Le schede del Corno
 
 

 

Il Cardinal Guglielmo Massaja

 

Con i suoi 12 monumentali volumi intitolati “I miei trentacinque anni di missione nell’Alta Etiopia” - divenuto un classico della bibliografia missionaria cattolica -, il Cardinal Massaja si è imposto all’attenzione di molti, rivelandosi uno dei più grandi missionari-esploratori italiani.

Lorenzo Antonio Massaja nacque nella borgata “La Braja” di Piovà d’Asti (oggi Piovà Massaja) l’8 giugno 1809, settimo di otto figli di Giovanni e di Domenica Maria Bertorello, di agiata famiglia. Destinato per vocazione al sacerdozio, il 6 settembre 1826 vestì l’abito dei cappuccini, mutando il proprio nome in Guglielmo da Piovà, in onore del fratello maggiore don Guglielmo. Nel 1832 venne ordinato sacerdote a Vercelli e all’inizio dell’agosto del 1834 prese servizio religioso all’ospedale  Mauriziano di Torino, dove rimase fino al 1836.

Fu poi “lettore” di teologia e filosofia a Moncalieri-Testona.

Nel 1846 veniva trasferito al convento del Monte dei Cappuccini di Torino, e qui, il 12 maggio dello stesso anno, nominato Vescovo titolare di Cassia e primo Vicario apostolico tra i Galla. La cerimonia della consacrazione avvenne a Roma il 24 maggio, ed il 6 giugno il Padre Guglielmo da Piovà si imbarcò  da Civitavecchia per Alessandria d’Egitto.

 

Dopo trentacinque anni di Apostolato tra popoli barbari e musulmani,  condannato all’esilio, e allontanato per l’ottava volta da quei paesi ch’erano stati l’oggetto delle mie fatiche e della mia predilezione, e dove contava finire i miei giorni, io mi ero ritirato a Roma, per continuare ad assistere di là i miei figli etiopici, almeno con la preghiera: quando, senza che nemmeno vi pensassi, mi venne ingiunto dai Superiori di scriver la storia della mia lunga Missione.

 

Il 28 ottobre giungeva a Massaua, dove il 26 successivo incontrava Giustino De Jacobis, Prefetto Apostolico dell’Abissinia, ed assieme mossero verso l’interno del Paese l’8 dicembre.

In Etiopia Monsignor Massaja rimase per 35 anni e la sua attività missionaria viene oggi suddivisa in tre periodi:

1)      Il periodo di penetrazione: va dall’imbarco a Civitavecchia fino allo sbarco a Massaua dove si trattenne a lungo. Perlustrò i litorali del Mar Rosso e del Golfo Arabico nel vano tentativo di trovare una via, i mezzi ed i lasciapassare che lo facessero giungere nelle terre dei Galla, nel centro dell’Etiopia. Il 1849 lo trovò sempre fermo a Massaua dove consacrò vescovo il lazzarista  Giustino De Jacobis. Poi, osteggiato dal metropolita Abuna Salama II fu costretto nel 1850 a tornare in Europa a riorganizzare la sua missione.

2)      La missione galla propriamente detta. Le amicizie coltivate prima di imbarcarsi per l’Africa lo aiutarono a trovare fondi e salvacondotti indispensabili per raggiungere il territorio dei Galla in Etiopia in veste di missionario cattolico. Ripartì per l’Africa nel novembre del 1852 e questa volta raggiunse prima l’Ennarea dove fondò la sua prima missione (1854) e poi il Kaffa. Anche qui fondò un’altra missione (1855); un’altra ancora a Lagamara-Gimma nel 1859 e nel 1862 a Gudrù, in una specie di esilio decretatogli dal re Abba Gomol. Decise quindi di rientrare in Europa a reperire fondi, ma Teodoro II lo trattenne lasciandolo partire solo l’anno successivo. Si recò  in Francia dove fondò nel 1866 a Marsiglia il collegio S. Michele per l’educazione dei giovani galla e pubblicò la prima grammatica ed il primo catechismo in quella lingua. Per la sua missione trovò aiuti in denaro dall’imperatrice Eugenia e dal consorte Napoleone III.

