In memoria delle vittime innocenti |
di quel triste periodo. |
(Eros Chiasserini) |
A cura di |
EROS CHIASSERINI |
ERITREA |
1941-1951 |
GLI ANNI DIFFICILI |
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Desideriamo ringraziare Marcello Melani |
Direttore del Mai Taclì |
che ci ha permesso la pubblicazione del lavoro di Eros Chiasserini |
La Redazione |
Indice |
1941 - 42 |
1943 - 44 |
1945 - 47 |
1948 |
1949 |
1943 |
Pur non essendo ancora iniziato il periodo più cruciale degli attentati e delle violenze terroristiche avvennero altre aggressioni ed uccisioni di nostri connazionali.
La notte del 10 ottobre del 1943 avvenne in Asmara l’assassinio dello studente diciassettenne Francesco Sorrento. Un nativo cercò di introdursi all’interno del chiosco del “Bar Oriani” per compiervi un furto ma i rumori dello scasso svegliarono la proprietaria che urlando diede l’allarme. Il malvivente reagì sparando due colpi di pistola fortunatamente andati a vuoto. Francesco, uno dei figli della proprietaria, per nulla intimorito, inseguiva l’aggressore ed ingaggiava una colluttazione nel corso della quale venne esploso un terzo colpo che lo colpiva mortalmente. Ricoverato d’urgenza all’ospedale poco distante, malgrado le cure, vi decedeva qualche ora dopo.
Un’aggressione di insolita ferocia avvenne la sera del 19 ottobre, ad opera di una ben organizzata banda di nove scifta, ai danni del “Bar Topolino”, situato al km 29 della camionale Asmara-Decameré, ed alla corriera della S.A. Salvati in servizio tra le due località. Nella sala del bar erano presenti i due camerieri Antonio D’Antonio e Enrico Bendin, Gastone Sbolci, un commesso della ditta di alimentari “3 A” e Luigi Del Monte proprietario della “Anonima Autotrasporti” di Decameré. Mentre conversavano udirono una forte detonazione nei pressi del locale che venne contemporaneamente investito da una nutrita serie di colpi di fucile. Tutti si gettarono a terra cercando rifugio sotto i tavolini ma Luigi Del Monte venne raggiunto da una pallottola che lo uccideva all’istante. Dopo alcuni minuti sopraggiunse la corriera che si fermò regolarmente sul piazzale del bar. Sia l’autista, Gaetano Vetraino, che i passeggeri non si resero conto del pericolo ed iniziarono a scendere per ristorarsi durante la breve sosta. Fu in quel momento che gli scifta ripresero a sparare questa volta contro il gruppo appena giunto. Il sub-inspector della Eritrea Police, Vlahopoulos Eustache, comandato quale scorta alla corriera, rispose al fuoco con la sua pistola ma rimase immediatamente ferito ad una spalla. I passeggeri risalirono precipitosamente sul mezzo che riuscì ad allontanarsi a gran velocità verso Decameré. All’arrivo uno dei passeggeri, Orlando Prati di 28 anni, venne rinvenuto ormai cadavere sul fondo della corriera. Risultarono feriti, più o meno gravemente, oltre al sub-inspector, anche i passeggeri Gino Romanini, Piera Pompini, Luigi Marchetto, Eurelio Calabrese, Quintino Ciccarelli ed Enrico Brioni.
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1944 |
Dopo alcuni mesi trascorsi in apparente tranquillità, le aggressioni ripresero all’inizio del 1944.
L’11 marzo degli scifta appostati al km 136 della camionale Asmara-Addis Abeba, nel tratto Senafé-Addi Caieh, nella zona Amba Terica, tesero un’imboscata alle auto in transito. Il primo a sopraggiungere fu un camioncino guidato dal proprietario Farneti che viaggiava in compagnia di Umberto Vitrò, residente in Addi Caieh, dove gestiva il “Bar Dopolavoro”. Il mezzo fu fatto segno da numerosi colpi di arma da fuoco uno dei quali raggiunse alla fronte Umberto Vitrò. Farneti riuscì fortunosamente ad invertire la marcia ed a rientrare a Senafé dove il compagno di viaggio, ormai agonizzante, decedeva poco dopo per la grave ferita riportata.
