Italiani brava gente? L'Italia e l'Impero

Una mostra di libri coloniali ed una intervista di Carlo Lucarelli ad Angelo Del Boca

Gian Carlo Stella

 

Nei giorni 4-24 giugno 2008, si è svolta la Mostra di libri coloniali posseduti dalla biblioteca “Walter Bigiavi” della Facoltà di Economia della Università di Bologna.

L’avvenimento era una prosecuzione del percorso iniziato nel 2005 con “Pagine d’Africa” e proseguito l’anno successivo con “Immagini d’Africa” e “Adua”, per cura ed iniziativa delle infaticabili bibliotecarie dell’Università  Dr.sse Carla Lazzari, Patrizia Pastore e Paola Rescigno che ne hanno anche curato la realizzazione.

La giornata inaugurale del  4 giugno ha avuto come avvenimento d’eccezione l’intervista dello scrittore Carlo Lucarelli al prof. Angelo del Boca, nell’Aula Magna della stessa facoltà di Economia.

La comunicazione con il prof. Del Boca è avvenuta attraverso videoconferenza, non avendo potuto intervenire di persona.

Alle ore 16, dopo le parole di benvenuto ed introduttive della Prof.ssa Fanny Stefania Cappello - che aveva accanto il Preside della stessa Facoltà Prof. Sandri Sandro - Lucarelli ha posto alcune domande a Del Boca, ricordando le sue giovanili e positive esperienze di italiano all’estero ed il fascino di mistero ed avventura che la statua di Vittorio Bottego in Parma gli aveva trasmesso, scoprendo che anche l’Italia aveva avuto il suo “Far West” con luci ed ombre.

Il prof. Del Boca, rispondendo a Lucarelli, ha ripercorso per sommi capi la storia dell’Italia in Africa, sottolineandone gli aspetti negativi e spiegando come sia nato quel falso luogo comune che identifica l’italiano come “brava gente”. 

Il pubblico ha partecipato con domande; è intervenuta anche la scrittrice e narratrice italo-etiopica Gabriella Ghermandi e l’Ing. Francesco Prestopino il quale ultimo, per sue esperienze personali e di studio, ha espresso perplessità sulle conclusioni del prof. Del Boca.

Il pomeriggio è proseguito con l’apertura della Mostra, dove erano esposti decine di volumi di carattere coloniale a testimonianza di quel periodo intenso della storia d’Italia. 

L’avvenimento culturale è stato ripreso dalla RAI Emilia-Romagna che ne ha dato notizia sul telegiornale regionale.

 

 

Punti di vista diversi

 

 

Uno che legge i libri di Del Boca sul colonialismo italiano si fa un’idea che tutti gli italiani che sono andati in Africa Orientale erano, salvo poche eccezioni, o delinquenti o imbecilli. Questa è perlomeno l’impressione che ho avuto io.

Mio padre è andato in Etiopia nel 1938 perché in Italia non c’era lavoro e aveva moglie e due figli da mantenere. Allo scoppio della guerra è stato richiamato, ha combattuto nella Somalia Britannica e nella battaglia di Cheren, dalla quale per fortuna è uscito vivo, è stato fatto prigioniero dagli inglesi, è riuscito a fuggire, poi ha trovato lavoro in Eritrea e in Etiopia, ed è rimpatriato nel 1965.

Mio padre, come tantissimi altri italiani che sono andati o nati nel Corno d’Africa, non era né un delinquente né un imbecille:  mio padre era un uomo onesto.

Il Del Boca è indubbiamente un grande storico (come non riconoscergli questo merito?) ma a me sembra condizionato da posizioni politiche intransigenti che non raccontano tutta la realtà. Ad esempio, il caso vuole che la mia famiglia, oltre al dramma africano, abbia vissuto anche quello dell'occupazione iugoslava dell’Istria durante e dopo la guerra, con il relativo esodo di 300.000 istriani che hanno dovuto abbandonare tutti i loro averi per sfuggire alle angherie, ai soprusi e alla barbarie dei titini. Mia nonna ha lasciato Capodistria nel 1952 dopo aver abbandonato la casa e aver nascosto tutti i suoi averi (10.000 lire) in un precario nascondiglio, ha vissuto dieci anni in un albergo a Trieste requisito per i profughi in Piazza dell’Unità, dieci per stanza con letti a castello, poi è morta nel campo profughi di Padriciano. Recentemente (9 febbraio) Del Boca è stato uno dei promotori a Milano Sesto San Giovanni di un congresso intitolato “FOIBE: la verità. Contro il revisionismo storico”, con il proposito di “dare una risposta politica determinata e documentata alle menzogne ed alle falsità di forze reazionarie e revisioniste”. I relatori erano, oltre a Matteo Dominioni che si è occupato del Corno d'Africa, Alessandra Kersevan, Luka Bogdanic, Sandi Volk, Pol Vice, Claudia Cernigoi, tutti, con esclusione dell’ultima, slavi con passaporto italiano.