Foto di Alberto Vascon

Il ciglione di Assandabò, sul Nilo Azzurro, la prima missione del Massaja. La valle del Nilo qui è profonda 1.400 metri.

3)      La missione scioana. Mentre attraversava lo Scioa nel 1868 per raggiungere nuovamente le sue missioni nel sud dell’Etiopia, venne catturato da Menelik II che lo obbligò a restare come consigliere reale. Non si perse d’animo, ma fondò missioni anche in quella regione: importante quella di Finfinnì, elevata nel 1886 a capitale dell’Etiopia con il nome di Addis Abeba.

E’ in questo periodo che diede prova di grande diplomazia, appoggiando e realizzando nel 1872 l’ambasciata del re dello Scioa che venne ricevuta a Napoli da Vittorio Emanuele II e la Spedizione Geografica Italiana in Etiopia. Queste due imprese gli valsero prima la nomina a Grand’Ufficiale dell’Ordine di San Maurizio e Lazzaro e poi, nel 1979, la nomina a plenipotenziario del “Trattato di amicizia fra S.M. il re d’Italia e S.M. il re dello Scioa”.

Nel 1879 Iohannes IV lo esiliò, e Massaja dovette, durante la stagione delle piogge,  raggiungere a tappe estenuanti Suakim, dove giunse un anno dopo nel 1880. ll viaggio fu tanto disastroso che Massaja fu più volte sul punto di morire tanto che i suoi collaboratori gli allestirono una bara, che lui usò come letto e come lettiga. Giunse a Suakim in brutte condizioni, ma riuscì ad imbarcarsi per Gerusalemme dove decise di rinunziare al Vicariato Apostolico dei Galla.

L’attività missionaria del Massaja fu quanto mai intensa: ebbe come base l’obiettivo costante dalla formazione della gioventù, spingendola al sacerdozio, abbinando alla evangelizzazione un autentica promozione umana, combattendo di persona contro le malattie endemiche, in particolare contro il vaiolo: veniva chiamato dagli etiopici “Padre del Fantatà (vaiolo)”. Lottò senza riserve per l’abolizione della schiavitù, e si trovò sempre in prima linea facendosi promotore di centri assistenziali, di iniziative per prevenire la carestia, la siccità, cercando in tutti i modi di pacificare le tribù in lotta, di promuovere lo sviluppo agricolo. Visse sempre di poco, tutto quello che riusciva ad avere lo donava ai poveri, col coraggio di dire sempre quello che pensava ai potenti, senza alcuna paura di ritorsioni, ma al contempo con una prudenza oculatissima che gli assicurarono una grande autorità morale.

4)       Periodo postmissionario. Il 2 agosto 1881 il suo mecenate Leone XIII lo consacrò Arcivescovo di Stauropoli e il 12 novembre 1884  lo elevò cardinale. Lo stesso pontefice lo invitò a scrivere le sue memorie che lo fecero conoscere al mondo. Esse rappresentano ancora oggi un ottimo punto per la comprensione dell’Abissinia dell’800. Nel cinquecentesco convento dei cappuccini di Frascati curò ed archiviò la grande raccolta di materiale raccolto (armi, suppellettili, costumi ed oggettistica la più varia). Ispirò numerosissimi missionari e influì mirabilmente su molti fondatori di congregazioni religiose. Morì a San Giorgio a Cremano (Napoli) il 6 agosto 1889.

Nel 1892 gli venne eretto un monumento a Frascati, opera dello scultore Cesare Aurelj, collocato nella Chiesa dei Cappuccini, dove nel 1909 venne inaugurato il suo Museo. Nel 1914 iniziarono i processi per la sua beatificazione. Lo Stato italiano gli dedicò nel 1952 un francobollo da 25 lire, realizzato dall’artista Mario Colombati.

L’opera del Massaja fu ripresa, agli inizi del ‘900, dai Missionari della Consolata di Torino.

 
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