipulo sagacissimo, nunc sibi aliisque multis magistro praestantissimo ... ». Non saprei far meglio, oggi, che ripetere quelle parole in sermone volgare, mentre ringrazio il Rettore e il Preside di essersi rammentati, invitandomi a prender la parola, di quello che è per me uno dei più dolci ricordi della mia vita d'insegnante. Sì, sono stato maestro di Enrico Cerulli — per quanto non creda di avergli saputo insegnare gran che — un incredibile numero di anni fa, quando ero giovane professore di arabo e d'islamistica nell'Istituto Orientale di Napoli. Mi pare ancora di vederlo, sedicenne fanciullo prodigio dallo sguardo pensoso e dalla capigliatura folta (forse non mi crederete, ma era così ...), seguire l'insegnamento non già colla passività di chi non fa se non ricevere la parola altrui, ma colla partecipazione attiva di chi è già abbastanza maturo per cogliere dalla bocca del maestro non tanto una norma quanto uno stimolo. Quel fanciullo prodigio che a poco più che sedici anni aveva già studiato a fondo, col valente professor Francesco Gallina, le lingue semitiche di Etiopia e aveva imparato da sé quelle cuscitiche, frequentava assiduamente l'Ospedale militare di Napoli per intervistarvi gli ascari eritrei e somali convalescenti di ferite toccate in Libia, e si faceva dettare da loro, in quattro o cinque idiomi diversi, testi di ogni sorta: poetici, storici, giuridici ... Il suo primo lavoro originale a stampa, di amarico, che Ignazio Guidi presentò ai Lincei nel 1916 quando Cerulli aveva appena diciotto anni, è tale quale ogni studioso « qualificato » sarebbe orgoglioso di essere in grado di comporre. Quando, poco più che ventenne, entrò nell'amministrazione coloniale, godeva già di una reputazione scientifica che andava oltre i confini d'Italia, e che tuttavia celava accuratamente ai suoi superiori, i quali ne avrebbero certamente tratto motivo di biasimo … Nella « doppia vita » che da allora in poi ha condotta, si può dire, fino a ora, Cerulli ha percorso una delle carriere più brillanti che si ricordino nell'amministrazione statale: a trentanove anni era vice-governatore generale dell'Africa Orientale Italiana! Contemporaneamente, se il fanciullo è diventato uomo, il prodigio è rimasto: è infatti prodigiosa, per quantità e per qualità, la serie dei contributi fondamentali che egli ha dati alla scienza, accentrati dapprima nella Somalia, poi nell'Etiopia, finalmente spazianti in più larghi orizzonti. Caratteristica della sua indagine scientifica è (se così posso esprimermi) la « globalità ». Esploratore di regioni poco note di civiltà arretrata, ne raccoglie e studia tutto quanto si riferisce all'ambiente «umano» di esse, senza lacune: linguaggi, costumi, credenze, istituzioni; filologo e storico di civiltà più progredite, pubblica testi inediti, indaga fonti di storia politica, letteraria, religiosa, s'indugia in analisi minute, ardisce felicemente sintesi vigorose. La bibliografia degli scritti di Cerulli relativi alla Somalia e all'Etiopia è di un'ampiezza e di una varietà (e anche di una novità e genialità) stupefacenti. Ma anche più stupefacente è il fatto che quei due campi di ricerca, pur così vasti e impegnativi, non sono bastati alla sua curiosità insaziabile. La pubblicazione e l'illustrazione del « Libro etiopico dei Miracoli di Maria » gli porgono il destro a percorrere sovranamente tutto l'immenso territorio delle leggende religiose orientali e occidentali, sviluppando la ricerca oltre i confini del « religioso » per addentrarsi in delicate indagini di questioni di novellistica comparata, le quali richiedono, insieme colla piena conoscenza delle letterature d'Oriente, anche quella delle letterature d'Occidente. La pubblicazione e l'illustrazione del « Libro della Scala » (presunta fonte araba di Dante) lo conducono ad affrontare i problemi ardui e complessi dei rapporti tra l'Isiam e il Cristianesimo medievale, tra la filosofia