Sia l’inaugurazione della mostra che il congresso di Milano si sono svolti senza contraddittorio, chiamando addirittura studiosi slavi a parlare delle foibe, crimine del quale gli slavi sono accusati. Pur avendo una grande stima per Del Boca come ricercatore, non posso non notare che i suoi scritti e conferenze riflettono le idee della sinistra estrema, la stessa sinistra che non vuol sentir parlare di foibe e, per giustificare l’occupazione cinese del Tibet, dice che i tibetani erano dei selvaggi e la Cina li ha civilizzati: paradossalmente sono le stesse identiche parole che dicevano i fascisti  italiani settant’anni fa. Sarebbe bello che il Del Boca scendesse per un momento dal suo solido piedistallo per parlare apertamente con noi,

Questa mia nota vuole onorare la memoria di mio padre, persona onesta, e difendere la dignità dei 350.000 esuli giuliani e dalmati, dispersi per il mondo e ormai quasi tutti scomparsi.

 

Alberto Vascon, 25-7-08

 

 

Negli interventi è detto, fra l’altro, che sulle foibe sono state scritte per decenni le menzogne più infami (Angelo Del Boca), e che l’esodo di 350.000 italiani dalla Venezia Giulia e dalla Dalmazia va inquadrato in un fenomeno di spostamenti di massa in Europa che coinvolse decine di milioni di persone dopo la fine della seconda guerra mondiale, e non è invece dovuto ai soprusi commessi dagli occupanti iugoslavi (Sandi Volk).

Il Convegno è del febbraio 2008, quindi i partecipanti erano a conoscenza del libro pubblicato a Lubiana nel 2000, tradotto in italiano nel 2005 con il titolo “SLOVENIA 1941 - 1948 - 1952 - Anche noi siamo morti per la Patria”:

 

 

Il libro, di oltre 700 pag., opera di cinque ricercatori sloveni dell' "Associazione per la sistemazione dei sepolcri tenuti nascosti", è una raccolta di testimonianze dei crimini sloveni in Slovenia. La Slovenia (territorio grande quasi come la Lombardia) è ultra satura d’enormi cimiteri nascosti di persone assassinate (pag. 675) e le testimonianze indicano che il numero dei massacrati dal 1941 al 1952 potrebbe certamente essere anche superiore ai 550 mila (pag. 682). Le fosse comuni scoperte sono 300, alcune contengono fino a 15.000 morti. La maggior parte sono sloveni, vi sono 220.000 croati, serbi, montenegrini, cossovari, ungheresi, tedeschi e italiani. Gli assassinati sono prigionieri di guerra e civili che si erano opposti al comunismo: gente disarmata e indifesa, anch'essi morti per la Patria.

 

Mappa delle fosse comuni scoperte in Slovenia fino al 2000

 

Il libro racconta di intimidazioni, minacce, vessazioni, licenziamenti, espropri, carcerazioni, delazioni, fucilazioni, scomparse di persone, foibe, campi di lavoro e di internamento, tribunali nelle osterie, processi di venti minuti, violenze e terrore ben oltre la fine della guerra.

 

A pag. 450 è riportato l’elenco delle foibe più importanti:

 

Fonte delle indicazioni: Catasto delle foibe JZS dr. Andrej Mihevc

Postumia, 16-11-1999

 

Qui sono elencate 41 foibe, e sono solo le principali.

 

Come si vede la storia delle foibe non è un’infame menzogna scritta per decenni. Quello che è successo in Slovenia è successo nella Venezia Giulia e in Dalmazia sotto l’occupazione iugoslava, e questo i partecipanti al Convegno lo sanno. E i 350.000 profughi, come dice Sandi Volk, non sono stati letteralmente cacciati: se ne sono andati.

