La battaglia di Adua nelle prime notizie, dispacci, telegrammi, relazioni, inchieste e negli scritti editi dai miltari italiani superstiti* |
Gian Carlo Stella 1996 |
*[Relazione presentata alla “Addis Ababa University, Institute of Ethiopian Studies”, in occasione della Conferenza sul Centenario di Adua (“Adwa Centenary Conference”), e pubblicata in: Adwa, Victory Centenary Conference. 26 February - 2 march 1996, a cura di H. AHMAD ABDUSSAMAD e Richard PANKHURST, Institute of Ethiopian Studies Addis Abeba University, 1998 (Addis Abeba, Berhanena Selam Printing Enterprise, pp. 698 con ill. n. t.)]. La relazione, scritta nel 1995, è arricchita da 145 note esplicative che qui si sono omesse per non appesantirne il testo. Aggiornata ed aumentata, sarà tra poco pubblicata a stampa.
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Il 1° marzo del 1896 il Corpo di Operazione italiano, comandato da Oreste Baratieri, veniva battuto in poche ore presso Adua dall'esercito etiopico di Menelik II. Su questo rovescio, sulle cause che lo determinarono e sugli effetti che ebbe nella storia dei due Paesi, molto è stato pubblicato. Anche sugli aspetti tecnici dello svolgimento della battaglia si è avuta una notevole produzione, iniziata quasi immediatamente dopo il disastro e che certamente continuerà ad interessare gli studiosi permanendo sull'accaduto aloni di mistero. Questa mole di scritti, parecchi dei quali "son critiche delle critiche; ed ancora critiche delle critiche delle critiche", fa si che il "fatto originario è andato sepolto sotto una selva così fitta ed intrigata di chiose, di ragionamenti e d'arzigogoli dialettici, che riesce assai arduo ricostruire, in una linea semplice e chiara, lo svolgimento stesso dell'azione". Doveroso quindi riandare alle origini, ed in tal senso gli scritti dei reduci rivestono una importanza fondamentale, sebbene anche su questi sia necessario operare una severa critica. Un lavoro comunque difficile da svolgere, per la mancanza di molti punti oggettivi di riferimento. Per meglio dire, le notizie che si hanno intorno ad Adua sono tanto copiose quanto contraddittorie, da rendere problematica l'accurata e serena ricostruzione dell'avvenimento, offrendo facilità alle più svariate interpretazioni. Le ragioni di questo assurdo sono riconducibili sostanzialmente a due fattori: la difesa da parte dei protagonisti del proprio operato sul campo, e la soggettiva - quindi diversa - interpretazione e valutazione di fatti, avvenimenti, comportamenti ed azioni. I rapporti e le relazioni che centinaia di ufficiali superstiti stesero d'ufficio, e la loro produzione letteraria sono chiari in questo senso. Purtuttavia, l'asse portante di Adua, a nostro parere, ebbe già modo di essere conosciuto nella sua realtà proprio all'indomani della battaglia, attraverso i primi dispacci, inchieste e relazioni, come abbiamo tentato di evidenziare. Far luce sulla causa della disfatta, richiederebbe uno studio specifico, il cui risultato pur ugualmente si appalesa nelle righe che seguono. Abbiamo anche proseguito nello spoglio cronologico delle voci dei testimoni e protagonisti, così da offrire un panorama dell'edito sino ai giorni nostri, tralasciando volutamente di segnalare minori testimonianze, rimandando alla seconda edizione della nostra bibliografia su Adua. Lo scritto che segue tenta quindi di ricostruire come e quando la notizia dell'avvenimento uscì dal campo di battaglia, e come la conoscenza dello svolgersi del combattimento sia giunta sino ai giorni nostri attraverso telegrammi, comunicati, inchieste, relazioni e narrazioni degli stessi protagonisti. * * * 1° Marzo, domenica. Verso le ore 10 di quel 1° marzo, iniziano a ritornare al campo di Saurià, nell'Enticciò, da dove erano partiti la sera precedente, i primi scampati della battaglia. Sono ascari della Brigata Albertone. Vi giunge anche un ufficiale italiano a cavallo, portando la notizia del combattimento in corso. Alle 10.30 il tenente Raimondi, rimasto a Saurià perché ammalato, è avvisato da un soldato dell'avanzarsi della cavalleria Galla, che respinge a fucilate anche alle ore 13. Prima delle 11, si vede sul colle Zalà giungere una "tumultuosa fiumana" di gente: "ascari, soldati bianchi, ufficiali, gente appiedata e montata, donne, fanciulli" verso l'imbocco che porta al colle di Mai Gabetà. E' la Brigata Albertone che, battuta presso Adua e sospinta dall'avanzare degli abissini, non trattenuta dalla presenza della Brigata Arimondi, si riversa nelle retrovie. Ad essa, si uniscono anche soldati della Brigata Arimondi. Intanto, sul