Nel maggio 1881 la rivolta del mahdi cacciò gli
anglo-egiziani dal Sudan, e ciò iniziò la fine delle
ambizioni anglo-egiziane anche sui mari. Nel 1884
l’aumento del potere del Mahdi suggerì agli inglesi
di abbandonare le ultime posizioni nel Sudan e di
disimpegnarsi dal Mar Rosso. Il 5 febbraio 1885 il
colonnello Tancredi Saletta sbarcò a Massaua con 807
uomini e diede inizio all’avventura italiana
sull’altopiano etiopico.
I
dervisci del mahdi premevano sul confine orientale, Alula partì e li battè a Cufìt. Gli
italiani intanto avevano sostituito gli egiziani a
Sahatì, e per questa situazione Alula imprigionò
alcuni italiani (il conte Salimbeni, il colonnello
Piano con suo figlio undicenne Emanuele, il conte
Savoiroux ed un servo) e attaccò di sua iniziativa
il posto il 25 gennaio 1887 con 10.000 uomini ma si
dovette ritirare. Il giorno dopo decimò a Dogali in
un’imboscata una colonna di 500 militari italiani
che portavano soccorso alla guarnigione di Sahatì.
La piazza dei Cinquecento a Roma, davanti alla
stazione Termini, ricorda questa battaglia.
Nel luglio del 1896, riferendosi a questi fatti, ras
Alula ebbe a dire al tenente Mulazzani: Con voi
ho fatto grande questione per un piccolo pezzo di
terra, arido, sabbioso e di nessun valore. Per
la liberazione del ricco conte Savoiroux, Alula
pretese ed ottenne un riscatto di 60.000 lire.
Gli italiani rioccupano Sahatì all’inizio del 1888
col gen. Alessandro Asinari di San Marzano, e
Giovanni IV raduna subito 80.000 uomini che però non
vengono a contatto con gli italiani. Dopo alcune
settimane, Giovanni IV si ritira dalle sue posizioni
per portarsi ai confini del Sudan, dove i dervisci
minacciavano una invasione dell’Etiopia.
Alula, dopo una marcia di oltre 500 km, affronta i
dervisci a Debra Tabor ma poi si trova in difficoltà
a Sabbarà Dildì, sul Nilo Azzurro. Giovanni corre in
aiuto del suo fedele generale, poi con 80.000 uomini
marciano verso Metemma, sul confine sudanese. Il 9
marzo 1889 affrontano i dervisci e, quando gli
etiopici avevano già superato le mura esterne della
fortezza, Giovanni viene ferito mortalmente. Due
giorni dopo, prima di morire, nomina suo successore
il figlio Mangascià. L’esercito etiopico si ritira e
Alula ritorna nel Tigrai.
Intanto, approfittando dell’assenza di Alula, gli
italiani si spingono fino a Cheren
ed Asmara, e schierano alcune truppe sulle rive del
Marèb. Nel frattempo si erano svolte trattative fra
l’Italia e Menelik, nell’intento di trovare un
alleato contro Giovanni, e Antonelli aveva portato
ad Addis Abeba una carovana di 580 cammelli con
5.000 fucili e cartucce. Menelik, che si era
proclamato imperatore alla morte di Giovanni, con
l’aiuto dell’Italia vuole battere Mangascià, anche
lui proclamatosi imperatore. Il 2 maggio Menelik e
Antonelli firmano il Trattato di Uccialli, la cui
interpretazione porterà qualche anno dopo allo
scontro frontale di Adua. Menelik si fa incoronare
imperatore a Entotto il 3 novembre, poi marcia con
un esercito di 130.000 uomini verso il Tigrai per
sottomettere Mangascià. Il Tigrai è in subbuglio e
Menelik cerca un compromesso con Mangascià.
Mangascià si sottomette e riceve il Tigrai
meridionale, Menelik torna nello Scioa.
Il 1° gennaio 1890 viene proclamata la Colonia
Eritrea. Nei tre anni successivi Menelik allarga i
confini dell’Etiopia fino a quelli che sono i
confini attuali, ad esclusione del Tigrai
settentrionale. Mentre gli italiani trattano con
Menelik ma allo stesso tempo si preparano ad
estendere il loro dominio verso sud, Menelik vuole
avere le mani libere sul Tigrai e, undici giorni
dopo aver ricevuto dall’Italia 2 milioni di
cartucce, denuncia il Trattato di Uccialli, che
stabiliva i confini della Colonia Eritrea non più a
sud di Asmara. Lo scontro è inevitabile. Nei due
anni successivi Menelik si prepara allo scontro,
alla fine di ottobre del 1895 pone il suo quartier
generale a Uorra Ilu vicino a Dessiè e manda avanti
30.000 uomini. Il 7 dicembre gli etiopici al comando
di ras Maconnen, padre del futuro Hailè Selassiè,
annientano i 2000 uomini di Toselli sull’Amba Alagi.
