L’Arca perduta - Airone Febbraio 1996 di GRO
Da anni gli emuli scatenati di Indiana Jones hanno ritrovato non una, ma numerose "arche", e hanno propinato alla stampa gustosi resoconti al sapore di bufala.
Vediamo:
Nel 1939 fu la volta di una spedizione[ad Aksum] promossa dal ministero per l'Africa Italiana, composta da tre esperti: un professore di scienze politiche, un militare rilevatore-fotografo e un professore di disegno architettonico. … nessuno dei quali è un archeologo.
No, non erano archeologi: - il professore di scienze politiche era Alessandro Augusto Monti Della Corte, capo dell’Ufficio studi del Governo dell’Amara - il militare rilevatore-fotografo era il centurione Elio Zacchia - il professore di disegno architettonico era Lino Bianchi Barriviera. Non erano andati ad Aksum: erano andati nel Lasta a vedere le chiese dei Zaguè.
Se questi improbabili ricercatori avessero appena scorso anche solo un testo divulgativo sull'architettura di Axum e del Tigrè, avrebbero appreso che “esistono in tutte le chiese copte almeno due Arche dell'alleanza e, nelle chiese maggiori, si dice che ce ne siano fino a cinque. È l'Arca che in questi casi viene consacrata, non la chiesa". (R. Plant, Architecture of the Tigre).
A proposito di questi “improbabili ricercatori” ricordiamo che “il professore di scienze politiche” Alessandro Augusto Monti della Corte aveva già descritto, negli anni ’30, l’insieme dei castelli di Gondar e le sue 44 chiese, la cattedrale di Mariam Ghemb a Gorgorà e, a seguito della missione nel Lasta, le chiese di Lalibelà e la chiesa di Imerhannà Cristòs[1]. Il “professore di disegno architettonico” Lino Bianchi Barriviera aveva disegnato, a seguito della visita nel Lasta, una serie di 60 acqueforti delle chiese di Lalibelà e del Lasta, che sono state poi ampiamente illustrate dall’autore in ben 204 pagine nella Rivista di Studi Etiopici 1962-63. Questa documentazione rimane ancora oggi la più ricca descrizione delle chiese di Lalibelà[2]. Ai disegni di Bianchi Barriviera riportati nel libro del Monti della Corte hanno ampiamente attinto studiosi noti come Luis Findlay, D. R. Buxton, Beatrice Playne, Sylvia Pankhurst, Jean Doresse, Thomas Pakenham, Hermann Neubacker, Irmgard Bidder, Georg Gerster e altri, talvolta con modifiche non concordate con l’autore e anche senza citare la fonte. La cartella delle acqueforti di Bianchi Barriviera è stata esposta, oltre che in Italia, a Londra, Edimburgo, Cairo e in varie Università degli Stati Uniti. Nel maggio di quest’anno si è aperta a Venezia una mostra sull’arte etiopica, curata da Stanislaw Chojnacki, il maggior esperto mondiale di arte etiopica, in cui sono stati utilizzati numerosi disegni di Lino Bianchi Barriviera[3] (a cui sono dedicate ben sette pagine del catalogo) che viene inserito nei tre “Personaggi” della mostra assieme alla Regina di Saba (alla Regina di Saba!) e a Nicolò Brancaleone (pittore veneziano, vissuto oltre quaranta anni in Etiopia, dove portò la tecnica pittorica del ‘400 italiano e bizantino). Il “militare rilevatore-fotografo” ha avuto il grande pregio di rilevare in modo esatto e completo (anche con l’ausilio di fotografie) le caratteristiche geometriche delle chiese e la topografia della zona, cosa che ha permesso a Monti della Corte e a Bianchi Barriviera di pubblicare i loro lavori.
A proposito del testo divulgativo sull’architettura di Aksum e del Tigrai che gli “improbabili ricercatori” avrebbero dovuto consultare nel 1939, non si capisce come avrebbero potuto consultare il libro di Ruth Plant che è stato pubblicato nel 1985.
Salomone fu felice di accoglierlo e provvide alla sua istruzione; poi, giunto il momento del distacco, gli fece dono di un prezioso mantello e gli affidò l'Arca con le Tavole della Legge perché diffondesse la religione del vero Dio anche nel suo Paese.