campo di battaglia, verso le ore 12 Baratieri, che sosta sul Rebbì Ariennì per vedere l'esito dell'azione dell'ultimo reggimento di riserva, ordina al suo Capo di Stato Maggiore, Valenzano, di retrocedere e preparare una resistenza. Ma Valenzano, impossibilitato ad eseguire l'ordine, procede nel ripiegamento e di propria iniziativa incarica nello stesso tempo il tenente Bodrero di recarsi a Saurià e ad Enticciò per ordinare alle salmerie lì rimaste di ritirarsi, e di telegrafare sia al Governo della Colonia la sconfitta e ritirata del Corpo d'Operazione, che al colonnello Di Boccard di mantenersi col suo reggimento a Mai Maret quale sostegno. Bodrero, incolpando uno zaptiè di avergli fatto sbagliare strada, non si porta nelle retrovie italiane, e solo alle ore 10,20 del giorno successivo, come vedremo, da Addì Caièh riuscirà a telegrafare la notizia a Massaua. A Saurià, frattanto, già alle ore 13, spontaneamente, viene radunata una grossa carovana per il ripiegamento; alle 14 circa, narra il tenente Augusto Vaccari, giunge un tenente al galoppo avvertendo dell'avanzata degli abissini e del precipitoso ripiegamento degli italiani. Verso le ore 15 proseguono anche qui le fucilate, per le infiltrazioni della cavalleria Galla, e ciò causa anche la chiusura della stazione telegrafica che in seguito verrà bruciata. Alle 16 i tenenti Vaccari e Pierucci, incolonnato il parco buoi ed i muli, iniziano la ritirata sospinti dai fuggiaschi, subito disturbati, percorsi 400 metri, da un intenso fuoco sul fianco sinistro. Con loro anche Felter, il sottotenente Giusto, il capitano Mondelli, etc. A quest'ora (verso le 16), narra il tenente Sapelli che egli, tornato al colle Zalà, comunica al "comandante perché informasse a sua volta dell'avvenuto combattimento chi aveva maggiore autorità". Il maggiore Angelotti, comandante della tappa di Enticciò, già a giorno della situazione per il giungere continuo di reduci e feriti tra cui il maggiore Cossu, con le truppe a sua disposizione (700 fucili) procede ad una prima sistemazione a difesa e cerca portarsi al colle Zalà, distante 3 km. dal magazzino, per arginare l'irrompere dei fuggiaschi e del nemico, e lasciare tempo alla colonna viveri di ritirarsi. Alle 18, Felter e Sapelli sono al colle di Gabetà, poi, separatisi, il gruppo con Felter alle ore 21 giunge a Debrà Damò, stazione telegrafica e presidio di una compagnia del 12° Battaglione Fanteria Africa, del reggimento Di Boccard. All'arrivo di questo gruppo, il comandante del distaccamento invia a Di Boccard, che è a Mai Maret col grosso del reggimento, il seguente telegramma, ricevuto alle ore 22: "Giunsero adesso il capitano Guadagni e alcuni fuggiaschi da Entisciò. Pare che siavi stata una battaglia disastrosa". E' la prima notizia della disfatta che corre sul telegrafo. Di Boccard tenta comunicare per la conferma a Saurià, e rilanciare a Massaua la notizia, ma queste linee non rispondono. Frattanto Felter, informato dal telegrafista di Debrà Damò che nessun dispaccio era da qui partito verso la Colonia Eritrea, invia il seguente telegramma, alle ore 22: "A tutti i presidi della Colonia, al Vice Governatore di Massaua, ai Comandanti di Fortezza. Preparatevi a ricevere il corpo d'operazione che è stato disfatto dagli abissini, a Lei Comandante il forte di Adigrat, provveda perchè potrebbe venire assediato. Felter". Il messaggio è diramato a tutti i posti abilitati, ma viene ricevuto solamente a Mai Maret. Di Boccard, sull'insistenza in pochi minuti della grave notizia, ordina l'immediato ritiro del distaccamento di Debrà Damò su Mai Maret, e telegrafa diramando il dispaccio di Felter, che viene ricevuto sicuramente ad Adigrat e ad Addì Caièh. E' il primo annuncio della disfatta che raggiunge la Colonia Eritrea. Questo il testo: "Da Debra Damo, dove Felter appartenente al Quartier Generale è testè giunto, si avverte telegraficamente di tenersi pronti a conservare questa linea di comunicazione ed il ciglione, perchè corpo operazione sta per venire ad occupare questa zona e mi prega avvertire la S.V. - Le comunicazioni con Saurià sono rotte, non ho quindi notizia ufficiale, ma mi risulta che il presidio di Entisciò e diversi drappelli con feriti sono in piena ritirata su Mai Maret in seguito ad un attacco sfavorevole che sarebbe stato eseguito la mattina del 1° marzo dai nostri contro Adua. - Io non muoverò di qui senza ordini superiori, ma mi preparo a poter muovere subito in qualsiasi direzione". Frattanto, distrutto il posto telegrafico di Debrà Damò, Felter e gli altri alle ore 24 giungono a Mai Maret.
