Il sambuq Gian Emilio Belloni, Settembre 2011
Il mio posto preferito a Massaua era la banchina del porto durante le ore del tramonto. Mi affascinavano gli arrivi e le partenze dei sambuchi e cosi potevo fantasticare e immaginare i loro viaggi attraverso il Mar Rosso carichi di spezie, cereali, animali vivi. E legavo i loro viaggi alle avventure del mio scrittore favorito di allora, Emilio Salgari. Sentivo le voci dei bravissimi nauti che issavano le vele, catturavano il vento, facendole gonfiare, e il ben modellato scafo solcare velocemente il mare verso le coste occidentali della penisola arabica o più a sud, verso bab-al- mandab per far scivolare gli snelli scafi attraverso lo stretto e pericoloso passaggio di bab iskandar e raggiungere cosi l'Hadhramut. Le imbarcazioni più grosse puntavano verso il golfo Persico per risalire verso nord e, passato lo stretto di Hurmuz, raggiungere le foci del Tigri e dell'Eufrate a Basra in Iraq. Altri sambuchi invece proseguivano verso l'India o l'Indonesia per approvvigionarsi dei preziosi legnami usati per costruire nuove imbarcazioni e cosi tornavano carichi di tronchi di kampas o di ramin o di tek, nobili essenze capaci di garantire solidità agli scafi e lunga resistenza alla pressione e alla corrosione dell'acqua marina. A Natale del 1952 riuscii a mettere piede su di un meraviglioso sambuco di proprietà di una ditta britannica di trading che operava nel Mar Rosso. Fui accompagnato a bordo dal mio padrino di battesimo che appunto era un funzionario della ditta che gestiva i commerci con il vicino ed estremo oriente ed aveva libero accesso al porto. Bellissimo! Il ponte era totalmente costruito con doghe di tek lucido dai riflessi ramati. La cabina del comandante (nakuda) era semplice ma sul pavimento pregiati tappeti persiani le conferivano una sensazione di comodità e di pace. Quel giorno non avrei certamente pensato che altre tante occasioni avrei avuto, non solo di salirvi, ma, successivamente, di utilizzarli quali mezzo di diporto, sia in Arabia Saudita sia nel golfo ed anche di assistere alla costruzione di questi natanti. “ ...in hac contrata homines utuntur navigio, quod vocatur iasse, suto solo spago.....” cosi Odorico descrive come in quei luoghi costruissero i sambuchi :” Infatti, il fasciame veniva fissato all'orditura dello scafo per mezzo di doppia legatura a “X” e la corda usata era preventivamente imbevuta in olio animale (balena o squalo) e resine particolari in modo tale che la legatura e la calafatura (dal verbo arabo qalfat = calafatare) fossero eseguite in un'unica operazione. Anche Marco Polo nel Milione descrive queste navi, “....sapiate ch'elle sono d'u legno chiamato abeta; ell'anno una coverta, e 'n su questa coperta, ne le piue, à ben camere, ove in ciascuna può stare u mercante asgiatamente. E ànno uno timone e albori …..” Questo tipo di imbarcazione è chiamato sambuq ( سمبوق ) sulle coste africane del Mar rosso e dell'Oceano indiano e dhau (دهو ) nei paesi propriamente arabi. La maggior parte dei carpentieri che costruiscono queste imbarcazioni sono di origine indiana o maley e preferiti ad altri perché grandi conoscitori dei legnami usati nel campo navale ed esperti maestri d'ascia rovescia.
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