Salomone non affidò al figlio Ebna Hakim l’Arca con le Tavole della Legge, ma fu il figlio a trafugarla al padre.
Quando il siro Frumenzio approdò in Abissinia per divulgarvi il Cristianesimo, intorno all'anno 350, venne adottata una struttura ecclesiastica di tipo bizantino (è noto che la Chiesa di Bisanzio fu fortemente condizionata dall'imperatore). In seguito, a causa della conquista islamica, le relazioni con Bisanzio si interruppero e la Chiesa etiopica dovette unirsi a quella di Alessandria subendo un ruolo subordinato.
La storia di Frumenzio; la riportiamo nella versione di Abba Gasparini Ghebrè Mariam[4]:
"Un tale di Tiro, di nome Meropio, volle recarsi in India con una nave e prese con sé due giovanetti, Edesio e Frumenzio, suoi parenti, che lui stesso educava. Arrivò in India e, quando fece ritorno, la nave si fermò in un porto del Mar Rosso per caricare della merce. Tutti coloro che erano sulla nave vennero uccisi, mentre i due giovanetti furono trovati sotto un albero a studiare. Furono bene accolti dal re di Aksum Ella Amida. Edesio fu nominato coppiere del re, Frumenzio suo tesoriere. Quando il re morì affidò il figlioletto Ezanà a sua moglie Sofia. In seguito Edesio ritornò a Tiro e Frumenzio si recò con lui ad Alessandria di cui a quel tempo era patriarca il santo Atanasio. Il santo Atanasio nominò Frumenzio vescovo e patriarca dell’Etiopia. Il santo Frumenzio, ritornato in Etiopia, insegnò la religione cristiana, fece costruire molte chiese e compì molti miracoli."
Come si vede, Frumenzio non approdò in Abissinia per divulgarvi il Cristianesimo, né l’Etiopia ebbe relazioni con Bisanzio. Più avanti si legge:
Tra le leggende più note vi è quella che narra come la cattedrale di Santa Maria di Sion, ad Axum, venne costruita con l'oro piovuto dal cielo, offerto da Dio per ospitare degnamente l'Arca di Menelik
La leggenda, narrata nel Libro di Aksum, dice:
"I re giusti Abrahà e Atsbhà salirono su un’alta montagna chiamata Mechiedà Egzienà, e supplicarono il Signore di rivelar loro dove dovevano edificare un tempio per la dimora del suo nome. Nostro Signore scese dal cielo e restò tra loro; prese della polvere e la versò sul luogo dove oggi si trova la città: si trasformò in terra secca; una colonna di luce la illuminò, e su di essa i re fondarono il santuario, nello stesso posto dove si trova ancora."
E ancora più avanti:
Quando i Musulmani minacciarono il regno di Axum, i Cristiani si rifugiarono tra le montagne, a Lalibela, dove si trovavano undici chiese ipogee ben nascoste tra le rocce e inaccessibili agli invasori. Qui, vuole la tradizione, venne provvisoriamente nascosta l'Arca di Menelik.
Gli aksumiti non si rifugiarono a Lalibelà a seguito delle minacce dei mussulmani. Secondo la tradizione il regno di Aksum fu distrutto nel X sec. dalla regina Gudit e l'unico principe sopravissuto si rifugiò nell'alta valle del Bascillò, patria degli amara. Le chiese di Lalibelà, costruite nel XII secolo, non sono tutte ipogee ma alcune sono monolitiche, non sono ben nascoste fra le rocce e neanche sono inaccessibili agli invasori.
E poi:
… la chiesa di San Giorgio [a Lalibelà], costruita con l'aiuto dei Copti.
Quali copti?
Alberto Vascon, settembre 2009
[1] Monti della Corte A. A.: La chiesa portoghese di Gorgorà, AAI 1938 Monti della Corte A. A.: I castelli di Gondar, Roma 1938 Monti della Corte A. A.: Lalibelà, le chiese ipogee e monolitiche e gli altri monumenti medievali del Lasta, Roma 1940 Monti della Corte A. A.: Un gioiello archeologico tra le montagne del Lasta, BSGI 1940
[4] Abba Gasparini Ghebrè Mariam: Ie-Itiopia tarik (Storia dell’Etiopia), Asmara 1955
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