2 marzo, lunedì. Da Mai Maret, alle ore 7, Di Boccard ritelegrafa per istruzioni ad Addì Caièh al capo dell'Intendenza, colonnello Ripamonti, ed al comandante del presidio di Asmara, colonnello Pittaluga. Per altre vie, alle ore 8, il capitano Cantoni da Mai Ainì telegrafa a Massaua al Vice Governatore Lamberti (e contemporaneamente ai presidi di Asmara, Addi Ugri, Addì Qualà e Mai Maret), che due ascari fuggiti da Adua il giorno prima, annunciavano la ritirata del Corpo di Operazione di Baratieri. Alle 9,15 Felter, che chiaramente influenza Di Boccard intendendo allontanarsi sulla via di Barachit, telegrafa, non si capisce a quale titolo, da Mai Maret al Lamberti a Massaua: "... credo opportuno il ripiegamento su Adi Cajè dei presidi di Mai Maret e Barachit", ingerendosi così in questioni che non lo riguardano e che provocheranno danni e lutti. Ma la conferma tangibile del disastro, avviene tra le ore 9 e le 9,30, quando giungono a cavallo in Addì Caièh i tenenti Bodrero (ferito leggermente alla spalla), Pavoni (ferito al petto), Marozzi, ed il capitano Caviglia, tutti del Quartier Generale di Baratieri. Alle 10,20 il tenente Bodrero, e non si capisce perchè non lo faccia il capitano di Stato Maggiore Caviglia, finalmente telegrafa a Lamberti: "Battaglia iniziata ieri mattina contro Adua convertissi in breve in vero disastro irreparabile pel corpo di operazione. Telegrafo d'ordine colonnello Valenzano. Segue telegramma con particolari". Alle 10,50 Bodrero invia maggiori notizie, fra cui quella che Baratieri fosse quasi certamente morto e che ad Addì Caièh era anche il capitano di S.M. Caviglia. Su questi telegrammi, e su quelli successivi provenienti da altre località, e firmati Ripamonti, Folchi, Pittaluga, etc., il Lamberti compila la prima notizia della battaglia, spedita al Ministero della Guerra a Roma alle ore 14,30: "Massaua, 2 marzo 1896. Telegrammi arrivati ora da Adi Cajè informano governatore si è deciso sera 29 attaccare mattina seguente posizioni scioane in tre colonne: sinistra Albertone, quattro battaglioni indigeni e 4 batterie da montagna; centro Arimondi, prima brigata, due batterie da montagna; destra Da Bormida, seconda brigata, quattro batterie da montagna; riserva brigata Ellena, batterie tiro rapido. Teste colonne raggiunsero, sorpresero passi verso Adua senza combattere; ma colonna Albertone avanzò su Abba Carima impegnando intiero esercito scioano accampato Adua. Di fronte forze preponderanti, brigata Albertone non potè contenersi, dovette ripiegare abbandonando batterie montagna: intanto brigata Arimondi venne richiamata proteggere ritirata della sinistra. Posizione ristretta non permise spiegamento forze e batterie montagna. Attacco scioani impetuoso avvolgente destra sinistra obbligò truppe ritirata che presto prese aspetto di rovescio. Tutte batterie montagna cadute in mano del nemico. Queste informazioni comunicate Adi Caiè per ordine di Valenzano da tenente addetto gran quartier generale arrivato ivi marciando notte, non mi permettono subito poter misurare entità rovescio; sembra perdite siano grandi. Generale Baratieri quasi certamente morto. Altri telegrammi che mi arrivano mentre telegrafo farebbero credere che corpo operazione in ritirata ripiega verso Coatit, reggimento Di Boccard su Adi Cajèh e l'intendenza su Mahio. Appena avrò altri ragguagli già richiesti, telegraferò. Dato ordini diversi presidi per raccolta truppe e massima resistenza, riservando risoluzioni definitive, appena accertata situazione. Conto partire stasera altipiano, prendendo accordi ammiraglio. Lamberti". Durante la giornata del 2 marzo, giungono numerosi all'Asmara altri telegrammi recanti la notizia della disfatta, provenienti da Addi Ugri, Mai Ainì, Saganeiti, Addì Caièh. In quest'ultima località ripiega frattanto il Reggimento Di Boccard, con fuggiaschi ed il Felter. Alle ore 17.45 un telegramma del Salsa spedito da Mai Ainì, rendeva conto della colonna ritiratasi con lui e dei colonnelli Brusati e Stevani. Lamberti informa il Ministero a Roma alle 17.45: "Massaua, 2 marzo 1896. Ricevo altre informazioni. Maggiore Salsa arrivato Mai Haimi colonne scampate battaglia. Maggiore Ameglio con tre compagnie del suo battaglione, bande Seraè, Scirè riunite, accompagnato colonna circa migliaio italiani, centinaio indigeni, arrivato Addis Adi, Governatore fino ore 22 ieri rimasto colonna italiani; indi ignorasi in qual direzione: pare Adi Ugri. Con medesimo era Ellena ferito leggermente. Ad Addis Adi sono arrivati colonnelli Stevani, Brusati. Ignoro notizie Arimondi, Albertone, Da Bormida, altri colonnelli, maggiori. Credo certo vivi Cossu, Angelotti. Di Boccard con reggimento si ritira da Barachit ad Adi Cajèh; porta seco numerosi fuggiaschi, feriti. Forte Adigrat ha trenta giorni viveri, abbondanti munizioni da guerra; telegrafo resista ad oltranza. Procurerò ogni mezzo raccogliere particolari: telegraferò. Avanti partire attendo chiarita situazione, notizie Governatore. Ordinato raccogliere corpo operazioni Asmara. Nemico non sembra avanzare. Lamberti". Quindi già nel tardo pomeriggio del 2 marzo, la notizia del disastro è conosciuta ufficialmente al Ministero della Guerra. Col giungere di altre frammentarie informazioni, sebbene non esaustive, si ha la conferma della sconfitta. Re Umberto, che è a Napoli, viene informato alla mezzanotte di quel giorno. Nella tarda notte del 2 marzo, il governo dirama alla stampa la notizia, che comunque già circolava, proveniente dall'agenzia Havas di Tunisi.
