Un personaggio amletico: Afework Ghevre Jesus (1868-1947)

Seconda parte

di Gian Carlo Stella

Dall'amicizia con Ilg derivò comunque una nuova svolta della vita di Afework. Nel settembre del 1894, in occasione di uno dei suoi frequenti ritorni in Svizzera, Ilg venne incaricato di portare con sé, perché studiassero nel Collegio Internazionale di Neuchâtel, tre giovani etiopi: 1) il leğ Gugsa (terzogenito del rās Darghié, zio di Menelik) di circa 25 anni[i]; il di lui coetaneo e amico Qet ̣aw Zamānuél (figlio di un dignitario di corte)[ii]; Afework che aveva allora poco più di 26 anni.

Ufficialmente, i tre giovani (non più giovanissimi) erano stati mandati in Svizzera «a studiare», ma non si conoscono i veri motivi di questa andata e un noto giornalista italiano, Vico Mantegazza, scrisse che, in realtà Menelik era stato «costretto a sottrarli così all'ira della regina Taitù, che non perdonava loro la simpatia che manifestavano per gli italiani»[iii]; sembra comunque certo che i motivi non fossero semplici. Quanto alle condizioni dei tre giovani nel collegio svizzero, così scrisse Ilg a Menelik da Zurigo il 10 dicembre 1894 (lettera intercettata in Etiopia da Luigi Capucci che ne fece un sunto): «Stanno bene, si sono abituati al paese e studiano: li presento a tutti i grandi personaggi e sono bene accolti. Ho speso in abiti senza economia, affinché non si creda ciò che altri ha detto, che il Re d'Etiopia è povero ed ha bisogno di prendere denari a prestito»[iv].

Nei mesi seguenti i rapporti italo-etiopici precipitarono e andò profilandosi la possibilità che si venisse alle armi. Nel novembre 1895, quando già si sapeva che l'Italia stava preparandosi al conflitto, Afework, dalla Svizzera, scrisse una lettera all'amico Leopoldo Traversi per manifestargli la propria decisione, condivisa dai suoi due compagni, di passare in Italia per mettersi a disposizione del governo italiano nel conflitto imminente. Nella stampa di allora l'episodio godette di titoli a sensazione: fu «la fuga dei tre principi» per la stampa italiana, ma anche «il rapimento italiano dei principi abissini» per la stampa straniera[v] e diede luogo ad illazioni più o meno fantasiose. La verità venne minutamente narrata molti anni dopo dal Traversi che nell'episodio aveva ricoperto una parte di protagonista[vi].

Ricevuta la lettera di Afework, Traversi mise subito al corrente il Presidente del Consiglio Crispi, il quale dispose che i tre giovani venissero accolti in Italia ed inviati in Etiopia, ma che essi dovessero essere utilizzati soltanto se Baratieri, governatore civile e militare dell'Eritrea, ne avesse ravvisato la convenienza[vii]. I contatti, ovviamente segreti, fra i tre giovani e Traversi, durarono fino al 19 dicembre 1895[viii], data in cui Afework e i suoi compagni, che sul territorio svizzero godevano di completa libertà, presero semplicemente il treno[ix] e raggiunsero Roma dove chiesero formalmente la protezione dell'Italia che fu sùbito loro concessa[x]. Vennero poi accompagnati a Napoli dallo stesso Traversi che li imbarcò sul piroscafo Bosforo[xi], affidandoli al colonnello Francesco Stevani. Partita il 28 dicembre 1895, la nave raggiunse Massaua il 6 gennaio 1896 e il 12 di quel mese i tre giovani vennero inviati ad Adigrat; il 21 giunsero al campo di Edaga Hamus dove vennero benevolmente accolti da Baratieri[xii], il quale, in linea di massima, non era contrario all'idea di utilizzare eventualmente Gugsa nel conflitto contro Menelik.

Ma Gugsa era inutilizzabile, come sottolineato dallo stesso Baratieri nelle sue memorie: «Era molto giovane, poco guerriero, riservato, taciturno, mite d'animo e di modi, tutto sorpreso ed impaurito di trovarsi al campo italiano. Parlava per lui un suo segretario europeizzato [= Afework], oriundo del lago di Tzana, il quale con troppo fervore vantava l'affetto del principe [Gugsa] e proprio per gli Italiani e lo zelo di ambedue nel servire alla causa nostra. Ma quando ad Adagamus importava di sapere quali capi Gubsa [lege: Gugsa] annoverasse amici nel campo del Negus Neghesti, egli nicchiò alquanto, nominò qualcuno e, secondo costume abisino, addusse pretesti per non scrivere e per non compromettersi»[xiii].

