Le schede del Corno
 
 

 

Ras Alula Abba Neggà, Padre del Mattino

 

Il lunedì di Pasqua del 1868, gli inglesi sconfissero Teodoro a Magdala, poi la bruciarono, la saccheggiarono e se ne andarono con 15 elefanti e 200 muli carichi di tutti i tesori dell’Etiopia. Dopo le distruzioni di Ahmed Gragn di quattro secoli prima, questa era la seconda e definitiva grande rapina dell’Abissinia. Teodoro aveva portato sull’amba dedicata alla Maddalena tutti i tesori di Gondar, del Uoldebbà e del Tigrai. Napier se ne andò carico d’oro e di 600 preziosi manoscritti, che racchiudevano tutta la fede e le tradizioni abissine. Portò via anche il Chebra Neghèst della cattedrale di Aksum e l’icona del Quorata Reesù, che raffigurava Cristo con la corona di spine. Era l’icona più venerata in tutta l’Etiopia, l’icona che aveva accompagnato gli imperatori nelle loro battaglie e che la tradizione attribuiva all’opera di San Luca.

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Lord Robert Napier

Gli inglesi se ne andarono non senza aver compensato con una grande quantità di armi moderne il deggiazmàcc Cassa Mercia, capo del Tembièn, che non aveva ostacolato la loro marcia in Etiopia. Cassa, discendente dal ramo imperiale salomonide per via di madre, con l’aiuto delle armi inglesi non ebbe difficoltà a salire al trono d’Etiopia alcuni anni dopo. Fu incoronato imperatore nella cattedrale di Aksum il 21 gennaio 1872, e assunse il nome imperiale di Giovanni IV.

Giovanni IV

Come Teodoro, Giovanni voleva riunificare l’Etiopia, ma si trovò subito in difficoltà: a sud Menelik, re dello Scioa, ambiva al trono in quanto discendente, per via paterna, dall’imperatore Libne Dinghìl, mentre sui confini settentrionali e orientali premeva l’Egitto. Il viceré Ismail aveva infatti esteso il suo dominio lungo il Nilo Bianco ed ambiva a controllare il Nilo Azzurro, che era la fonte d’acqua principale per l’Egitto, paese, allora, provincia della Turchia. La facile vittoria di Napier su Teodoro aveva dato una falsa impressione della forza dell’Etiopia. L’Egitto era anche subentrato all’impero ottomano nel controllo del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano, aveva occupato il Senhìt in Eritrea e l’emirato di Harar in Etiopia.

Nel settembre del 1875 una compagnia di 2.000 soldati egiziani partì da Massaua, occupò l’Hamasièn e puntò verso Adua. Giovanni fece battere il chitèt e in due settimane mobilitò oltre 20.000 soldati. Il 16 novembre incontrò gli Egiziani a Gundèt vicino ad Adi Quala e li annientò. Uno dei suoi più valorosi generali era Alula Inghidà, nato da genitori contadini nel 1847 a Mennè (Tigrai), che aveva assunto il nome di battaglia Abba Neggà, Padre del Mattino. Gli egiziani tornarono con 15.000 uomini e furono nuovamente battuti a Gura il 7 marzo 1876 da un esercito di 200.000 abissini in una battaglia che durò 3 giorni.

Gura pose fine alle ambizioni egiziane sull’Etiopia, mentre ad Alula, per il coraggio dimostrato in battaglia, venne data in feudo tutta la regione a nord del Marèb fino ad Ailèt, chiamata allora Marèb Mellàsc.  Nel 1879 Alula venne nominato governatore del Tigrai.

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Ras Alula

Nel maggio 1881 la rivolta del mahdi cacciò gli anglo-egiziani dal Sudan, e ciò iniziò la fine delle ambizioni anglo-egiziane anche sui mari. Nel 1884 l’aumento del potere del Mahdi suggerì agli inglesi di abbandonare le ultime posizioni nel Sudan e di disimpegnarsi dal Mar Rosso. Il 5 febbraio 1885 il colonnello Tancredi Saletta sbarcò a Massaua con 807 uomini e diede inizio all’avventura italiana sull’altopiano etiopico.