 

 

 

 

 

Due dei quattro redattori del sito www.ilcornodafrica.it hanno rispettivamente comunicato e commentato un evento culturale organizzato dall’Università di Bologna: in occasione dell’inaugurazione di una mostra di libri coloniali Carlo Lucarelli ha intervistato Angelo Del Boca.

L’intervento preciso e mirato di Del Boca ha riproposto un tema a lui caro: gli italiani in  Africa Orientale, militari e civili, si sono comportati da avventurieri e despoti ben lontani dagli “Italiani brava gente” che molti invece sostengono per esperienza diretta.

In redazione sappiamo benissimo che le asserzioni di Del Boca sono frutto di un pregiudizio basato su argomenti insufficienti. Perché un valente studioso quale è Del Boca accomuna nel disprezzo tutti i civili e militari italiani che hanno vissuto o combattuto in Africa? Perché si rifiuta di approfondire serenamente questo argomento così importante non solo per noi che rappresentiamo l’ultima generazione di italiani che hanno vissuto nel Corno, ma per tutti (e sono ormai tanti) coloro che hanno un interesse per la storia di quei luoghi?

Abbiamo sempre sostenuto che, per quanto riguarda il Corno, è indispensabile separare i ruoli dei civili da quello dei militari, in quanto rappresentano due storie completamente diverse che mai si sono in qualche modo sovrapposte. Sempre a nostro parere, le argomentazioni di Del Boca a tal proposito, possono trovare una spiegazione se si considera una sua possibile  sudditanza ideologica che etichetta tutti gli italiani che hanno vissuto nelle nostre ex Colonie, dai primi pionieri alle ultime generazioni, come fascisti irriducibili e come tali “gente da condannare e dimenticare“.

Niente di più errato. In Eritrea e in Etiopia gli italiani non parlavano mai di politica. Mio nonno, giunto in Eritrea nel 1886, impresse nei figli un suo codice comportamentale coloniale: uno dei primi precetti raccomandava di non parlare mai di politica sia locale che italiana. Del resto non ricordo, nei tanti anni vissuti in Eritrea, di aver assistito a dibattiti politici, a prese di posizione, a discussioni fra amici o negli stessi ambiti famigliari.

Una delle argomentazioni che Del Boca riporta spesso a sostegno delle sue tesi, è che buona parte degli italiani presenti in Eritrea prima dell’aggressione all’Etiopia erano ex militari che avevano usufruito degli incentivi che elargiva il governo italiano per chi sceglieva di rimanere in Colonia. E allora? Cosa vuol dire? È un’evidente forzatura sostenere che, essendo prima  militari, dopo potevano essere solo degli avventurieri.

Mio padre, morto a 95 anni di cui circa 70 vissuti in Eritrea, mi ricordava spesso che nel 1935 tutti i civili, nonché i missionari cristiani, assistettero con profonda preoccupazione alla preparazione della grande macchina bellica per l’aggressione all’Etiopia; essi avevano già lottato per costruire abitazioni, infrastrutture e tanti posti  di lavoro, ed erano consapevoli che una guerra probabilmente avrebbe sconvolto le loro esistenze.

Va quindi fatta una netta distinzione fra civili e militari  italiani che ebbero a che fare con il Corno. Del Boca non distingue e accomuna tutti, nessuno escluso, in un unico calderone, dal quale traboccano l’infamia, la disonestà, la crudeltà e la criminalità.

No! Egregio professor Del Boca, noi non ci stiamo e, data la sua fama e autorevolezza, le chiediamo di riconsiderare questa parte importantissima della nostra storia. Non è vero che tutto quello che hanno fatto gli italiani in Africa orientale, l’hanno fatto per se stessi, ignorando la realtà indigena. Ho studiato alla Scuola di Medicina di Asmara. Eravamo per metà studenti italiani e per l’altra metà eritrei. Abbiamo ancor oggi, fra noi, rapporti di amicizia dopo una vita di collaborazione.

Esistono inoltre importanti documentazioni al riguardo: le infinite liste di imprenditori che dall’Italia sfidarono l’incerto per creare o continuare in A.O. una attività; i duemila profili di benemerenti contenuti nel volume “Chi è? dell’Eritrea” fatto stampare dal giornalista Puglisi in Asmara nel 1946 col beneplacito inglese, e l’attuale rivisitazione, aumentata di almeno 10 volte e riguardante tutti gli italiani d’Africa, a cura di Gian Carlo Stella; questo è un lavoro che ha richiesto all’autore più di trent’anni di ricerche. Da questa epica impresa  che riguarda i civili italiani vissuti nel Corno, emerge chiara la dimostrazione che questi sono riusciti a creare in Africa una colonia basata sul lavoro (quel lavoro spesso inesistente in Italia) e che ha continuato a funzionare senza soluzioni di continuità anche dopo il 1941, quando l’esercito italiano, sconfitto, dovette lasciare quelle terre in mano inglese.

