Il Caravanserraglio di Asmara | ||||||
Nicky Di Paolo, 2-8-04 Ultimamente ne ho viste e sentite di tutte sul “Caravanserraglio” di Asmara. Ho assistito a servizi televisivi e letto articoli giornalistici dai titoli assolutamente inappropriati e dai contenuti ancor più incoerenti, segno inequivocabile che chi pensa di affrontare e capire la realtà africana in pochi giorni di trasferta nel continente più intrigante, ma anche più difficile da interpretare, commette sempre grossolani errori, risultando spesso offensivo verso popolazioni che hanno una cultura e motivazioni lontane dalle nostre, ma non per questo criticabili. Il caravanserraglio di Asmara fu voluto e costruito dal governo italiano nel 1915. Aveva lo scopo ben preciso di disciplinare e controllare l’arrivo e le partenze delle numerose carovane che convergevano sulla nuova capitale dell’Eritrea da tutta l’Abissinia, dai bassopiani, dai paesi confinanti. Stalle, magazzini, ma anche piccoli negozi dove era messa in vendita parte della merce appena arrivata, luoghi di ristoro dove i carovanieri potevano trovare conforto ed ospitalità si alternavano in un’area molto vasta, limitata da un muro di cinta. E’ stato, fin dalla nascita, un luogo quanto mai affascinante dal punto di vista culturale ed etnico che ha suscitato l’interesse di tutti quelli che lo hanno visitato e frequentato. Nei primi venti anni della sua esistenza, prima che i camion mettessero in crisi la sua principale finalità, il Caravanserraglio era l’unico luogo in Eritrea dove si potevano incontrare le genti più diverse racchiuse in uno spazio relativamente ristretto. Abissini, dancali, berberi, cunama, rasciaida, sudanesi, somali, italiani, greci, ebrei, bahaniani, yemeniti, uomini e donne, vestiti ciascuno con i propri costumi, ornati con i rispettivi monili, armati delle specifiche armi, esprimendosi con idiomi diversi davano origine ad una Babilonia dove tuttavia, stranamente, tutti riuscivano a capirsi, a fare affari, a rispettare l’ordine, a seguire le direttive che un gruppo di carabinieri indigeni impartiva a quell'immenso centro di smistamento. Le preghiere dei mussulmani all’alba ed al tramonto non sembravano contrastare con le fantasie che ogni sera venivano improvvisate attorno a fuochi di bivacco o con l’aspetto severo dei cascì, i preti cristiani. Il tutto dava, a ricordo dei visitatori, un senso di efficienza, di operosità, di concordia.
Di merci ne transitavano tante: caffé, spezie, datteri, avorio, zibetto, banane, incenso, manghi, papaie, sale, argento, oro, stoffe, e tanto altro ancora, e quindi la frequentazione del luogo era intensa e in genere piacevole. Dopo il 1941 iniziò per l’Eritrea, con il distacco dall’Italia, un periodo difficile per l’approvvigionamento di merci, materiali e soprattutto pezzi di ricambio. I grandi magazzini del Caravanserraglio, ormai inutilizzati, essendo le carovane, nel frattempo, state pressoché totalmente sostituite dai camion che percorrevano agevolmente ed in tempi molto brevi la nuova fitta rete stradale, e scaricavano direttamente in locali privati, furono impiegati per lo stoccaggio di tutto il materiale obsoleto. Non ci si poteva permettere più di buttare o bruciare niente di vecchio: automobili non più riparabili, elettrodomestici vetusti, mobili e le suppellettili più varie trovarono collocazione al Caravanserraglio. Solerti operai cercavano di riparare, smontare, rimontare o accatastare tutto ciò che poteva essere riciclabile. Nulla veniva perso. Se si guastava un’automobile, il primo posto dove si andava a cercare il pezzo di ricambio era il caravanserraglio: erano alte le probabilità di trovarlo o di farsene adattare uno similare da solerti meccanici. Ma era la stessa cosa se si guastava il frigorifero o la macchina da cucire, una radio od una pompa per l’irrigazione. Se il Caravanserraglio aveva perso, in quel momento, il fascino del traffico delle carovane, e con queste era sparita la