Lo scrittore etiopico Heruy Walda-Sellasié, che negli anni "30 fu ministro degli esteri e uomo di fiducia del negus Haile-Sellasié[xiv], non amando Afework, lo accusò nei suoi scritti di aver sobillato Gugsa a defezionare nel dicembre 1895[xv], ma i giudizi in proposito debbono essere improntati a cautela per un duplice ordine di motivi. In primo luogo Gugsa non era certo in età infantile: «L'Af Uork aveva ventisette anni e gli altri due poco meno: poveri minorenni!», scrisse ironicamente Traversi commentando il presunto «rapimento dei principi abissini» attribuitogli da alcuni organi della stampa estera. In secondo luogo, risulta che gli altri due figli del rās Darghié (fratelli di Gugsa) furono allora perseguitati da Menelik: il değazmāč Asfaw Dàrgé, energico governatore e pacificatore del Balé, sospettato di aver congiurato contro il Negus, venne incarcerato sull'amba di Magdala dove rimase sino alla morte (1906) avvenuta, si diceva, per avvelenamento ordinato dal sovrano; l'altro fratello, il dagazmač Tasammā Dargé, anch'egli valoroso guerriero caduto in disgrazia, morì dopo essere stato sottoposto per anni a severa sorveglianza[xvi]. Pertanto sulla decisione di Gugsa, possono aver pesato i timori e i risentimenti generati da questo clima di sospetti e di soprusi più che la presunta istigazione di Afework.

In definitiva, lo zelo dei tre giovani per la causa italiana sfumò rapidamente in Eritrea: dopo qualche giorno chiesero di essere ricondotti in Italia[xvii] e Baratieri non potè far altro che acconsentire a questa loro richiesta, facendoli riaccompagnare ad Asmara verso la fine di febbraio, sotto scorta armata[xviii]. «Per suscitare le discordie nel campo nemico - commentò poi Baratieri - qualsiasi capo avrebbe potuto servire meglio dello spaventato Gugsa[xix], il quale, malgrado fosse trattato come si conveniva al rango di principe abissino, mise innanzi ogni pretesto per tornare da Adagamus ad Adigrat, e più tardi da Adigrat a Massaua, pur di non correre il rischio di vedere gli Abissini»[xx].

Fu in Asmara che i tre giovani appresero dal loro accompagnatore, il capitano De Martino[xxi], la notizia del rovescio italiano ad Adua (1° marzo 1896) e poco dopo il generale Baldissera, nuovo governatore dell'Eritrea, provvide a trasferirli a Massaua, telegrafando al contrammiraglio Turi di trattenerli a bordo della R.N. Etna, «fino a cose sistemate»[xxii]. Da lì passarono sul piroscafo Sumatra che, salpato il 14 marzo col primo contingente di feriti, li sbarcò a Napoli la mattina del 24. Lasciati liberi di decidere del proprio destino[xxiii], i tre giovani scelsero di rimanere in Italia. Si fermarono dapprima per breve tempo a Napoli, ospiti a Posillipo nella pensione Villa Cappella, dove i curiosi andavano spesso a vederli[xxiv]. Da lì passarono a Torino dove vennero ospitati nell'Istituto Internazionale di quella città[xxv].

* * *

Nel capoluogo piemontese Afework conobbe la cognata dell'economo del predetto istituto (Oreste Tagliavini), la signorina Eugenia Rossi, con la quale subito si fidanzò. La sposò a Torino nel 1904, quando gli fu possibile di ovviare all'inconveniente di non disporre di documenti di stato civile. In quella occasione egli diede come proprio nome Ghevre Jesus (che in realtà era il suo patronimico, ossia il nome di suo padre) e indicò come proprio cognome Afework (che era il suo nome)[xxvi]; precisò anche la sua data di nascita: 10 luglio 1868, in Zeghié (Zagé).

Comunque fin dal 1902 si era trasferito a Napoli dove, collaborando con l'etiopista Francesco Gallina, divenne assistente di amarico presso il noto Istituto Orientale di quella città[xxvii]. Ricoprì questo incarico per otto anni accademici e non è difficile comprendere perché allora egli non pensasse affatto a rientrare in patria, almeno fino a quando era vivo il negus Menelik (che morì nel 1913, dopo una lunga malattia durata circa quattro anni).