Un’altra dimostrazione del buon lavoro svolto dai civili italiani può essere facilmente ricavata dai numerosi contributi pubblicati in cartaceo o sul web da militari americani che operarono alla Kagnew Station di Asmara dagli anni 50 fino alla  fine dei 70. Si creò un’ottima sintonia fra italiani, americani ed eritrei e ciò traspare dagli scritti dei militari USA.

Un’altra fonte attendibile e che mai viene consultata è l’archivio  del vescovado cattolico dell’Eritrea. Perché è sistematicamente ignorato?

Dove sono i documenti che accusano i civili italiani di aver commesso nefandezze in 70 anni vissuti in Africa Orientale? Cosa hanno fatto per non meritare, per il solo Del Boca e quelli della sua linea politica, il titolo di “brava gente”? Perché si insiste, inspiegabilmente, a non voler separare l’operato dei militari italiani da quello dei civili?

Non vale neppure il giudizio di Hailè Sellassiè, illuminato imperatore d’Etiopia, che non ebbe pace fino a che rimase un solo soldato italiano nelle sue terre, ma che non perse mai l’occasione, dal momento in cui gli fu concesso di riprendere il potere, di raccomandarsi ai civili italiani di rimanere in Africa, perché per lui erano l’asse portante dell’economia di tutto il Corno?

Per quanto mi concerne,infine, non ho memoria di atti delittuosi compiuti da civili italiani in Eritrea.

Quindi, egregio professore Del Boca, sappia che noi tutti ammiriamo il suo immenso lavoro di ricerca e di elaborazione inerente la storia dell’avventura italiana in Africa Orientale, ma la esorto ad aiutarci a ridare ai nostri padri e nonni, quella giusta e onesta considerazione che meritano. Mio nonno, giunto in Eritrea nel 1886, fu uno di quelli che permisero la costruzione della Cattedrale cattolica, mentre mio padre, fra le tante cose, è stato presidente per tanti anni dell’Azione Cattolica Eritrea. Una turba di zii e cugini, amici e conoscenti, si sono contraddistinti nelle loro occupazioni. Erano o sono tutte brave persone e hanno sempre lavorato tanto. Non è giusto infangare la loro memoria. 

 

Nicky Di Paolo, 28-7-08

 

Alcuni eminenti studiosi hanno scritto che gli storici usano i documenti a loro piacere per raccontare la storia così come la vogliono vedere loro e non per riferire la nuda e cruda verità dei fatti. Moltissimi storici fanno come i clienti dei pescivendoli: scelgono il pesce che più gli aggrada e lo cuociono secondo i propri gusti.

Io vorrei chiedere a Del Boca: perchè caro professore non ha trascorso qualche periodo della sua vita nel Corno e "toccato con mano" la realtà delle cose prima di immergersi nei documenti che, si sa, sono scritti da persone diverse con intenti diversi. C'è chi incensa spudoratamente e sbaglia; c'è chi denigra per ragioni personali, per astio, per rancore; c'è chi ha cercato di essere più equilibrato riconoscendo torti e benemerenze. Il semplice fatto che storici diversi raccontino "la storia" in modo diverso è la più lampante dimostrazione che questi studiosi delle vicende umane sono "vittime" del loro modo di vedere le cose, della loro appartenenza a quello o a questo schieramento.

In tutti gli eserciti del mondo, in tutti gli emigrati del mondo, ci sono state e ci saranno sempre le mele marce (cosa ne dice degli americani in Iraq, tanto per fare un esempio recente?), ma che uno studioso faccia di tutte le erbe un fascio è veramente deplorevole.

Se gli italiani nel Corno fossero stati come lei dice, perché alcune delle famiglie più in vista della comunità italiana erano famiglie miste? Basterebbe ricordare i Silla, i Pollera, i Nastasi, i Ghevrejesus..... Se gli italiani del Corno fossero stati tutte carogne come mai a decenni di distanza ascari e civili eritrei continuano a scrivere lettere e a tenere contatti con i loro amici italiani?