I dervisci del mahdi premevano sul confine orientale, Alula partì e li battè a Cufìt. Gli italiani intanto avevano sostituito gli egiziani a Sahatì, e per questa situazione Alula imprigionò alcuni italiani (il conte Salimbeni, il colonnello Piano con suo figlio undicenne Emanuele, il conte Savoiroux ed un servo) e attaccò di sua iniziativa il posto il 25 gennaio 1887 con 10.000 uomini ma si dovette ritirare. Il giorno dopo decimò a Dogali in un’imboscata una colonna di 500 militari italiani che portavano soccorso alla guarnigione di Sahatì. La piazza dei Cinquecento a Roma, davanti alla stazione Termini, ricorda questa battaglia.

Nel luglio del 1896, riferendosi a questi fatti, ras Alula ebbe a dire al tenente Mulazzani: Con voi ho fatto grande questione per un piccolo pezzo di terra, arido, sabbioso e di nessun valore. Per la liberazione del ricco conte Savoiroux, Alula pretese ed ottenne un riscatto di 60.000 lire.

Gli italiani rioccupano Sahatì all’inizio del 1888 col gen. Alessandro Asinari di San Marzano, e Giovanni IV raduna subito 80.000 uomini che però non vengono a contatto con gli italiani. Dopo alcune settimane, Giovanni IV si ritira dalle sue posizioni per portarsi ai confini del Sudan, dove i dervisci minacciavano una invasione dell’Etiopia.

Alula, dopo una marcia di oltre 500 km, affronta i dervisci a Debra Tabor ma poi si trova in difficoltà a Sabbarà Dildì, sul Nilo Azzurro. Giovanni corre in aiuto del suo fedele generale, poi con 80.000 uomini marciano verso Metemma, sul confine sudanese. Il 9 marzo 1889 affrontano i dervisci e, quando gli etiopici avevano già superato le mura esterne della fortezza, Giovanni viene ferito mortalmente. Due giorni dopo, prima di morire, nomina suo successore il figlio Mangascià. L’esercito etiopico si ritira e Alula ritorna nel Tigrai.

Intanto, approfittando dell’assenza di Alula, gli italiani si spingono fino a Cheren ed Asmara, e schierano alcune truppe sulle rive del Marèb. Nel frattempo si erano svolte trattative fra l’Italia e Menelik, nell’intento di trovare un alleato contro Giovanni, e Antonelli aveva portato ad Addis Abeba una carovana di 580 cammelli con 5.000 fucili e cartucce. Menelik, che si era proclamato imperatore alla morte di Giovanni, con l’aiuto dell’Italia vuole battere Mangascià, anche lui proclamatosi imperatore. Il 2 maggio Menelik e Antonelli firmano il Trattato di Uccialli, la cui interpretazione porterà qualche anno dopo allo scontro frontale di Adua. Menelik si fa incoronare imperatore a Entotto il 3 novembre, poi marcia con un esercito di 130.000 uomini verso il Tigrai per sottomettere Mangascià. Il Tigrai è in subbuglio e Menelik cerca un compromesso con Mangascià. Mangascià si sottomette e riceve il Tigrai meridionale, Menelik torna nello Scioa.

Il 1° gennaio 1890 viene proclamata la Colonia Eritrea. Nei tre anni successivi Menelik allarga i confini dell’Etiopia fino a quelli che sono i confini attuali, ad esclusione del Tigrai settentrionale. Mentre gli italiani trattano con Menelik ma allo stesso tempo si preparano ad estendere il loro dominio verso sud, Menelik vuole avere le mani libere sul Tigrai e, undici giorni dopo aver ricevuto dall’Italia 2 milioni di cartucce, denuncia il Trattato di Uccialli, che stabiliva i confini della Colonia Eritrea non più a sud di Asmara. Lo scontro è inevitabile. Nei due anni successivi Menelik si prepara allo scontro, alla fine di ottobre del 1895 pone il suo quartier generale a Uorra Ilu vicino a Dessiè e manda avanti 30.000 uomini. Il 7 dicembre gli etiopici al comando di ras Maconnen, padre del futuro Hailè Selassiè, annientano i 2000 uomini di Toselli sull’Amba Alagi. Alula si trova nel frattempo con l’esercito di Maconnen.

