Nella loro lunga storia di guerrieri, gli amara
hanno spesso modificato i nomi
delle popolazioni sottomesse sostituendoli con termini dal
significato dispregiativo, o addirittura con un nome che
indicava lo stato di schiavitù. Ad esempio, la provincia
più settentrionale dell’Etiopia, che oggi fa parte della
Federazione Etiopica, si chiama Tigrai. Molti studiosi
continuano a chiamarla Tigrè (che è il nome con cui gli
amara chiamano i tigrini) non sapendo che tigrè in
amarico significa “sotto il mio piede”, cioè “servo”. Tigrè
è anche il nome di una popolazione dell’Eritrea
settentrionale nella cui struttura sociale i tigrè
(servi) sono governati da un’aristocrazia di capi detti
sciumaghillè (anziani).
Un altro esempio ce lo forniscono
i nara dell'Eritrea che sono meglio noti come baria,
un antico termine aksumita che significa schiavo. I
somali, poi, chiamavano gli oromo galo, che in senso
dispregiativo vuole dire non mussulmano. Nell’antica
lingua gheez anche il termine galla significa
schiavo, e gli amara hanno approfittato di questa
somiglianza per chiamare galla gli oromo. Gli uolaita
sono stati chiamati uolamo, che deriva da hoi lam,
la cui traduzione letterale è oh, una mucca, cioè un
uolaita e una mucca sono la stessa cosa. Un ulteriore
esempio di questo sarcasmo lo si ritrova nella provincia del
Beghemedìr, regione di Gondar: Beghemedir significa terra
di pecore. Dai beni shangùl
della regione di Asossa, vicino al confine sudanese, gli
amara hanno derivato il nome scianchilla, o
sciangalla, col significato di negro, che hanno
assegnato ai gumùz abitanti lungo il confine sudanese e nel
Uollega occidentale
L’usanza di sbeffeggiare i vinti,
indicandoli con nomi offensivi, era diffusa anche fra altre
popolazioni del Corno. Gli oromo hanno chiamato giangerò,
scimmione, gli iama che abitano la valle dell'Omo,
mentre gli agnuaa di Gambella sono chiamati iambo,
schiavo. I caffini chiamano surma, negro,
le tribù ciai, tirma, zilmamo e altre nei dintorni di Maji.
Anche il nome ghimirra è offensivo per le popolazioni
bench della zona di Mizàn Tafarì.
Una menzione particolare merita
il nome sidama. Sidama in lingua oromo (per
importanza la seconda lingua etiopica, dopo l’amarico)
significa straniero, termine riservato dagli oromo
agli amara confinanti, con i quali spesso combattevano
ferocemente. I viaggiatori europei del XIX secolo, dopo aver
attraversato le terre degli oromo, giunsero nel Caffa
all’altezza del medio corso dell’Omo, e costatarono che
queste popolazioni non oromo erano chiamate sidama, e
con tale nome continuarono a chiamarle. Oggi queste
popolazioni sidama
sono comprese nel gruppo linguistico omotico. Va
precisato che una popolazione del gruppo cuscitico di nome
sidamo, che abitava un tempo tutto l’altipiano del Bale, è
stata spinta dagli oromo verso ovest e oggi abita una
piccola regione a sud del lago Auassa. Per complicare la
confusione dei nomi, l’Amministrazione etiopica chiama
sidama i sidamo, mentre chiama Sidamo tutta la provincia
compresa fra i laghi della Rift Valley a ovest, e il corso
del Ganale (poi Giuba) a est, regione abitata
prevalentemente da oromo.
Per
ultimo citiamo gli abitanti di Harar, che molti continuano a
chiamare aderè: chiamare gli abitanti di Harar
aderè anziché harari è come chiamare galla
un oromo, cioè è un insulto. Dopo la conquista di Harar
(1887) Menelik assegnò al cugino Maconnèn il governatorato
di Harar e chiamò aderè, che significa protetti,
gli abitanti di Harar, che erano i discendenti di un’antica
colonia aksumita e parlavano l’harari, una lingua derivata
dal gheez. Oggi gli abitanti di Harar vogliono essere
chiamati harari. |