Dimentica, caro professore, che gli italiani aprirono scuole in tutti i villaggi d'Eritrea, scuole dove si insegnava il tigrignà, l'arabo e l'italiano? Che gli italiani approntarono dizionari e testi diversi in tigrignà per dare alla popolazione una lingua comune, per fare di clan e tribù un popolo unito? Come mai genti che vivevano al di là del Mareb entrarono in Eritrea e chiesero aiuto, assistenza e sicurezza agli italiani?

Potrei continuare all'infinito, ma tentare di convincerla a rivedere, anche solo parzialmente, le sue idee e i suoi preconcetti contro gli italiani del Corno sarebbe uno sforzo inane.

Io ho vissuto circa quarant'anni in Eritrea attraversando il periodo italiano, quello britannico, quello etiopico e quello della guerra di indipendenza: l'unico rimprovero che ho ricevuto dagli eritrei è stato per il mancato aiuto dell'Italia alla guerra d'indipendenza.

Gli italiani del Corno hanno trasformato gli eritrei in artigiani,operai specializzati, geometri, ragionieri, impiegati amministrativi, commercianti, piccoli imprenditori... l'Eritrea era diventata, se non la più prospera, senz'altro una delle più prospere  regioni di tutto il Continente.

Ma tentare un dialogo con lei è come instaurare un dialogo tra sordi: lei è così affezionato alle opinioni che si è fatto, che nulla la potrà mai scuotere: fermo ed irremovibile a difesa dei dogmi che si è costruito in decenni di astio verso gli italiani del Corno.

Nessuno le può impedire di continuare a distillare veleni: chi ha vissuto, lottato, lavorato, investito nel Corno sa che la storia è un'altra. 

 

Angelo Granara, 30-7-08

 

 

Gentili redattori,

anni fa ho conosciuto una simpaticissima Signora già asmarina che mi parlava con gli occhi lucidi delle bellezze dell'Eritrea e da allora ho cominciato ad informarmi per mio diletto sulle vicende dell'Africa Orientale Italiana.

Da un lato sfogliando per esempio i suoi Mai Taclì ne usciva una sorta di paradiso (perduto) quindi tutto bene, dall'altro lato volendo approfondire l'argomento su altri testi tra cui quelli ovviamente fondamentali del Prof. Del Boca ne scaturiva un'immagine completamente opposta quindi tutto male.

Mi chiedevo pertanto quale potesse essere la situazione più vicina alla realtà  e con la lettura del Vostro intervento su "Italiani brava gente?" ho avuto una risposta esauriente.

Vi ringrazio e un complimento al Vostro interessantissimo sito.

Cordiali saluti

Giorgio Fontana, Montagnana, 3 agosto 2008

giofon59@libero.it

 

 

     Caro sig. Fontana,

la ringrazio per la sua nota e per le gentili parole rivolte al nostro sito.

Una sola precisazione: la " risposta esauriente"  che tipo di parere  le ha permesso di ricavare?

Grazie ancora e cari saluti,

N. Di Paolo

 

 

Gentile Dott. Di Paolo,

già in altri articoli del sito ho avuto modo di apprezzare la Vostra serenità di giudizio e da tempo mi proponevo di chiederVi se almeno qualcosa di positivo fosse stato fatto in Africa Orientale dagli italiani.

Quindi il Vostro intervento su "Italiani brava gente?" ha rappresentato per me appunto una risposta esauriente, che condivido in pieno e che, considerate le opinioni che mi sono fatto, era proprio ciò che speravo di leggere.

Cordiali saluti

 

Giorgio Fontana, Montagnana, 4 agosto 2008

 

 

Il problema se gli italiani sono - o non sono - stati “brava gente” non sussiste. Non esistono popoli buoni e cattivi, ma condizioni o politiche che determinano fatti ed avvenimenti.

Mancando un parametro per stabilire i limiti di “bravura” delle varie genti (che mutano a seconda del tempo, delle religioni, degli usi e costumi,  della morale, della latitudine, dei fatti climatici o geologici, ecc.), diventa impossibile tracciare un modello generale resistente ed inattaccabile, né è possibile stilare una graduatoria.

Il fiorire in questi ultimi decenni di una letteratura coloniale italiana basata quasi esclusivamente sulla messa in vetrina di documenti riguardanti i panni sporchi che ogni nazione ha (da qui la domanda: “italiani brava gente ?”) è il segnale inequivocabile che siamo usciti dal buon senso per sprofondare nel nulla.