Fu durante questo periodo napoletano che Afework licenziò alle stampe le sue opere principali[xxviii], segnalandosi non solo come docente e come prosatore brillante in lingua amarica, ma anche come il primo scrittore etiopico decisamente modernista, ossia il primo ad auspicare apertamente il rinnovamento delle antiquate strutture politico-sociali del suo paese.

Nel 1912, quando già si sapeva che la vita di Menelik, paralitico ed esautorato, volgeva al termine, Afework si trasferì in Eritrea dove, dopo aver acquistato del terreno in Asmara, fondò un'impresa commerciale, la SAEIA (Società Anonima Esportazione e Importazione Abissinia), con l'apparente proposito, quindi, di intensificare i traffici con l'Etiopia[xxix].

Ma la situazione mutò ancora quando prese fine l'agitato e confuso regno di leğ Iyasu (1913-1916) seguito, verso l'inizio del 1917, da quello della regina Zauditù assistita dal di lei «vicario», il rās Tafari Makonnen (il futuro imperatore Haile-Sellasié) che venne sùbito chiamato «il reggente dell'impero» per le sue idee moderniste. Verso il 1918, senza dubbio con l'assenso di Tafari, Afework rientrò in Etiopia con il proposito di partecipare allo sviluppo del paese progettato dal reggente. Sembra che Tafari lo abbia dapprima utilizzato per affari commerciali negli Stati Uniti. Poi, nel 1922, lo nominò direttore delle dogane di Dire Daua, carica importante in quanto da quella cittadina, posta sulla ferrovia Gibuti-Addis Abeba, passava la maggior parte dei traffici mercantili con l'estero; quello fu probabilmente il periodo in cui gli venne attribuita la dignità di neggadrās («capo dei mercanti»), titolo che anticamente spettava alla persona incaricata di soprintendere ai traffici ed alle dogane. Si trasferì pertanto a Dire Daua con la sua famiglia, tranne due figli inviati a studiare in Italia[xxx].

Pochi anni dopo, verso il 1925, dovette ritrasferirsi in Addis Abeba, in quanto il reggente Tafari lo aveva nominato presidente del «Tribunale speciale», competente a giudicare tutte le vertenze civili fra stranieri ed Etiopi. L'istituzione di questo tribunale era stata prevista dal trattato Klobukowski del 1908, ma era rimasta quasi priva di pratica attuazione; nel 1921 Tafari decise di dotarlo di una sede e di metterlo veramente in funzione; per circa tre anni (1922-1925) il presidente di quel tribunale era stato il già citato Heruy Walda-Sellasié, lo scrittore che divide con Afework l'onore di essere un antesignano della letteratura amarica, ma verso il 1925 Heruy venne chiamato ad altri incarichi (fu dapprima direttore generale del dicastero degli esteri e poi ministro degli esteri fino al 1936). Così quella carica giudiziaria passò ad Afework che, pur non essendo un giurista, la assolse per circa cinque anni con serietà e anche in modo umanitario[xxxi], con soddisfazione del reggente (è da tener presente che al reggente spettava di giudicare in sede di appello i ricorsi interposti contro le sentenze del Tribunale speciale).

Tuttavia, dopo l'avvento al trono di Tafari che assunse il nome di Haile-Sellasié (1930), quell'organo giudiziario venne colpito da paralisi e scemò la fiducia nelle possibilità di funzionamento del Tribunale speciale. Risale probabilmente ai mesi che seguirono l'incoronazione di Haile-Sellasié (2 novembre 1930) la sfiducia di Afework nel progresso della sua patria, avvinta in pastoie semi-feudali che dovettero sembrargli invincibili, malgrado i propositi iniziali del sovrano.


 

[i] L'anziano rās Darghié (Dārgé) era uno zio paterno di Menelik: era figlio del negus Sāhla-Sellāsié (1813-1847) e fratello del negus Hāyla-Malakot (1847-1855), sovrani dello Scioa. Da tenere presente che il titolo leg, attribuito a Gugsa, spettava in Etiopia ai rampolli delle famiglie altolocate.

[ii] II nome di questo giovane, venne storpiato in Italia in vari modi; la forma Qet ̣aw Zamānuél è quella che si deduce da bairu tafla, Ras Dargé Sahla-Sellasé, (1827-1900), «Journal of Ethiopian Studies» (Addis Abeba), XIII/2 (1975), pp. 17-37.

