Il colonialismo italiano

Vincenzo Meleca

 

Gentile Prof.essa Palma,

Ho letto con attenzione il Suo articolo in oggetto (https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/il-colonialismo-italiano-tra-riabilitazioni-e-rimozioni-23929) e non posso non manifestare il mio sconcerto.

Mi meraviglio che una persona che, come Lei, si interessa di storia, cada nel grave errore di non contestualizzare taluni episodi e, persino, di non verificarli di persona, recandosi nei luoghi e conoscendo usi e costumi locali.

Ho visitato l'Eritrea 23 volte e l'Etiopia 5, visitando i luoghi della prima penetrazione colonizzatrice e coloniale italiana, quelli della seconda guerra d'Etiopia, quelli della seconda guerra mondiale ed, infine, quelli del recente conflitto del 1998-2000 tra Eritrea ed Etiopia.

Ho incontrato e parlato con giovani ed anziani di entrambe le Nazioni che, mi creda, hanno comunque poco in comune.

L'atteggiamento non positivo degli Etiopici nei nostri confronti ha una sua logica spiegazione, in quanto la guerra del 1935/36 fu senz'altro una guerra d'aggressione. Ma una guerra in cui, se l'Italia fece uso sporadico di gas, l'Etiopia fece spesso ricorso a proiettili dum-dum (vietati anch'essi dalle convenzioni internazionali) e a mutilazioni sui combattenti avversari italiani ed eritrei, morti, feriti o prigionieri che fossero (sa cos'è, il "castrino"?). Quella stessa Etiopia, sia detto per inciso, che in quegli stessi anni continuava ad utilizzare la schiavitù e la tratta degli schiavi. Di tutto ciò, Lei non ne accenna minimamente.

Gli Eritrei, soprattutto quelli di una certa età, che ricordano ancora la presenza italiana, protrattasi significativamente fino agli anni Settanta del secolo scorso, hanno invece valutazioni in gran parte positive: dal nome della loro Nazione alle vie di comunicazione, dalle città e villaggi, dai piani urbanistici a quelli agricoli ed industriali, tutto attesta quello che di positivo fecero gli Italiani sin dal 1882.

Ricordi peraltro ben registrati da una giornalista e scrittrice britannica (britannica, pensi un po'!), Michaela Wrong che, nel suo "I Didn't Do It for You: How the World Betrayed a Small African Nation", la quale, dopo aver comunque analizzato criticamente il comportamento degli italiani, non trascura di annotare che, parlando con il tassista che la stava accompagnando all’aeroporto, si è sentita dire “Andava meglio sotto gli italiani”.

A proposito della contestualizzazione di determinati episodi avvenuti in occasione di conflitti, circa l'impiego vietato di gas asfissianti dopo la Prima Guerra Mondiale e fino al 1945, Le ricordo quello fatto, tra gli altri, dagli Spagnoli in Marocco contro i ribelli berberi, dai Sovietici per sedare una rivolta di braccianti a Tambov. E ricordo anche che gli Statunitensi erano pronti ad usarli in Italia e Germania nel 1943 (si veda in particolare l'esplosione nel porto di Bari il 2 dicembre 1943, del piroscafo John Harvey, che trasportava bombe per oltre un centinaio di tonnellate di iprite). Dopo il termine della Seconda Guerra Mondiale, varie altre Nazioni ne fecero uso, ma non è il caso che mi dilunghi ulteriormente.

Circa la vextata quaestio dell'obelisco (rectius: stele...) di Axum, mi pare che Lei abbia trascurato di accennare ad un particolare non trascurabile: nel 1969, il Ministro degli Affari Esteri ne predispose la restituzione, ma l’allora re Haile Selassie, visti gli elevati costi di trasporto, decise di lasciarlo in dono all’Italia.... 

Mi auguro che in futuro Lei non tratti argomenti storici con smaccati condizionamenti ideologici, soprattutto quando li espone ai Suoi studenti.

Saluti

Vincenzo Meleca

 

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