Chi porta avanti queste politiche lo fa per fini ideologici, e non per ristabilire “verità nascoste” che non esistono. Parlare di pagine di storia mantenute segrete sono voli di fantasia dettati - nella migliore delle ipotesi - dall’ignoranza di chi conduce le ricerche. È la storia riproposta ad effetto da individui politicamente schierati che, anziché spiegare gli avvenimenti con serenità ed obiettività, vi partecipano in maniera strumentale ed emotiva.

Non si vogliono negare le pagine oscure del colonialismo italiano, ma riproporre faziosamente con insistenza, petulanza ed ossessione, solo quegli avvenimenti  è scorretto,  grave ed inaccettabile.

Dalla metà degli anni ’70 il monopolio degli studi coloniali è stato - come detto - autoassunto da persone che inseguivano lo scopo di dimostrare la malvagità di tutta l’esperienza coloniale italiana. Gli italiani sono dipinti come i peggiori criminali al mondo, addirittura i più feroci e brutali. Le foibe le hanno inventate gli italiani, maestri insuperabili per eccidi, genocidi, massacri, ecc.; anzi, hanno fatto in Africa solo questo!

Quindi caccia aperta ad ogni tipo di fonte, orale o scritta, al fatto sensazionale in negativo, scandalistico, che poteva essere contenuto, estrapolato od evinto da epistolari od archivi; uno sforzo ideologico basato sulla scelta del materiale che confortasse questa loro teoria.

Il frutto delle “ricerche” di questi “studiosi illuminati” sono testi scritti con una prosa efficace, accattivante ed incalzante, pieni di note; testi  facilmente reperibili, consigliati a studenti e pubblicizzati da giornali e periodici. Ma contengono solo mezze verità (che spesso significa grandi bugie, non verità assolute), con scarso valore storico, venendo a mancare quel contesto generale dove si è sviluppato o dove è stato concepito quel fatto.

Libri faziosi che generano, nel lettore sprovveduto, un senso di angoscia che sfocia nel  disprezzo e nell’odio e che presentano un'Italia coloniale sconosciuta anche a quegli stessi che vi hanno partecipato in prima persona.

Il silenzio da parte di chi avrebbe dovuto/potuto ribattere a questa politica, spesso portati in causa da questi “ricercatori”, aggrava vieppiù la questione, al punto che il pregiudizio sulla criminalità dell’Italia in Africa, ingigantito anche dall’informatizzazione e da internet, viene dato pure negli ambienti accademici come reale e scontato, divenendo di rimbalzo verità di massa.

Questa stagione di deviazione culturale non è ancora chiusa ed ha creato una pletora di “ricercatori” politicizzati a senso unico (costoro non sono né studiosi né storici); ottimi scrittori ed affabulatori che si ergono a giudici moralisti ed infallibili, impegnati solo verso questo genere di indagine che trova in certa stampa nazionale ed in certi editori larghissimo spazio.

I loro scritti sono pieni  di livore, astio, rancore, disprezzo, odio ed offese; con titoli molto espliciti in negativo, con copertine raffiguranti indigeni arrestati, impiccati, bombe, simboli della morte, ecc. 

Sconosciuta la competenza, il buon senso, la logica, l’imparzialità, la pacatezza, la serenità, l’onestà intellettuale e soprattutto il distacco emotivo che un vero ricercatore “storico” dovrebbe avere nel suo DNA.

La domanda da farsi è se oggi esistono storici del colonialismo italiano. Un quadro desolante, un fenomeno ed una vergogna tipicamente italiana, sconosciuto a tutte le nazioni con trascorsi coloniali. Anzichè “italiani brava gente” bisognerebbe interrogarsi se questi ricercatori sono “brava gente”, in buona o cattiva fede.

 

Gian Carlo Stella, 23-VIII-2008

 

 

“La storia ufficiale non è tanto una registrazione di eventi passati, quanto una rassegna di credenze predominanti esposte da individui interessati.” Non ricordo chi abbia scritto questa frase e se le parole da me usate siano esattamente le stesse, ma in tutti i modi il senso è questo, e devo ammettere che purtroppo è vero.

