Quando
dal XIX secolo gli europei cominciarono a viaggiare sulle
coste del Mar Rosso, furono sorpresi di trovare gli
abitanti di quei luoghi in possesso di una grossa moneta
d’argento austriaca che circolava liberamente, mentre
qualsiasi altro tipo di denaro cartaceo o di metallo veniva
dagli indigeni perentoriamente rifiutato.
Questa
particolare moneta veniva utilizzata anche in Abissinia
quando gli italiani vi giunsero verso la seconda metà
dell’800.
La storia
di questa moneta è interessante e vale la pena ricordarla a
grandi linee.
Il tallero, di conio austriaco, affonda le sue origini e la
sua destinazione negli storici pezzi di argento emessi da
quegli Stati europei che nel ‘600 e nel ‘700 esercitavano
traffici con i paesi d’oltremare ed in particolare con
quelli d’Oriente. In quell’epoca erano nate infatti la
“colonnata” spagnola, la “pataca” portoghese, la “piastra”
messicana, che volevano essere le prosecutrici delle più
antiche “piastre” venete, monete che avevano tutte lo scopo
di permettere attraverso un soldo, il cui valore era
assicurato da un adeguato peso in argento, scambi
commerciali sicuri con paesi privi di un proprio conio.
Maria Teresa d’Austria nel 1780, nella sua multiforme opera
volta all’incremento economico e commerciale del proprio
paese, dette la vita al “tallero” che prese presto il suo
nome; questa nuova moneta, favorita dal ruolo di protettore
dei beni dei cattolici in Oriente che assunse l’impero
d’Asburgo, si radicò presto e saldamente lungo tutti i paesi
che si affacciavano sul Mar Rosso e sul Golfo di Aden.
Il
tallero di Maria Teresa venne coniato in Austria in varie
città, tra cui anche a Milano, Trieste e Venezia, allora
sotto il dominio austriaco, e circolava da quasi un secolo
come unica moneta di scambio nelle due coste del Mar Rosso
nonché in tutta l’Abissinia. Quando l’ex missionario
lazzarista Giuseppe Sapeto acquistò la baia di Assab, pagò
con questa moneta. Seimila talleri fu il prezzo
dell’acquisto, e le monete espressamente richieste dal
Sapeto in Italia con l’avvertenza che le perle della spilla
della sovrana fossero ben in rilievo poiché in caso diverso
non sarebbero state accettate dagli indigeni
Quando, qualche anno più tardi, il Governo italiano fece
nascere la Colonia Eritrea, in considerazione del fatto che
la presenza radicata del tallero non poteva improvvisamente
e repentinamente essere modificata, si astenne per i primi
tempi dal cercare di variare quello stato monetario,
adottandolo parallelamente alla moneta italiana nella
gestione dei relativi bilanci.
Con
questa politica, nei primi mesi del 1885, appena occupata
Massaua, l’Italia ordinò all’Austria 500.000 Talleri di
Maria Teresa, e nel 1887, al tempo della prima guerra
d’Africa, ne chiese il conio, ricevendone un rifiuto. Altro
dinieghi ebbe nel 1918 e nel 1922.
Il flusso di talleri dall’Austria verso il Corno d’Africa fu
molto sostenuto nel corso di quasi due secoli. Si calcola
che al 1935 ne circolassero nella sola Etiopia oltre 43
milioni di pezzi.
D’altra
parte gli scambi commerciali in quei paesi, alla fine
dell’800, avvenivano per la stragrande maggioranza per
baratto di merce contro merce ed anche lo stesso tallero
veniva considerato dalle popolazioni locali più come una
merce di scambio che come una moneta, per il valore
intrinseco dell’argento in esso contenuto.
La grossa
moneta aveva un diametro di mm. 39,5, pesante gr. 28,0668 di
argento (con 2 millesimi e mezzo di tolleranza) ed un titolo
del metallo di 633,66 (con una tolleranza di 2 millesimi e
mezzo), rappresentando una sicura garanzia di valore non
disgiunta da un pregio estetico che lo rendeva molto
ricercato come monile.
L’Italia
comunque, con il passare degli anni, aumentando la sua
influenza nel territorio africano, cercò in più riprese di
disciplinare la circolazione della moneta tentando di
conciliare le esigenze della vita locale con quelle del
prestigio nazionale: non si poteva infatti tollerare
l’adozione di una moneta straniera nel proprio territorio.
Tutti i tentativi effettuati prima del 1925, tendenti a
sostituire il tallero di Maria Teresa nel Corno d’Africa,
fallirono. Il primo tallero eritreo (del valore nominale di
5 lire) venne coniato nel 1891; il secondo nel 1918.