3 marzo, martedì. Nella mattina del 3 marzo, cominciano a giungere anche in Asmara i primi reduci della battaglia. Frattanto Baratieri, che aveva raggiunto nella ritirata Valenzano, aveva proseguito con lui per la via dell'Unguià, strada senza stazioni telegrafiche, e nella mattina alle ore 9 giunge con il generale Ellena in Addì Caièh. Il comandante del presidio, maggiore Bandini, telegrafa la notizia a Massaua e lo stesso Baratieri informa del suo arrivo il Vice Governatore, che invia subito a Roma i seguenti: "Massaua, 3 marzo 1896. - Giuntami in questo momento telegramma del Governatore, arrivato Adi Cajèh, Ellena, Valenzano. Lamberti". "Massaua, 3 marzo 1896. - Lasciati tutti ordini rifornimenti, sgombro feriti, arrivo rinforzi, d'accordo con ammiraglio, per difesa Massaua; parto per Asmara, per meglio giudicare situazione, pronto rimanere o tornare secondo riceverò ordini Governatore o Baldissera. Colonia tranquilla. Cassala nulla più solite scorrerie; non inquietati presidii, tutti abbastanza muniti, animati spirito altissima devozione patria, S.M. il Re. Forze Asmara ordini Pittaluga. Stassera vi arriverà generale Barbieri. Crederei necessario invio immediato due compagnie zappatori del genio. Lamberti". Al Ministero della Guerra, che richiede maggiori informazioni, Lamberti risponde: "Massaua, 3 marzo 1896. - Ghinda. - Per mia norma desiderei sapere termini coi quali venne comunicata paese battaglia Adua. Faccio tutto ciò che è possibile per raccogliere notizie ufficiali morti, feriti, scampati, che il più prontamente possibile telegraferò. Governatore verrà Asmara. Lamberti". Intanto in Addi Caieh la censura al campo è severissima, ed i due giornalisti italiani lì presenti, Macola e Mercatelli, dovranno attendere il nuovo Governatore Baldissera per comunicare liberamente in Italia. Baratieri, che come abbiamo visto è giunto in Addì Caièh alle ore 9, invia quindi a Roma un telegramma con la prima sommaria descrizione ufficiale del disastro, del quale fu principale operatore e testimone. Più verosimilmente, il telegramma viene scritto, secondo testimoni, dal suo capo di Stato Maggiore Valenzano, ed aggiustato dai colonnelli Di Boccard e Ripamonti. Comunque Baratieri lo firma e se ne assumerà sempre la paternità. Questo telegramma, sebbene non discorra della Brigata Dabormida, poiché a quell'ora Baratieri è ancora all'oscuro delle vicende di quel reparto, rimane un documento eccezionale dove le cause della disfatta sono tratteggiate nella cruda realtà. Questo il testo, inviato a Massaua nella stessa mattina, e da qui ritrasmesso a Roma alle ore 15: "Massaua, 3 marzo. - Adi-Caièh, 3 marzo. - Sabato decisi azione contro posizioni avanzate scioani verso Adua, perciò avanzai con tre colonne comunicanti fra loro ed una riserva generale. Colonna destra Da Bormida - 6 battaglioni bianchi, 4 batterie, battaglione milizia. Colonna centro Arimondi - 5 battaglioni bianchi, reparto indigeni, 2 batterie. Colonna sinistra Albertone - battaglioni indigeni e 4 batterie. Riserva Ellena - battaglioni bianchi, uno indigeno, 2 batterie tiro rapido. Le due colonne laterali dovevano percorrere le due strade che dalla posizione di Sauriat mettono nella conca di Adua, la centrale tenere collegamento per una strada di mezzo, sulla quale marciava pure la riserva. Partenza ore 21 profittando della luna. Obbiettivo primo. Occupazione a destra colle Rebbi Arienna, sinistra colle Chidane Meret; questi colli, pei quali passano le due strade parallele, sono separati da una roccia caratteristica a picco monte Raio, ma le comunicazioni sono relativamente facili oltre essa, cioè ad ovest, e sono in vista fra loro. Operazione si svolse come era previsto. All'alba colli trovati sgombri furono occupati su per giù contemporaneamente, ed io che mi ero avanzato fino al colle Rebbi Arienne ne riceveva avviso. Frattanto, ore 7, avendo notato verso sinistra oltre colle Chidane Meret uno schioppettio piuttosto vivace, in direzione di Adua, feci avanzare di poco colonna Da Bormida e prendere posizione verso Mariam Sciavitù, per essere meglio in grado appoggiare brigata Albertone e cooperare con essa insieme. Chiamai brigata Arimondi sul colle Rebbi Arienne. Poco dopo, ore 7.30, si intese cannone che tirava in direzione di Abba Carima, ad una distanza da noi di forse 5 chilometri. La colonna di sinistra era impegnata, ma assai più innanzi del prescritto. Infatti un biglietto di Albertone ponevami subito corrente situazione, col dirmi che battaglione Turitto inviato dal colle in direzione verso Adua si era fortemente impegnato e che egli impiegava tutte le sue forze per disimpegnarlo. Allora io ordinai alla brigata Arimondi di coronare prima coi bersaglieri, poi col resto un'altura antistante al colle di Chidane Meret per sostenere Albertone e feci pure avanzare sulla posizione le due batterie a tiro rapido. Frattanto il combattimento continuava sulla cresta verso Adua assai intenso. Inviai ordine a Da Bormida di appoggiare verso sinistra e di sostenere più direttamente Albertone. Ignoro se l'ordine giunto a destinazione. Grosse torme nemiche a destra e a sinistra sboccavano sulla cresta e costringevano la brigata Albertone a ripiegare dapprima ordinatamente; vi fu un momento di sosta; anzi da parte degli indigeni un accenno