Alula si trova nel frattempo con l’esercito di
Maconnen.
Intanto a Macallè il Maggiore Galliano con 1400
soldati rinforza il forte in attesa dell’attacco
scioano. Maconnen assedia il forte e alla fine di
dicembre arriva anche Menelik. Ora gli abissini sono
100.000. Dopo quattro giorni di attacchi furiosi e
10 di assedio, e dopo alcune trattative, a Galliano
viene concesso di allontanarsi con tutte le sue
truppe dal forte.
Menelik propone di fare la pace e il 24 gennaio 1896
consegna a Felter una lettera per Umberto
I. Poi prosegue per Adua. Maconnen tratta con gli
italiani per avere i confini secondo il Trattato di
Uccialli, cioè praticamente poco oltre Asmara, ma
Crispi vuole attaccare da Adigrat.
Le brigate italiane sono disposte a Saurià, alle 9
di sera partono tre colonne, devono percorrere 15
km, 20.000 soldati contro 120.000 fucili e 20.000
armi bianche. All’alba del 1° marzo Maconnen,
comandante in capo, scorge dal monastero di Abba
Garima le truppe italo-eritree che procedono divise.
Alle 6 comincia la battaglia, con Menelik e Taitù ad
Abba Garima, ras Maconnen a Mariam Sciaoitù, con i
temibili cavalieri galla, gli amara del beghemedìr,
i trigrini dei ras Mangascià e Alula. Alle 10.45 è
decimata la brigata Alberatone, a mezzogiorno la
brigata Arimondi, alla sera la brigata Dabormida.
Gli italiani si ritirano ad Adi Caièh. Sono morti
6.500 soldati e 2.000 sono stati fatti prigionieri.
15.000 morti fra gli abissini. Quasi 2.000 gli
ascari catturati e fatti mutilare da Menelik del
piede sinistro e della mano destra perché di
nazionalità tigrai.
Alla battaglia di Adua avevano partecipato dozzine
di differenti popolazioni provenienti da tutta
l’Etiopia: soldati provenienti dal Tigrai con ras
Mangascià e Alula, dall’Acchelè Guzai, dal Lasta,
dal Uollo, dal Goggiam, dal Uollega, da Harar, dallo
Scioa, e i temibili cavalieri galla dello Scioa
orientale e dello Ieggiù. Adua è stata il simbolo di
quello che è stato definito il “misterioso
magnetismo” che tiene unita l’Etiopia.
Foto
di Alberto Vascon |
 |
Adua 1896. All’alba del 1° marzo le brigate
italiane si infilano in questa selva di monti
e vengono annientate. |
La battaglia di Adua portò, negli anni successivi,
alla definizione dei confini con Menelik di quella
che è oggi l’Eritrea.
Dopo Adua Menelik non invade l’Eritrea e torna allo
Scioa. Nel Tigrai rimane Alula e Sebat con 10.000
uomini, mentre nel 1897 viene confinato allo Scioa
ras Mangascià. Alula viene a battaglia con ras Agos,
che si voleva impadronire del Tigrai. Ferito nello
scontro, Alula morì il 1° marzo 1897.
La sua morte ispirò un poeta abissino che scrisse:
Quegli Italiani si son rallegrati - A Roma hanno
sparato i cannoni - presso il mare hanno sparato i
cannoni - ad Asmara hanno sparato i cannoni - In
luogo di ciò a Dogali i loro testicoli furono
raccolti a manate: in luogo di ciò ad Adua i loro
testicoli furono raccolti a manate. Ma Neggà è morto
e ancora possono dormire tranquilli.
Alula aveva combattuto tutta la vita per l'Etiopia.
Ebbe il grande onore di essere sepolto nel
monastero di Abba Garima, vicino alla chiesa dove
aveva pregato Taitù prima della battaglia di Adua.
Sulla sua tomba c’è scritta una frase che Giovanni
IV aveva rivolto ai suoi soldati dopo la battaglia
di Gura:
Il Mar Rosso essendo stato creato confine
dell’Etiopia, tale rimarrà…
Foto
di Alberto Vascon |
 |
La tomba di Ras Alula ad Abba Garima. |