di Avicenna e il platonismo di Marsilio Ficino. Ho già parlato a lungo, e ho soltanto sfiorato in superficie l'immensa materia elaborata da Cerulli in più che una dozzina di grossi volumi e in innumerevoli memorie, note, articoli. Ma non posso fare a meno di ricordare come questo grande orientalista (uno dei massimi nell'ambiente internazionale contemporaneo, e senza dubbio il primo tra gli etiopisti viventi) non dimentica di essere anche stato, e in parte di essere ancora, un amministratore, un giurista, un diplomatico. Sicché lo si vede ospite ambito e onorato, consigliere autorevole, partecipe acclamato di convegni internazionali in cui si studiano e si promuovono gli sviluppi legislativi dei nuovi stati africani: convegni nei quali si trova altrettanto « a casa sua » quanto nelle sedute accademiche e nei congressi scientifici. Un grande poeta mistico turco-persiano, Gelāluddīn Rūmī, rappresenta la difficoltà di comprendere appieno la complessità della dottrina e della pratica mistica mediante l'immagine di un gruppo di uomini che sono stati fatti entrare in una cella stretta e buia in cui si trova un elefante: ognuno ne palpa, senza vederlo, una parte differente, chi la proboscide, chi la coda, chi le orecchie, chi le zampe … Tratti fuori e richiesti di descrivere l'animale col quale sono stati a contatto, ognuno riferisce la propria esperienza, che naturalmente è diversa da quella degli altri; ognuno dice la sua verità, ma nessuno dice tutta la verità. Cerulli non è un elefante … Ma la difficoltà di dire adeguatamente che cosa egli veramente sia, di riassumere in una breve definizione la sua straordinaria figura di studioso e di uomo d'azione fa pensare all'allegoria rumiana: i semitisti dicono che è un sommo etiopista; gli africanisti lo collocano alla testa degli indagatori della civiltà cuscitica; per i linguisti è un glottologo; per gli etnologi e i geografi è un attento e preciso esploratore; per i « colonialisti » è un esperto di amministrazione e di legislazione; per gli islamisti è uno specialista dell'Islam africano e dell'escatologia musulmana; gli studiosi del Cristianesimo antico ammirano in lui il profondo conoscitore delle controversie teologiche e disciplinari e della letteratura agiografica delle Chiese orientali; i medievalisti ne lodano le ricerche sugli scambi di leggende religiose, di motivi novellistici, di tesi filosofiche tra Oriente e Occidente. Cerulli è tutto questo, e altro ancora; ed è poi un essere profondamente umano amabilmente aperto a « ogni leggiadro e caro adoperare », fornito anche di un senso dell'umorismo garbatamente partenopeo … Sopra ogni cosa, è uno scolaro che non dimentica i suoi vecchi maestri. La laurea ad honorem che oggi gli è solennemente conferita appare come un riconoscimento tardivo, quasi, direi, come una riparazione. Riparazione della non onorevole negligenza in cui la sua altezza scientifica è stata tenuta dall’Italia ufficiale a cominciare dalla vecchia amministrazione coloniale, la quale ha tenacemente ignorato che il segretario dr. Cerulli, il direttore comm. Cerulli il governatore Eccellenza Cerulli era anche il grande orientalista Cerulli - per finire, ahimé, coll’amministrazione dell'Istruzione Superiore, di cui, oltre alla ristrettezza dei ruoli, una disposizione emanata certamente « sotto buona intenzion che fé mal frutto », ha impedito che gli fosse assegnata una cattedra che egli avrebbe onorata quanto pochi o nessuno. Pensando malinconicamente a tutto ciò, in passato, mi ritornava in mente il verso lapidario che è inciso sotto la statua di Molière all’Accademia Francese: … « Rien ne manque à sa gloire: il manquait a la nôtre ». Veramente alla gloria dell'Università di Roma mancava la presenza di Enrico Cerulli; oggi, sia pure parzialmente, questa gloria è nostra - e siamo sicuri che anch’egli la sente come gloria sua. |
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AV |