all'avanzata, che io credetti attribuire alla brigata Da Bormida, i cui movimenti mi erano nascosti da un monte. Frattanto, le batterie a tiro rapido potevano aprire fuoco sopra nemici grandi frotte discendenti dalla cresta. Albertone ritirossi sotto posizione occupata da Arimondi che scende aspra e spinosa sul colle, per rinforzare la quale venne pure battaglione Galliano, già assegnato riserva; ma sebbene fuoco nemico fosse assai poco efficace, sebbene posizioni nostre fossero buone e dominanti, truppe si lasciarono subito impressionare da gruppi nemici che profittando angoli morti si riunivano e cercavano aggirarci. Un gruppo di questi, che si era annidato sul monte, indusse a rapido ripiegamento due battaglioni bersaglieri, mentre anche i battaglioni del reggimento Brusati abbandonarono posizioni; anche battaglioni alpini della riserva non erano più grado di opporre resistenza venivano travolti dai fuggiaschi man mano che si presentavano. I nemici frattanto con molta audacia salivano alla posizione e penetravano nelle nostre file sparando quasi a bruciapelo agli ufficiali. Allora non valse nessun ritegno, nessun ordine per ritirata successiva. Invano ufficiali cercavano trattenere soldati su qualcuna delle successive posizioni, perchè nemici irrompenti e pochi cavalieri scioani scorazzanti in basso bastarono a travolgere tutto. Allora ricominciarono le vere perdite; soldati come pazzi gettavano fucili e munizioni per l'idea che se presi senz'armi non sarebbero stati evirati, e quasi tutti gettavano viveri e mantelline. Invano, io col generale Ellena coi colonnelli Stevani e Brusati e Valenzano cercammo dirigere la corrente verso la sua base Sauriat, tutti volgevano verso nord per la via più larga; a notte fermammo e cercammo di ordinare alla meglio una ritirata, ma, per un equivoco facile per quei sentieri, la colonna si divise, gli uni coi colonnelli Brusati e Stevani andarono verso Mai Haimi, gli altri con me, Ellena, Valenzano vennero ad Adi Caièh. Non ho notizie della brigata Da Bormida, né dei generali Arimondi ed Albertone; corrono voci più contrarie, né posso farmi un concetto della gravità del disastro, ma vedo impossibile riorganizzare battaglioni bianchi che hanno combattuto. Truppe indigene hanno perso assai, sono disordinate e loro morale deve essere scosso contegno bianchi, e tutti ribelli e nemici interni hanno preso animo. Parmi molto pericoloso ordinare sgombro forte Adigrat circondato da ribelli con forte presidio invincibile. Stanotte intendo andare Saganeiti Asmara. Frattanto Lamberti che sarà domattina Asmara, tiene governo coloniale e corrisponde con Ministro. Baratieri". Narra il capitano Panigai che "Il telegramma giunse a Massaua nella mattinata del 3 marzo: il ricevente, un caporale, appena intuito lo spaventoso contenuto, chiuse la linea e chiamò il tenente del Genio, Ambrosini che personalmente ricevette tutto il testo e lo comunicò al Maggiore Pecori: immediatamente chiuso il cavo, fu adottata severissima censura: alle ore 10,30 soli il capo di S.M., l'ufficiale telegrafista e io eravamo a conoscenza dell'accaduto. Il Gen. Lamberti che era in giro d'ispezione ne fu edotto verso le 12".
4 Marzo, mercoledì. Il famoso telegramma giunge a Roma al Ministero della Guerra alle ore 6 e portato all'attenzione di Crispi. Censurata ed accomodata la parte riguardante il comportamento dei soldati italiani in Adua, viene trasmesso all'agenzia giornalistica Stefani che lo pubblica. Frattanto, alla sera del giorno 3 marzo, era giunto in Addì Caièh il colonnello Ragni con avanzi della Brigata Dabormida, e sulla base della sua testimonianza, Baratieri invia da Saganeiti il seguente telegramma, che finalmente fa luce sulla sorte di quel reparto: "Massaua, 4 marzo 1896 - Saganeiti, 4. - Colonnello Ragni comandante terzo reggimento riferisce che brigata Da Bormida prese posizione da me indicata dinanzi colle Rebbi-Arienne verso le sette. Continuando fucilate oltre Chidane-Meret, Da Bormida inviò sul monte sinistro battaglione milizia mobile: questi giunto con fatica alla sommità sostenne circa quaranta minuti combattimento, nel quale soffri perdite tanto gravi da dover retrocedere giù per la china inseguito breve distanza frotte nemiche. Da Bormida a rincalzo due battaglioni che non poterono fare fuoco efficace per non colpire nostri, poscia avanzò con forze spiegate offensivamente versa destra, cioè verso la conca di Mariamsciavitù, dove era uno degli accampamenti nemici, Maconnen, Mangascià, Gabré. Per un momento si credette alla vittoria, ma nuvolo di nemici si addensavano sulla destra, onde Da Bormida ordinò in direzione divergente dal colle Rebbi-Arienne regolare ritirata a scaglione, che si effettua buon tiro nostra artiglieria, che sparò tutti i suoi colpi: ritirata fu protetta da più attacchi alla baionetta. Soldati asseriscono avere veduti cadere generale Da Bormida, colonnello Airaghi. Colonnello Ragni assunse comando ritirata verso Sauriat con la brigata riunita in tutti fucili, cannoni dovettero essere abbandonati presso Sauriat in conseguenza attacco sul fronte e sul fianco. Verso sera colonna fu divisa in due; una parte venne con Ragni ad Adi-Caiè per Entisciò in condizioni relativamente buone, avendo i soldati tenuto viveri riserva. Secondo colonnello Ragni sarebbero morti