Intanto a Macallè il Maggiore Galliano con 1400 soldati rinforza il forte in attesa dell’attacco scioano. Maconnen assedia il forte e alla fine di dicembre arriva anche Menelik. Ora gli abissini sono 100.000. Dopo quattro giorni di attacchi furiosi e 10 di assedio, e dopo alcune trattative, a Galliano viene concesso di allontanarsi con tutte le sue truppe dal forte.

Menelik propone di fare la pace e il 24 gennaio 1896 consegna a Felter una lettera per Umberto I. Poi prosegue per Adua. Maconnen tratta con gli italiani per avere i confini secondo il Trattato di Uccialli, cioè praticamente poco oltre Asmara, ma Crispi vuole attaccare da Adigrat.

Le brigate italiane sono disposte a Saurià, alle 9 di sera partono tre colonne, devono percorrere 15 km, 20.000 soldati contro 120.000 fucili e 20.000 armi bianche. All’alba del 1° marzo Maconnen, comandante in capo, scorge dal monastero di Abba Garima le truppe italo-eritree che procedono divise. Alle 6 comincia la battaglia, con Menelik e Taitù ad Abba Garima, ras Maconnen a Mariam Sciaoitù, con i temibili cavalieri galla, gli amara del beghemedìr, i trigrini dei ras Mangascià e Alula. Alle 10.45 è decimata la brigata Alberatone, a mezzogiorno la brigata Arimondi, alla sera la brigata Dabormida. Gli italiani si ritirano ad Adi Caièh. Sono morti 6.500 soldati e 2.000 sono stati fatti prigionieri. 15.000 morti fra gli abissini. Quasi 2.000 gli ascari catturati e fatti mutilare da Menelik del piede sinistro e della mano destra perché di nazionalità tigrai.

Alla battaglia di Adua avevano partecipato dozzine di differenti popolazioni provenienti da tutta l’Etiopia: soldati provenienti dal Tigrai con ras Mangascià e Alula, dall’Acchelè Guzai, dal Lasta, dal Uollo, dal Goggiam, dal Uollega, da Harar, dallo Scioa, e i temibili cavalieri galla dello Scioa orientale e dello Ieggiù. Adua è stata il simbolo di quello che è stato definito il “misterioso magnetismo” che tiene unita l’Etiopia.

Foto di Alberto Vascon

Adua 1896. All’alba del 1° marzo le brigate italiane si infilano in questa selva di monti e vengono annientate.

La battaglia di Adua portò, negli anni successivi, alla definizione dei confini con Menelik di quella che è oggi l’Eritrea.

Dopo Adua Menelik non invade l’Eritrea e torna allo Scioa. Nel Tigrai rimane Alula e Sebat con 10.000 uomini, mentre nel 1897 viene confinato allo Scioa ras Mangascià. Alula viene a battaglia con ras Agos, che si voleva impadronire del Tigrai. Ferito nello scontro, Alula morì il 1° marzo 1897.

La sua morte ispirò un poeta abissino che scrisse: Quegli Italiani si son rallegrati - A Roma hanno sparato i cannoni - presso il mare hanno sparato i cannoni - ad Asmara hanno sparato i cannoni - In luogo di ciò a Dogali i loro testicoli furono raccolti a manate: in luogo di ciò ad Adua i loro testicoli furono raccolti a manate. Ma Neggà è morto e ancora possono dormire tranquilli.

Alula aveva combattuto tutta la vita per l'Etiopia. Ebbe il grande onore di essere sepolto nel monastero di Abba Garima, vicino alla chiesa dove aveva pregato Taitù prima della battaglia di Adua. Sulla sua tomba c’è scritta una frase che Giovanni IV aveva rivolto ai suoi soldati dopo la battaglia di Gura:

Il Mar Rosso essendo stato creato confine dell’Etiopia, tale rimarrà…

Foto di Alberto Vascon

La tomba di Ras Alula ad Abba Garima.

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