Sarebbe troppo lungo enumerare e descrivere le vicissitudini
di questi esperimenti. Basterà ricordare che la creazione di
speciali divise come il tallero italiano, la rupia italiana,
il tallero eritreo, non riuscirono mai a sostituire quella
di Maria Teresa. Addirittura il tallero eritreo del 1918
venne coniato ad imitazione di quello austriaco: al busto di
Maria Teresa si sostituì una raffigurazione ideale,
femminile, dell’Italia, mentre nel retro lo scudo sabaudo
poggiante su un’aquila tentava imitare lo stemma absburgico
che poggiava su un’aquila bicipite.
Questo
nuovo tallero, benché più puro come titolo di argento, non
ebbe fortuna, e la forte coniazione venne rifusa per
coniare altre monete. Il valore del tallero fluttuava
liberamente per quel controllo naturale che rispettava
esattamente il valore corrente dell’argento.
Può
consolarci il fatto che anche Menelik fece coniare in
Francia un tallero simile a quello di Maria Teresa, con la
sua effige al posto di quella della sovrana europea e con il
leone di Giuda nel retro, ma non ebbe più fortuna di quelli
italiani.
Il
tallero detto di Menelik avrebbe dovuto conseguire due scopi
bei precisi; soppiantare quello di Maria Teresa. e far
conoscere al mondo l’indipendenza e la civiltà
dell’Abissinia. I primi talleri vennero coniati a Parigi,
rispettando misura e peso a somiglianza di quello di Maria
Teresa, ma con meno titolo di argento.
Il 6
megabit 1887, corrispondente al 15 marzo 1895 del calendario
gregoriano, Menelik fece emettere il bando riguardante il
corso obbligatorio della nuova moneta, ma incontrò
immediatamente la generale diffidenza dei suoi sudditi.
Nel 1904
fece impiantare in Addis Abeba la zecca, affidandone i
lavori all’ing. austriaco Hentze. I macchinari però, a
quanto si scrisse, avevano potenza sufficiente a coniare
solo i pezzi divisionari della moneta, per cui la coniazione
fu restituita alla zecca di Parigi.
Se i
primi talleri di Menelik contenevano grosso modo la
percentuale di argento prescritta, nelle successive
coniazioni il titolo del metallo scese anche di parecchio,
tanto che al 1912 erano accettati solo dalla Banca di
Abissinia e nelle dogane di Addis Abeba, Dire Daua e Harar.
A nulla valsero i molti bandi governativi, alcuni
comminatori di pene le più severe per chi li rifiutava.
Si è calcolato che al 1935 circolassero in Abissinia circa
200.000 tolleri di Menelik, contro i 43 milioni stimati di
Talleri di Maria Teresa.
Il 9
luglio del 1935, alla vigilia della campagna d’Africa,
l’Italia riuscì finalmente a concludere con l’Austria un
accordo, mediante il quale si assicurò per 25 anni il
diritto esclusivo di coniazione del Tallero di Maria Teresa
(con titolo dell’argento di 835 millesimi), e la zecca di
Roma provvide ad inviare in Africa Orientale diciotto
milioni di pezzi che si andarono ad aggiungere ai
quarantatre milioni stimati, già circolanti.
Dall’agosto 1935 al maggio 1937 la zecca di Roma coniò ed
inviò in Africa 18 milioni di pezzi, in attesa di provvedere
alla definitiva sistemazione della moneta nell’Impero.
Il 5
gennaio 1938 un Decreto Ministeriale sospese ufficialmente
il cambio dei talleri contro lire, ponendo la grossa moneta
austriaca allo stato di semplice merce di scambio ed il
prezzo dettato dalla quotazione dell’argento.
Ma la
storia non finisce qui. Infatti l’Inghilterra,
interpretando a suo modo l’accordo italo-austriaco del 9
luglio 1935, poggiando le sue argomentazioni sul fatto che
l’Austria aveva rinunciato al diritto di conio della
prestigiosa moneta, iniziò a coniare il tallero di Maria
Teresa, inviandone enormi quantitativi in Africa orientale,
che servirono per i suoi fini politico-militari. Solo nel
1961, su pressioni austriache, l’Inghilterra ne cessò la
coniazione.
E’ quindi
comprensibile come ancora oggi circolino talleri di Maria
Teresa in Eritrea ed in Etiopia: la cosa curiosa è che tale
moneta non viene trattata per il valore numismatico indicato
in Europa, in verità logicamente modesto, ma mantiene ancora
una corretta quotazione del tutto identica a quella attuale
dell’argento.
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