maggiore De Vito, De Fonseca, Giordani, Solaro. Sarebbero morti o prigionieri Da Bormida, Airaghi , Prato. Baratieri ". Sempre nella stessa giornata, e per confermare l'azione della Brigata Albertone, ritenuta buona responsabile del disastro di Adua, Baratieri invia ancora da Saganeiti al Ministro della Guerra il seguente telegramma: "Massaua, 4 marzo 1896. Saganeiti, 4. - Maggiore Cossu comandante 6° indigeni così riassume fatti brigata indigena. Partiti da Sauriat ore 21 riunimmo colonna dopo mezzanotte sul ciglione Gandapta; nella marcia successiva precedeva di quasi due ore battaglione Turitto; verso le tre trovammo brigata Arimondi. Turitto si spinse oltre il colle verso Adua; noi giungemmo in posizione dopo alba alle 6 1/2; lontano udimmo fucilata; mio battaglione, 6°, era in testa al grosso. Albertone chiamommi verso sommità destra, dove collocai in forte posizione compagnia Martini, stando io sostegno colle altre tre. Fuoco si faceva vivissimo, e poco appresso battaglione Turitto scese in ritirata dalla cresta. Le quattro batterie sostennero un fuoco nutrito, talvolta accellerato; ma nemico creseceva numero, le avviluppava da destra a sinistra, mentre puntava centro. 8° battaglione dovette cedere, e cosi 7°, ed il mio scendendo giù per china sotto protezione dei tiri reggimento bersaglieri coronante altura. Tutti i cannoni dovettero essere abbandonati; uno fu portato dal tenente Vibi sotto l'altura. Vibi fu subito ucciso. Ebbi ordine dal comando in capo, speditomi per mezzo capitano Amenduni, fermare ascari in ritirata e condurli sulla posizione, ma gli ascari erano sfiniti, gli ufficiali morti o feriti. Si proseguì la ritirata senza ordine fino a Sauriat. Albertone non fu veduto dopo la concentrazione fuoco artiglieria; È dato per morto maggiore Gamerra. Un sottocapo asserisce avere visto morti Albertone, capitano Bassi, sottotenente Frigerio. Baratieri". In Italia, nel pomeriggio del 4 marzo, Crispi di dimette. * * * Al primo telegramma firmato Baratieri, cifrato, seguito dai due successivi illuminanti l'azione della Brigata Dabormida e chiarente l'azione della Brigata Albertone, la stampa nazionale è informata sufficientemente su quello che accadde sul campo di Adua; particolari della battaglia riempiono le prime pagine dei giornali, in ispecie per le corrispondenze dei tre giornalisti italiani che sono in Eritrea, ovvero Macola, Mercatelli e Serao, che intervistano parecchi scampati. Numerose anche le lettere-testimonianze pubblicate di questi ultimi. Col giungere in Italia dei primi scaglioni di reduci e feriti, la disponibilità di informazioni è maggiore, ed in quei giorni e per qualche settimana ancora le prime pagine e le cronache si riempiono di racconti. La vastità del disastro, la crudeltà del nemico, l'apprensione delle famiglie sulla sorte di migliaia di soldati italiani, rendono le notizie d'Africa molto ricercate. Parallelamente alla stampa quotidiana, ne esiste anche una periodica che si dedica ai soli fatti d'Africa. Da Roma, l'editore Perino pubblica a puntate la sua “Guerra d'Africa”, mentre a Milano l'editore Treves, dal febbraio del 1896, ha iniziato “La guerra italo-abissina 1895-96 documentata e illustrata”, molto più ricca ed informata di quella romana. Queste opere rimangono a tutt'oggi una miniera di notizie e dati. Dal 28 marzo, lo stesso Ministero della Guerra, sulla "Gazzetta Ufficiale", inizia a pubblicare, per alleviare le sofferenze dei familiari, elenchi nominativi dei tornati della battaglia e poi anche dei prigionieri allo Scioa. Frattanto il generale Baldissera incarica il vice Governatore Lamberti di raccogliere i rapporti relativi alla battaglia e di compilarne la relazione. Informazioni sul combattimento erano già state raccolte dalla viva voce dei reduci, dal colonnello Pittaluga. Nel frattempo l'Avvocato Fiscale Militare residente in Eritrea, Vincenzo Mistretta, riceve incarico dal Ministero della Guerra di procedere contro Baratieri ravvisando gli estremi dell'art. 88 del Codice Penale. Mistretta, richiede al Ministero la nomina di una commissione di tre generali, di cui uno almeno più anziano di Baratieri, perchè compia una inchiesta tecnico-militare e risponda ad una serie di quesiti atti a precisare eventuali colpe ed omissioni del comandante in capo. Il Ministero gira la richiesta al generale Baldissera, il quale però non può incaricare che un colonnello, scelto nella persona di Carlo Corticelli. Questi, abboccatosi col Mistretta, riceve undici quesiti, per rispondere ai quali interroga superstiti ed esamina oltre 100 rapporti di ufficiali. Porta a termine il compito il 30 aprile. Il 10 maggio viene trasmessa a Roma al Ministero della Guerra la relazione, detta Lamberti, immediatamente resa pubblica sulla "Rivista Militare Italiana". E' questa la Narrazione Ufficiale del combattimento, che "sebbene non sia stata omessa alcuna diligenza nel raccogliere, coordinare e vagliare i dati di fatto, pure una narrazione più esatta e particolareggiata non sarà possibile mettere insieme se non quando si potranno possedere i rapporti e le testimonianze degli ufficiali che sono prigionieri". Quello stesso giorno, Baratieri riceve l'atto di accusa dal sostituto Avvocato Generale Militare, incaricato delle funzioni di Avvocato Fiscale Militare, Emilio