Per quanto riguarda il nostro periodo coloniale, gli individui interessati sono stati: l’Italia liberale, la quale ragionava secondo lo spirito del tempo, ed il fascismo, secondo il quale, basandosi sull’ideologia di supremazia della razza, gli africani erano dei selvaggi e dovevano essere civilizzati. Entrambi ci hanno raccontato una storia falsata, piena di prosopopea ed atti di eroismo, dove è molto difficile districarsi, cercare il più possibile un minimo di verità e fare una sintesi seria.

Ora abbiamo un altro individuo interessato, Angelo Del Boca, un professore dogmatico con una visione manichea del mondo, il quale, ribaltando tutto, trova quasi un compiacimento nell’infamare l’Italia e gli italiani.

Scrive Franco Bandini nella prefazione del suo libro Gli italiani in Africa, storia delle guerre coloniali 1882-1943, pubblicato da Longanesi nel 1971: “Pare che oggi nella storiografia di maniera, nata all’ombra equivoca dello <<spirito della resistenza>>, non sia possibile scrivere delle imprese africane d’Italia se non con la obbligatoria pregiudiziale di un tal bilancio negativo, e comunque sullo sfondo di un giudizio morale del tutto manicheo: tigri bianche ed angeli neri. Con un tal sistema di coordinate e di prospettive, si raggiungono due risultati, sulla carta ragguardevoli: si possono condannare in blocco e senza appello le idee, le azioni ed i sacrifici di tutti coloro che ebbero la sfortuna di operare prima delle <<illuminazioni>> conseguenti al 25 aprile 1945, e si fa anche pochissima fatica. Tutto acquista una sua simmetrica chiarezza, ed il risultato finale forse non è altro che la rigorosa conseguenza di una <<giustizia>> della storia pertinacemente offesa dalle male arti dell’uomo bianco, e puntualmente ripristinata, da una zelante provvidenza, a favore della <<negritudine>>. Questo modernissimo ed abbastanza nauseante conformismo è il principale ostacolo, oggi, nel tentar di discernere l’unico vero errore che noi commettemmo in Africa, e quindi a trarne gli ammaestramenti dovuti. Cosa del resto indispensabile a comprendere ed a riconoscere un panorama anche più vasto, che è quello poi del rapporto col mondo del nostro paese negli ultimi cento anni.”

Caro prof. Del Boca, lei ha fatto ottime ricerche, anche se già state riportate da altri prima di lei, ma ha perso una grande occasione, che è quella di non aver saputo infrangere ciò che è scritto nella parte iniziale della mia lettera. Inoltre, visto che lei è così bravo, dia una mano a Giampaolo Pansa per portare alla luce altri crimini compiuti sempre da quelli che lei chiama “Italiani - Brava Gente”. Lei sicuramente potrà essere di valido aiuto.

 

    Libri consigliati, oltre naturalmente quelli del prof. Del Boca:

·         Franco Bandini - Gli italiani in Africa, storia delle guerre coloniali 1882-1943,

·         Longanesi – 1971

·         Anthony Mockler – Il mito dell’impero, storia delle guerre italiane in Abissinia ed in Etiopia, Rizzoli – 1977, titolo originale dell’opera: The war of the Negus, 1972

·         Carlo Zaghi – Le origini della colonia Eritrea, Licinio Cappelli Editore, Bologna – 1934

·         Guido Mattioli – L’aviazione fascista in A.O., Editrice L’Aviazione, Roma – 1937

·         Roberto Gentili – Guerra aerea sull’Etiopia 1935-39, Edizioni Aeronautiche Italiane, Firenze – 1992

 

Giorgio Barani, 14-9-08

 
 

Caro Nicola,

 

Ho letto il tuo scritto su Del Boca. Sono d'accordo nel giudizio negativo che tu dai ma non sono d'accordo sull'impostazione dell'argomento. Mi spiego: se tu affermi, anche indirettamente che sì, i militari erano carogne, ma i civili no, si comincia ad ammettere già qualcosa che, secondo me, non è esatto.

Qui o difendiamo gli ITALIANI o è meglio non mettersi a discutere perché alla fine gli diamo ragione. Lui potrà legittimamente affermare che gli stessi ex residenti in Eritrea ammettono che i militari sono stati delle carogne. Loro erano civili e quindi non ammetteranno mai le loro colpe... In Eritrea e dopo in Etiopia i militari italiani hanno fatto i militari: i militari non vanno in giro certo con il fucile col fiore nella canna. Nessun militare, sia inglese, tedesco, francese, italiano o.... bulgaro. Ma Graziani si è comportato da criminale. Va bene, anche io condanno Graziani, ma non l'esercito italiano.