Il mese di giugno vide l’inizio di una nuova fase del terrorismo che prese di mira per la prima volta le aziende agricole condotte da italiani. La sera del 17, nella concessione Cazzagon di Addi Finin nei pressi di Debaroa, erano presenti a cena i soci che la conducevano a mezzadria: Mario Beltramo, Chino Alessandri ed Ernesto Discardi, la moglie di Beltramo, Teresa, il figlio di due anni e mezzo Vittorio, l’operaio Pasquale Tiberi e l’amico Righini. Le finestre della sala da pranzo, illuminata dal “Petromax”, erano aperte ed il gruppo degli italiani conversava serenamente. All’improvviso avvertirono un colpo di arma da fuoco che mandò in frantumi il lume e, in rapida successione, altre fucilate. Rimasero subito feriti Discardi, al quale una pallottola aveva quasi troncato il braccio sinistro, il piccolo Vittorio e, in maniera più lieve, l’amico Righini. Gli altri riuscirono in qualche modo a mettersi al riparo. Dal vicino paese di Addi Finin, uditi gli spari, accorsero alcuni paesani che costrinsero alla fuga gli assalitori. Ernesto Discardi ed il piccolo Vittorio vennero immediatamente ricoverati all’ospedale di Addi Ugri. Al primo si dovette amputare il braccio ed il secondo, dopo lunga degenza, riuscì a sopravvivere. Malgrado le assidue cure il povero Discardi cessava di vivere il giorno successivo per sopraggiunta embolia.
Aveva così inizio la lunga e dolorosa serie delle aggressioni, omicidi e vandalismi ai danni delle aziende agricole e minerarie degli italiani sul suolo eritreo. Aggressioni che avrebbero irrimediabilmente messo in ginocchio l’economia del settore per quasi dieci anni.
Intorno alla metà del 1944, in un articolo sul settimanale in lingua tigrina “Eritrean Weekly News” pubblicato a cura del “British Information Service” e firmato “Un Eritreo”, veniva descritto un futuribile progetto di spartizione del territorio della ex colonia. Secondo l’articolista il Bassopiano Occidentale, abitato in prevalenza da popolazione musulmana, avrebbe dovuto essere incorporato al Sudan Anglo-Egiziano mentre il rimanente territorio, aggregato al tigrai etiopico, avrebbe dato vita ad un nuovo stato con capitale Asmara ed essere quindi posto sotto l’amministrazione fiduciaria di una potenza europea per un periodo di 25 anni. L’autore dell’articolo venne facilmente identificato nell’allora Amministratore Capo dell’Eritrea, il brigadiere S.H. Longrigg e di conseguenza apparve a tutti chiaro che la potenza europea che avrebbe dovuto prendersi cura dell’amministrazione fiduciaria non poteva essere altro che la Gran Bretagna.
A Decameré viveva Gabriele Tartaglione, un giovane di 35 anni che da alcuni mesi aveva preso in gestione il forno di proprietà di Emma Gandolfo. Tutto sembrava procedere nel migliore dei modi quando la notte del 7 luglio qualcuno bussava alle imposte della sua abitazione in Via Lombardia. Malgrado l’ora insolita il fornaio si alzava ed apriva la finestra; non aveva neanche il tempo di rendersi conto di quanto stava succedendo che veniva raggiunto da un colpo di pistola al petto sparato da uno dei due aggressori che si allontanavano immediatamente verso il quartiere nativo. Gabriele Tartaglione decedeva nel pomeriggio dello stesso giorno. Da 5 anni residente nella cittadina era conosciuto e stimato da tutti per la sua operosità e correttezza.
Ripresero intanto le incursioni dei banditi nelle aziende agricole degli italiani.