Bacci. Nel processo che si tiene all'Asmara dal 5 al 14 giugno, tutta la questione viene discussa in sede giudiziaria, sulla base di fatti oggettivi e delle testimonianze di molti ufficiali reduci, in ispecie di quelli che, per le loro funzioni, ebbero responsabilità dirette, o furono testimoni, dell'azione del Governatore. Baratieri, per l'occasione, prepara una sorta di relazione che, col titolo “Auto-difesa del Generale Baratieri dinanzi al Tribunale Speciale dell'Asmara”, verrà poi pubblicata in 700 copie nel luglio del 1896. Il 6 giugno, in sede processuale, viene data lettura della Relazione Lamberti. Nella Udienza pomeridiana dello stesso giorno, sono letti i quesiti dell'inchiesta Corticelli. Viene pure data lettura della nota dei militari italiani seppelliti dalla missione espressamente incaricata, che aveva iniziato la pietosa opera il 27 maggio. Il processo si conclude con una dichiarazione di "non farsi luogo a procedimento contro il medesimo per inesistenza di reato", ed è interessante per la sentenza pronunziata il 14 giugno, dove il tribunale ripercorre le mosse e le responsabilità di Baratieri ad Adua. Nel luglio viene pubblicata sulla "Rivista Militare Italiana" la citata Relazione Arimondi “Sul seppellimento dei caduti ad Adua”, documento importantissimo per stabilire almeno "dove" caddero i soldati italiani, seguito dall'editore Treves con la sua opera “Sul campo di Adua” del giornalista Ximenes, che aveva partecipato alla missione. Quest'ultimo libro conosce in pochi mesi una seconda edizione. Nel luglio-agosto esce, sempre sulla "Rivista Militare Italiana", lo scritto di Giuseppe Menarini (ad Adua era capitano Aiutante Maggiore in 1a del 6° Reggimento Fanteria Africa, Brigata Dabormida) “La Brigata Dabormida alla battaglia di Adua”, che poi ripubblicherà aumentandolo l'anno successivo. Alla fine dell'anno, iniziano a tornare in Italia i prigionieri di Menelik; 47 ufficiali e 1705 uomini di truppa, che sbarcano a Napoli dal 3 gennaio 1897. Al ritorno degli ufficiali prigionieri, il Ministro della Guerra, Pelloux, forma, il 25 maggio 1897, una Commissione d'Inchiesta per stabilire le responsabilità militari del disastro di Adua. Questa, composta da tre tenenti generali, (Di San Marzano, Saletta e Adami), esaminati i documenti, rapporti, racconti della battaglia, e proceduto ad alcuni interrogatori, termina i lavori con un verdetto favorevole circa la condotta personale tenuta in Adua da Ellena, Albertone e Valenzano, cui l'inchiesta specialmente si riferiva. Qualche riserva per l'azione di Albertone e Valenzano, ed in modo sfavorevole, a maggioranza di voti, per Ellena, che provoca la collocazione a riposo di quest'ultimo. La questione relativa al parere di Ellena, viene pubblicata sulla "Gazzetta Ufficiale" del 19 luglio 1897. Nel dicembre di questo anno vengono date alle stampe le “Memorie d'Africa” di Baratieri, opera fondamentale per la mole di notizie in essa contenute. Quando se ne annunciò la pubblicazione, pure il generale Albertone, che era tornato dalla prigionia coll'8° scaglione quel 24 maggio, avverti sulle pagine dell' "Esercito Italiano" prossime anche le sue, rimaste però a tutt'oggi inedite. Sempre in quel 1897, escono due volumi di Giovanni Gamerra (che ad Adua era maggiore comandante l'VIII Battaglione Indigeni, Brigata Albertone), intitolate: “Ricordi di un prigioniero di guerra nello Scioa”, e “La brigata indigeni ad Adua”. Nel 1898 esce il volume di Nicola D'Amato (ad Adua sottotenente medico della 2a Sezione di Sanità, Brigata Dabormida): “Da Adua ad Addis Abeba. Ricordi d'un prigioniero”. Quest'anno esce un'altro volume del Gamerra: “Fra gli Ascari d'Italia”. Nel 1899 vede la luce lo scritto di Antonino Di Giorgio (ad Adua tenente a disposizione del 6° Reggimento Fanteria Africa, Brigata Dabormida): “Le "Memorie d'Africa" del Generale Baratieri e il soldato italiano”. Nel 1900 si pubblica l'opuscolo di Ernesto Cordella (ad Adua tenente d'artiglieria della 3a Batteria da Montagna, Brigata Albertone): “L'artiglieria della Brigata Albertone ad Abba Garima”, che negli anni successivi, sino al 1935, conoscerà nuove ristampe. Nel 1901, anno della morte di Baratieri, vengono editi i ricordi di Alfredo Baisi (ad Adua tenente del 10° Battaglione Fanteria Africa, Brigata Dabormida), dal titolo: “Tre mesi in Eritrea”. Lo stesso anno, si pubblica il volume di Luigi Goj (ad Adua sottufficiale del 15° Battaglione Fanteria Africa, Brigata Ellena): “Adua e prigionia fra i Galla”. Quindi altri due volumi del già citato Antonino Di Giorgio: “Il Colonnello Airaghi. Cenni Biografici”, e, con Pezzini: “Scritti vari del Colonnello Airaghi”. Ma l'opera più importante che esce questo anno, è del maggiore Giuseppe Bourelly: “La battaglia di Abba Garima”; sebbene non sia scritta da un reduce, ha però nel suo contenuto tali e tante informazioni che si eleva tra i primi indispensabili per studiare la battaglia. Nel 1906 sotto lo pseudonimo di Giusmar [Giuseppe Marozzi] esce il volume: “Al comando delle bande nere”. L'autore, all'epoca tenente di cavalleria presso il Quartier Generale di Baratieri, non ci dice però quasi nulla della sua esperienza ad Adua, che sarebbe stata di grande interesse leggere. Nel 1909 si pubblica in Alessandria d'Egitto il volume di Francesco Frisina (ad Adua sottufficiale del 9° Battaglione Fanteria Africa, Brigata Arimondi): “L'Italia in Africa”, opera che conoscerà una seconda edizione nel 1919. Nel 1912 è l'allora tenente Giuseppe Cesare Pini, dell'VIII Battaglione Indigeni che pubblica: “Frammenti de' miei Ricordi d'Affrica”. Nel 1915, esce il libro di Giovanni Tedone (ad Adua sergente del 1° Battaglione Bersaglieri Africa, Brigata Arimondi): “Ricordi di un prigioniero di guerra di Menelik dopo il disastro di Adua”, opera che verrà ristampata nel 1922, 1931 e nel 1964. Nel 1920 ancora il già citato tenente Pini pubblica in Asmara: “Brevi cenni sulla guerra italo-abissina-mahdista del 1895-96”, che rielabola in un opuscolo del 1926 dal titolo quasi simile. Nel 1928 esce in Firenze un interessante volume, scritto da Alberto Pollera, fratello di Ludovico (ad Adua tenente Aiutante Maggiore in 2a del 4° Battaglione Fanteria Africa, Brigata Arimondi). E' un volume che, sebbene non sia stato scritto da un reduce, finalmente però offre al pubblico una ricostruzione della battaglia basata su osservazioni personali sul campo stesso. E' intitolato: “La Battaglia di Adua del 1° Marzo 1896 narrata nei luoghi ove fu combattuta”. Nel 1929 esce un opuscolo di Emilio Bellavita, (ad Adua capitano Aiutante di Campo della Brigata Dabormida): “La battaglia di Adua. Leggenda e realtà”. Nell'anno seguente vede la luce il volume di Guglielmo Cartia (ad Adua tenente nel 1° Battaglione Bersaglieri Africa, Brigata Arimondi): “Da Adua alla Mosa”, che conosce una seconda edizione nel 1933. Nel 1931 esce l'importante opera del citato Emilio Bellavita: “Adua. I precedenti. La battaglia. Le conseguenze”, che verrà ristampato nel 1988. Nell'anno successivo, 1932, pubblicherà l'interessante articolo: “Ancora qualche documento in difesa del gen. Oreste Baratieri”. Sempre quest'anno, Gherardo Pantano (ad Adua tenente dell'VIII Battaglione Indigeni, Brigata Albertone) pubblica: “Ventitrè anni di vita africana”, che conoscerà una quarta edizione nel 1943. Aveva già pubblicato nel 1923 il saggio: “La battaglia di Adua” sulla "Rivista Coloniale", ed entrerà in polemica collo scrittore Guglielmo Ferrero nel 1933, con l'articolo: “I fasti dello storico Ferrero”, apparso sulla "Rassegna Italiana". Sempre nel 1933 esce in due parti, sulla rivista "Nuova Antologia", lo scritto di Giuseppe Malladra: “La battaglia di Adua”. Malladra ad Adua era tenente di Stato Maggiore presso il Quartier Generale di Baratieri. Nel 1935, in occasione della campagna italiana contro l'Etiopia, escono vari volumi. Il più importante contiene le lettere dell'allora maggiore di Stato Maggiore Tommaso Salsa, che vengono edite da Emilio Canevari e da Giovanni Comisso col titolo: “Il Generale Tommaso Salsa e le sue campagne coloniali”. Sempre quest'anno, seguono le: “Memorie d'Africa” dell'allora tenente Alessandro Sapelli, e quelle postume di Pietro Felter: “La vicenda affricana 1895-1896”. Ma l'opera certamente più ponderosa, complessiva, è quella che viene pubblicata dall'etiopista Carlo Conti Rossini: “Italia ed Etiopia dal Trattato di Uccialli alla battaglia di Adua”, il quale ha potuto ripercorrere tutte le vicende ed i movimenti del Corpo di Operazione Italiano attraverso l'esame dei rapporti e delle relazioni conservate negli archivi riservati dello Stato Maggiore e del Ministero degli Affari Esteri. L'opera risente del clima guerriero e rivendicativo, ed è molto accomodante circa l'azione italiana. Nel ripercorrere la battaglia, in una conferenza tenuta nel 1939 a Napoli, lo stesso autore rivede alcune sue posizioni, continuando però a far cardine sul valore e sfortuna degli italiani. L'anno 1936 vede la pubblicazione di diverse opere. La più importante, ufficiale, è quella edita dall'Ufficio Storico del Comando del Corpo di Stato Maggiore del Ministero della Guerra: “Storia militare della Colonia Eritrea”, che però nulla di veramente nuovo ci dice della battaglia. Viene anche edito il libro di Angelo Molteni (ad Adua caporal maggiore del 10° Battaglione Fanteria Africa, Brigata Dabormida): “Dopo Adua. Diario di un italiano prigioniero degli scioani”. A Trento, da Bice Rizzi, viene pubblicato: “Carteggio di Oreste Baratieri”, dove, in uno spaccato diverso, costituito da lettere e testimonianze varie, vi è un Baratieri quasi intimo. In Sardegna, lo stesso anno, viene alla luce: “La battaglia di Adua del 1896, 1° marzo. Memorie di un caporale del 6° battaglione Prato, Brigata Badormida” di Benedetto Illotto. Nel 1939, il già tenente della 1a Batteria a Tiro Rapido della Brigata Albertone, Cosimo Caruso, pubblica i suoi: “Ricordi d'Africa”. Nel dopoguerra, gli scritti di un qualche spessore dei reduci quasi scompaiono. Si notano raramente alcune ristampe. Nel 1991 escono postume [per cura di Gian Carlo Stella], le memorie di Alberto Woctt (ad Adua capitano del 3° Battaglione Fanteria Africa, Brigata Dabormida) intitolate: “Battaglia di Adua 1° marzo 1896”, opera scritta a poche settimane dal disastro e che narra nei dettagli le vicende del suo reparto. Il testo è accompagnato da numerose annotazioni, allegati e profili. E' questa l'ultima pubblicazione-testimonianza dei sopravvissuti della famosa battaglia, combattuta ai tempi di Crispi e Menelik.
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