polimorfa popolazione che ci transitava, era però diventato un punto di erimento per tutta la popolazione dell’Asmara che ricorreva in prima istanza ai suoi operai, italiani ed eritrei, che facevano miracoli. Il Caravanserraglio non entrò in crisi quando tutti gli europei lasciarono l’Eritrea, verso la fine degli anni sessanta. Gli eritrei gestirono il grande centro con una filosofia ancora più spinta. Se prima con gli europei qualcosa ancora arrivava in Eritrea, con lo scoppio delle ostilità con l’Etiopia e il rimpatrio degli stranieri, tutto diventò terribilmente prezioso. Uno dei principali lavori che iniziarono a svolgere i famosi carrettieri di Asmara, era quello di recuperare nella città materiali ferrosi, gommosi e legnami di tutti i tipi. Mi sono ritrovato tante volte al Caravanserraglio ad assistere ai lavori più strani, solo apparentemente improduttivi, finché non si capiva la finalità delle complicate elaborazioni. Per esempio lo smontaggio di un pneumatico o di una camera d’aria non più riparabili era quanto mai istruttivo. Non veniva scartato nulla. Tre o quattro operai, alcuni con vetuste tute Fiat od Iveco, riducevano, con l’unico aiuto delle loro agili muscolature, lo pneumatico in sottili strisce di gomma che venivano passate ad altri che provvedevano, seduta stante, a creare guarnizioni di tutti i tipi e di tutte le misure, suole per scarpe, sedili, borse scolastiche, ma anche cinghie di trasmissione, fino ad enormi quantità di elastici di tutte le misure.
L’attività però che più impressionava il visitatore era ed è ancora oggi il recupero e il riutilizzo delle lamiere. Carretti carichi di bidoni vuoti, di lamiere ondulate, di piatti di metallo scaricano in continuazione la loro merce. Uno stuolo di operai raddrizza tutto questo materiale a colpi di martello: sono centinaia di uomini che producono un fracasso indescrivibile udibile già a diverse centinaia di metri dal Caravanserraglio. Dentro, a causa del rumore, è difficile potersi scambiare due parole. Senza perdere un attimo di tempo tutto ciò che è fatto di lamiera viene spianato alla perfezione, ripulito di eventuali elementi saldati e poi subito dopo immesso nella lavorazione di nuovi manufatti. Ho visto creare simpatiche valigie, piccoli mobili, croci cimiteriali, portalampade, forchette, cucchiai, pentole di tutti i tipi, ma anche testate di letto e perfino parti di carrozzeria di automobili con un campione da cui copiare. Con il legname vecchio si costruiscono mobili di tutti i tipi, ma anche finestre, porte e portoni fino a cornici, zoccoli, utensileria spiccia per ufficio, per la casa; ho visto costruire panche per una chiesa, stampelle e perfino arti artificiali Al Caravanserraglio si dà la vita a tutto ciò che la fantasia può permettere di creare senza una specifica utensileria, senza un macchinario, senza un manuale d’istruzioni. L’eritreo che aveva visto lavorare l’italiano, è diventato ancora più creativo, più intraprendente, più capace di tirare fuori dal nulla le cose più indispensabili per vivere in una grande città dove manca di tutto. Il Caravanserraglio supplisce a queste carenze. Ho parlato spesso con gli operai, con le donne che preparano il berberè, con alcuni negozianti che hanno il loro esercizio all’interno della vecchia stazione di sosta. Non sono consci di aver dato vita a qualcosa di fantastico, ad un luogo tanto particolare quanto sono gradevoli anche esteticamente gli oggetti creati, non si rendono conto di rappresentare un esempio di come l’uomo, quando vuole, riesca a riutilizzare razionalmente e in maniera completa i suoi prodotti di scarto. Gli eritrei ci sono riusciti, e il Caravanserraglio di Asmara deve rappresentare per tutto il mondo non un luogo di folclore locale, come purtroppo viene rappresentato, ma un esempio di come è possibile affrontare con civiltà ed intelligenza la carenza grave di materie prime.
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