[iii] V. mantegazza, Gl'Italiani in Africa. L'assedio di Macalé, Firenze, Le Monnier, 1896, pp. 436-437. A proposito di Gugsa, subito chiamato « principe » dalla stampa italiana, non a torto Mantegazza rilevava che «veramente in Abissinia questo grado [di principe] non esiste e non ne esiste nemmeno un altro qualunque che gli corrisponda... Anzi, la stampa italiana, non contenta di un principe solo, ne creò tre».

[iv] C. zaghi, L'Italia e l'Etiopia alla vigilia di Adua nei dispacci segreti di Luigi Capucci, «Gli Annali dell'Africa Italiana», IV (1939), p. 541; erra però Zaghi nell'asserire in nota che «più tardi "i principi scioani" salirono [da due] a tre»; infatti il solo Gugsa era imparentato con il monarca d'Etiopia.

[v] Count gleichen, With the mission to Menelik: 1897, London, Edward Arnold, 1898, p. 154.

[vi] L. traversi, Fra le quinte della storia coloniale: Af Uork Ghebre Jesus ad Adua,  «L'Italia d'Oltremare: La rivista quindicinale dell'Impero»  (Roma),  IV (1939), pp. 554-555; nell'articolo (che riporta anche il testo di una lunga e  vivace  lettera di Afework a Traversi) sono comprese le riproduzioni di due fotografie: la prima ritrae insieme Afework con Gugsa Dargé e Qet ̣aw Zamānuél (tutti vestiti elegantemente all'europea), mentre la seconda raffigura Afework anziano, in uniforme diplomatica. Cf. anche il racconto di ausonio etiope (pseud.), La campagna di Menelik, Roma, Perino, 1896, p. 58.

[vii] Oltre all'articolo di Traversi citato alla nota precedente, cf. libro verde XXIII bis, Avvenimenti d'Africa (gennaio 1895 - marzo 1896), Roma, Tip. della Camera dei Deputati, 1896, documenti nn. 146, 148, 208, 209.

[viii] I contatti durarono quindi poco più di un mese. Sembra pertanto inesatto il breve comunicato diramato allora dal governo italiano per sedare il clamore giornalistico circa la «fuga dei tre principi», che era così stilato: «I tre giovani abissini, che si sono imbarcati sul Bosforo diretti a Massaua, da oltre sei mesi si rivolgevano al governo italiano, pregandolo d'essere accolti in Italia e mandati nella Colonia Eritrea. Il Governo possiede lettere e documenti che provano questo fatto »; v. L'Amico delle Famiglie (Genova), anno XVII, n. 2, 12 gennaio 1896, p. 18.

[ix] La loro scomparsa provocò, fra l'Italia e la Svizzera, un mezzo incidente diplomatico, subito dissipato quando venne assodato che i tre avevano agito per propria libera scelta, non per intrighi del governo italiano e tantomeno a seguito di un «rapimento», come insinuò allora qualche giornale e come qualche scrittore tuttora asserisce.

[x] libro verde XXIII bis, cit., doc. n. 268.

[xi] E non sul Singapore come scrisse Traversi nel suo articolo (Tra le quinte della storia coloniale cit., p. 554, col. 3); si tratta evidentemente di un lapsus dovuto al lungo tempo trascorso fra il fatto e lo scritto.

[xii] Cf. mantegazza, op. cit., p. 438, il quale commenta: «Però non v'era bisogno di trattarlo [Gugsa] davvero come un principe, con riguardi eccessivi che al campo di Adagamus urtarono giustamente la suscettibilità degli ufficiali».

[xiii] O. baratieri, Memorie d'Africa (1892-1896), Torino, Bocca ed., 1898, p. 325; nell'edizione francese apparsa poco dopo (la quale sembra essere stata scritta di pugno del Baratieri, non menzionando né l'edizione italiana né il nome di un eventuale traduttore), questo brano è alle pp. 354-355.

[xiv] Per quanto concerne Heruy Walda-Sellāsié, v. supra, nota 2.

[xv] bairu tafla, op. cit., p. 36 e nota 89; secondo Heruy, Afework non era più in buoni rapporti con la regina Taitu e ciò lo spinse a defezionare (a questo stesso motivo, come si è già accennato, era stato attribuito il larvato esilio di Afework a Neuchâtel). Anche Traversi, nel suo succitato articolo, conferma che Afework, dimostratosi sempre amico dell'Italia, era perciò caduto in disgrazia presso Taitù.