Questa distinzione fra civili e militari che tu fai è ovvia anche perché i militari sparano e i civili no, ma non credo sia positivo nella difesa delle nostre CERTEZZE (almeno alcune) fare questa distinzione che, come ho detto, è ovvia e magari superovvia.

Lo "pseudo" potrebbe dire, ribadendo il concetto: i militari erano italiani ed erano carogne, quindi gli italiani sono carogne. Gli italiani sono anche civili e quindi... E' il famoso sillogismo di (Socrate?)

Non so se ti ricordi un articolo sul n. 2 - marzo-aprile 2001, "Guai ai vinti" nel quale contestavo passo per passo le argomentazioni che lui porta nel suo libro "La conquista dell'Impero" relative alle atrocità, al genocidio e all'uso dei gas.

Riceve il giornale ma, come ovvio, non ha replicato: che aveva da dire? Intanto leggiti anche "Una lettera al Prof. Del Boca" di Raffaele Vella che trovi in "storia" nel sito. Credo che questa sia la linea che dovremo seguire nel controbattere le affermazioni dello "pseudo". Dire e dimostrare che le sue tesi sono molto deboli se non addirittura false.

Nel Corriere della Sera di domenica 24 agosto scorso c'è un articolo di Claudio Magris intitolato "Il gusto dei massacri gonfiati". È molto significativo e duro verso gli pseudo storici (tipo Del Boca) che cercano di gonfiare e, dico io, di "immaginare" massacri e genocidi che in realtà o non ci sono stati, o sono la risultanza storica di battaglie, come tutte le battaglie successe nel mondo. E che non dovrebbero mai succedere nemmeno quelle, questo è ovvio!!!.

 

Ci sentiamo. Un abbraccio.

 Marcello Melani

 

 

Caro Marcello,

 

Questa problematica fra di noi c’è sempre stata e sempre ci sarà, ma non certo  intacca l’amicizia che ci lega da tanto  tempo.

 

Alcune mie asserzioni:

 

-    Il Prof Angelo Del Boca  è un autorevole storico, uno dei pochissimi che si sono occupati della storia delle colonie italiane. È molto considerato in Italia e all’estero. Lo leggo sempre con piacere. Mi fa imbestialire quando non distingue i militari dai coloni italiani.

-    Nessuno storico del calibro di Del Boca  esce allo scoperto per contestarlo.

-    Tu, a mio parere, ti comporti come Del Boca, anche se all’opposto, vale a dire sostieni che militari e coloni erano tutti brava gente il che, purtroppo, non si può sostenere.

-    Non me la sento di assolvere i militari italiani che aggredirono l’Etiopia perché non rispettarono assolutamente le norme dettate, fino a quel momento, dalle Convenzioni  di Ginevra.

-    I generali  di  un esercito eseguono gli ordini del proprio governo.

-    Il governo italiano e il suo esercito sono da condannare per quanto fecero in Etiopia.

-    In Eritrea al contrario il colonialismo è stato il più  umano di tutti quelli vissuti in Africa, con le sue pecche, naturalmente, ma erano peccati veniali.

-    Dopo il 1941 non sarebbe stato possibile per eritrei ed italiani  ridare vita ad un paese scosso dalla guerra se non ci fossero state prima buone relazioni fra  loro.

-    Posso testimoniare con assoluta onestà  intellettuale che non ho mai visto, né sentito parlare di crimini compiuti da civili italiani ai danni di cittadini  eritrei.

-    Sono tanti gli amici eritrei che condividono questi punti. Non è vero che gli shiftà fossero banditi eritrei (tesi sostenuta da chi vuol far credere che fra eritrei ed italiani non corresse buon sangue). Anche gli eritrei erano vittime degli shiftà : conservo, a disposizione di chi vuole consultarlo, l’elenco completo degli eritrei vittime degli shiftà , pubblicato dall’ “Association of italo-eritreans, Asmara” 1950. Le vittime eritree furono circa tre volte  più delle vittime italiane.

 

Questi dieci punti non vogliono  essere dei comandamenti. Sono un antimilitarista, ma non sono schierato politicamente. Il mio punto di vista può essere accettato o meno, ma non è influenzato da interessi  personalistici. Il Prof. Del Boca non ci risponde perché non ci considera e non posso dargli tutti i torti.

Nicky

 
 

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