Pietro Zino, un agricoltore di Savona, era proprietario di una concessione in Mai Ghindì presso Addi Ugri. La sera del 28 agosto si trovava nella sua abitazione in compagnia dell’amico Gianfranco Cuturi, un meccanico che era andato a passare alcuni giorni di vacanza nell’azienda agricola, e della signora Corinna Verdina, sua ospite. Intorno alle 21 uno sparo ruppe il silenzio della notte ed un secondo colpo raggiungeva la porta di ingresso. Era un attacco degli scifta che chiedevano con insistenza denaro ed altri oggetti di valore. Gianfranco Cuturi tentò di ridurre alla ragione gli assalitori promettendo di consegnare ogni cosa purché smettessero di sparare. Aperta con cautela la porta veniva immediatamente raggiunto da un colpo di fucile alla faccia che l’uccideva all’istante. Anche Pietro Zino cercava di calmare gli assalitori promettendo di assecondare ogni loro richiesta. Non fece in tempo a terminare la frase che un colpo di fucile sparato a bruciapelo lo raggiungeva al torace freddandolo. Corinna Verdina, approfittando del trambusto, riusciva nel frattempo a sottrarsi all’aggressione fuggendo verso il vicino paese di Mai Ghindì dove chiedeva soccorso ma, per i due italiani, non c’era più niente da fare. Dei quattro aggressori, presumibilmente nativi del luogo, non fu mai trovata traccia.
Una eloquente conferma del progetto di spartizione dell’Eritrea, enunciato per la prima volta nell’articolo pubblicato sull’ “Eritrean Weekly News” qualche mese prima, si ebbe il 5 novembre di quell’anno quando lo stesso Brigadiere S.H. Longrigg pronunciò il discorso inaugurale in occasionale dell’apertura della prima Mostra Agricola Zootecnica di Addi Caieh. Rivolgendosi alla popolazione convenuta, ma in particolare ai vari capi e notabili eritrei, li sollecitava a riflettere su quello che avrebbe potuto essere il futuro territoriale della ex colonia invitandoli inoltre ad esprimere senza indugio il loro parere in proposito considerando che la guerra stava volgendo al termine e la decisione finale era ormai prossima. In buona sostanza veniva chiaramente proposto che tutta l’opera di aggregazione compiuta fino allora, ottenuta superando differenze di razza, religione, cultura e che aveva consentito un lunghissimo periodo di pace e di concordia, doveva essere cancellata con il solo intento di favorire l’attuazione delle mire britanniche sul territorio eritreo e con la sua spartizione fra Sudan Anglo-Egiziano ed Etiopia.
Sintomatica e rivelatrice la parte finale del suo discorso: “Quelli nelle cui mani, dopo la guerra, sarà posta la decisione finale, vorranno, senza dubbio considerare accuratamente la storia politica, razziale e culturale dell’Africa Orientale in generale e dell’Eritrea in particolare. Essi considereranno la diversità di razze, di religioni e di linguaggio entro il territorio che il Governo Italiano unificò in una singola colonia; essi considereranno le relazioni e le affinità che questo territorio, o parti speciali di esso, hanno con i territori vicini attraverso i confini dell’Eritrea”.
Il seme della discordia era stato gettato e non tarderà a dare i suoi malefici frutti.
Pochi giorni dopo, nel pomeriggio del 9 novembre 1944, una decina di banditi armati bloccavano, presso Dongollo, l’autocorriera in servizio tra Massaua ed Asmara. I due poliziotti eritrei di scorta furono uccisi prima ancora di poter ingaggiare una difesa mentre i passeggeri, costretti a scendere, furono privati di ogni loro avere. Due italiani vennero feriti con armi da taglio. Nel corso della rapina sopraggiunse su un camioncino l’italiano Emanuele Arena, dipendente dell’Amministrazione Britannica di Massaua. Sfortunatamente si accorse in ritardo del pericolo ma tentò ugualmente una repentina inversione di marcia. Mentre eseguiva la manovra fu colpito da una fucilata che lo uccise sul colpo. L’indagine che seguì dimostrò che quasi sicuramente gli autori di quell’ennesima aggressione furono gli stessi componenti della banda capeggiata dall’eritreo Ghebré Tesfazien già colpevole dei fatti accaduti al “Bar Topolino” e che continuò nelle sue imprese banditesche, principalmente sulle camionali a danno delle autocorriere, ancora per più di un anno prima di rifugiarsi in Etiopia. |