[xvi] Ibidem, p. 36 e nota 90; Bairu Tafla cita anche una dettagliata «scheda biografica» redatta nel marzo 1941 dal servizio italiano di informazioni in A.O.I., scheda attualmente conservata nell'archivio dell'Institute of Ethiopian Studies della capitale etiopica.

[xvii] Lo confermò lo stesso Afework nella sua lettera a Traversi (riportata nel già citato articolo di quest'ultimo), motivando la ritirata sua e dei suoi  due compagni col fatto che essi avevano constatato l'esiguità delle forze italiane rispetto alla massa delle truppe di Menelik. È però probabile che sull'animo dei tre abbia influito soprattutto la nota defezione del rās Sebhat (già alleato degli Italiani, passato dalla parte di Menelik nella notte del 13 febbraio 1896); Sebhat, scrisse Afework, «alla sera stessa, nottetempo, mi mandò a dire segretamente che dovendo defezionare, se ero disposto ad andare con i miei due compagni al campo di Menelik. Gli risposi di no. Io feci comunicare la cosa a Baratieri che mi fece subito chiamare e mi disse che Ras Sebhat non poteva abbandonare l'Italia, essendo egli più fidato di me». In altre parole, Afework avrebbe avvertito Baratieri della imminente defezione di Sebhat, ma il comandante italiano non gli avrebbe creduto; delusi e diffidenti, i tre giovani avrebbero allora deciso di ritirarsi dal teatro delle operazioni, prima della battaglia.

[xviii] Misura giustificata, sia perché le retrovie non erano sicure, sia perché Roma, anche per evitare eventuali «ripensamenti» dei tre giovani, aveva raccomandato di «vigilare»; cf. libro verde XXIII bis, cit., documento n. 269.

[xix] Questo è dunque il fondato motivo per cui Baratieri non utilizzò Gugsa. Inesatte quindi le successive valutazioni fatte da altri come il Palamenghi Crispi in F. crispi, La prima guerra d'Africa, Milano, Treves, 1914, p. 309 in nota: «II tentativo del Ministero di sottrarre altre forze all'Imperatore per mezzo del principe Gugsa, il quale era fi-glio di ras Darghié, zio di Menelik, aveva trovato ostacolo nello scetticismo di Baratieri»; e anche lo zaghi, in «Annali dell'Africa Italiana», art. cit. p. 541: «Spediti in Eritrea, [i tre giovani etiopi] vennero però respinti in Italia dal Baratieri che non capì o non volle capire l'importanza che potevano avere in quel momento per noi». Più realistico invece il giudizio di C. conti rossini, Italia ed Etiopia dal trattato di Uccialli alla battaglia di Adua, Roma, I.P.O., 1935, p. 235: «Il giovanetto [Gugsa] passò all'Italia, fu inviato in Eritrea e risultò forse utilizzabile soltanto alla dimane di una vittoria».

[xx] baratieri, op. cit., p. 326.

[xxi] Il capitano medico Angelo De Martino, residente in Africa sin dal 1885, era apprezzato anche nell'ambiente locale per le sue doti professionali e umane; nel 1890 Antonelli lo aveva fatto nominare residente italiano in Adua, carica delicata in quanto egli doveva colà destreggiarsi fra Mangascià (ras del Tigre e figlio del defunto Giovanni IV) e Mesciascià Workié (rappresentante personale di Menelik nel Tigre). Nel 1895 De Martino era stato designato dal Ministero degli esteri come colui che in Eritrea avrebbe dovuto prendersi cura di Gugsa e dei suoi due compagni; cf. il libro verde XXIII bis, già più volte citato.

[xxii] Il Messaggero (Roma), anno XVIII, n. 69, 9 marzo 1896, p. 3; La guerra italo-abissina cit., p. 110 (nella dispensa 14 apparsa nel marzo 1896).

[xxiii] Così l'ufficiosa  Opinione,  riprodotta in La guerra italo-abissina cit., p. 152 (nella dispensa 19 apparsa nell'aprile 1896).

[xxiv] II Messaggero (Roma), anno XVIII, n. 103, 12 aprile 1896, p. 2.

[xxv] La guerra italo-abissina cit., p. 216 (nella dispensa 26 apparsa nel maggio 1896) che contiene anche una foto di gruppo dei tre giovani etiopi da accostarsi a quella inclusa nel citato articolo di Traversi. Da ricordare che Gugsa non rivide più l'Etiopia. Nel 1899 Menelik chiese la consegna di Gugsa e di Qetaw, ma questi si rifiutarono di lasciare l'Italia; F. martini, II diario eritreo, 4 voi., Firenze, Vallecchi, 1946, I, pp. 568, 569, 573, 586. Dopo molti anni, nel 1921, essendosi gravemente ammalato di tubercolosi ossea, Gugsa ottenne dal governo etiopico l'autorizzazione a rimpatriare; si mise in viaggio, ma giunto a Massaua, vi morì nel 1922; cf. bairu tafla, art. cit., p. 36 e nota 92; e anche A. rouaud, Esquisse d'un portrait d'Afa-Warq, pp. 8-9 (questo studio non sembra essere stato sinora pubblicato).

[xxvi] A. rouaud, Pour une bibliographie des oeuvres d'Afa-Warq Gabra Iyasus, «Bulletin des études africaines de L'Inalco» (Paris), II/3 (1982), p. 125. Come segnalato dianzi, nei suoi lavori pubblicati, Afework continuò ad adottare questo accorgimento pratico, siglando il suo patronimico Ghevre Jesus in G.J. e facendo quindi sembrare al lettore europeo che il suo nome (ossia Afework) fosse il suo cognome. Da notare che suo figlio Giovanni, nella sua opera inedita (v. supra, nota 7), nell'indice dei nomi propri, pone comprensibilmente suo padre sotto Afework e non sotto Ghevre-Jesus (nome di suo nonno).

[xxvii] Ed a Napoli ebbe i primi due figli, Illeana e Giovanni nato nel 1909).

[xxviii]  Eccone l'elenco; a) Grammatica della lingua amarica: Metodo pratico per l'insegnamento, Roma, Tip. Acc. Lincei, 1905, 327 pp. (quarta ristampa nel 1965). b) Manuale di conversazione ìtaliano-amarico con la pronuncia figurata, Roma, 1905; terza ed., Roma, Tip. Poliglotta Vaticana, 1934, 127 pp. (alle pp. 114-123 si leggono dialoghi fortemente critici dell'arbitrio dei sovrani etiopici e dell'arretratezza del clero etiopico; queste pagine vennero poi tagliate e asportate in molti esemplari di questa edizione, amputazione che sembra risalire al 1936). e) Guide du voyageur en Abyssinie, Rome, Impr. C. de Luigi, 1908, 272 pp. (in francese e in amarico); dopo un glossario, l'opera contiene un lungo dialogo (pp. 82-258) svolgentesi tra un viaggiatore europeo e un cittadino abissino, nel quale vengono criticate le incongruenze e le ingiustizie dell'Etiopia di allora, d) Lebb wallad tārik (con avvertimento del prof. Gallina), Roma, Casa Ed. Italiana, 1908, 90 pp.; racconto di fantasia, considerato il primo romanzo della letteratura amarica, più volte ristampato anche in Etiopia; ampio compendio in L. fusella, Il «Lebb wallad tàrik», «Rassegna di Studi Etiopici», X (1951), pp. 56-70. e) Dāgmāwi Menilek negusa nagast za-Ityopyā [=Menelik II, re dei re d'Etiopia], pref. di F. Gallina, Roma, Casa Ed. Italiana, 123 pp. (trad. italiana di L. Fusella citata supra alla nota 3). /) Dāwit [= Salterio o raccolta di salmi di Davide], Roma, Tip. Acc. Lincei, 1909, 248 pp.; ne esistono due altre edizioni (1912 e 1928). g) Il verbo amarico, Roma, Tip. Poliglotta Vaticana, 205 pp.

[xxix]  Ad Asmara gli nacquero i due altri figli, Amleto e Luigi.

[xxx] Giovanni e Amieto che vennero inviati  al  «Collegio-convitto Umberto I»di Torino.

[xxxi]Cf. C. paleologos, Tafari & Ci. (Memorie raccolte e compilate da Aldo Cassuto), Trieste, Ed. Delfino, 1938, pp. 122-123, il quale segnala che Afework insorse contro l'uso della Bank of Abyssinia di incarcerare nei suoi scantinati i propri debitori insolventi; sebbene l'uso fosse conforme ai costumi del paese, Afework ordinò la liberazione di tutti i carcerati.

 

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