In memoria delle vittime innocenti

                                                 di quel triste periodo.

 

                                                                                                                                                      (Eros Chiasserini)                  

 

A cura di

EROS CHIASSERINI

 
 

ERITREA

1941-1951

GLI ANNI DIFFICILI

 


Desideriamo ringraziare Marcello Melani
Direttore del Mai Taclì
che ci ha permesso la pubblicazione del lavoro di Eros Chiasserini
                                                                                                    La Redazione

 

Indice

1941 - 42
1943 - 44
1945 - 47
1948
1949

1948
 

Il 2 gennaio alcuni banditi assalirono e rapinarono nelle loro abitazioni in Acria, presso Asmara, Guido Denadai e Cesare Mariani.

Il pomeriggio del 5 gennaio  ebbe inizio la devastante attività terroristica ai danni delle aziende agricole, industriali e minerarie condotte da italiani. Una numerosa banda di scifta agli ordini di Hagos Temnuò compì una vasta razzia nella concessione dei fratelli Felice e Filippo Casciani in Elaberet sulla strada per Cheren. Gli impianti, gli uffici e le abitazioni subirono la quasi totale devastazione con incendi, saccheggi e furto di bestiame. 

Una nuova lettera di vibrante protesta venne indirizzata dal CRIE alle autorità britanniche ponendo inoltre in evidenza il timore espresso dai concessionari agricoli italiani che da quel momento si ritennero in imminente pericolo di razzie terroristiche contro le quali chiedevano adeguata protezione.

L’8 marzo 1948 riprese con vigore l’attività del terrorismo politico nelle campagne e nei centri abitati indirizzata essenzialmente contro chi tentava di opporsi o era contrario all’unione dell’Eritrea con l’Etiopia  siano essi italiani che nativi. Negli anni che seguirono l’azione del terrorismo e del banditismo colpì sistematicamente ogni attività agricola e mineraria, paralizzò i traffici e gli scambi commerciali, ridusse in ginocchio l’economia del paese fino a ridurlo ad una condizione di miseria mai conosciuta in precedenza.

La prima vera vittima di questa nuova fase di terrore e di sangue fu Silvio Conzada che la sera dell’ 8 marzo, a bordo di una  vettura condotta da Pietro Tezze, sulla quale erano anche Onelia Bof in Scopel con la figlia Eva ed Erminia Menegaz in Simola con i figli Graziella e Ninì, percorreva la camionale Nefasit-Decameré.  

La comitiva rientrava a Decameré dopo una gita a Nefasit. Verso l’imbrunire, giunti ad una curva in prossimità del km 21,5, venivano aggrediti da una banda di scifta che a fucilate riuscivano a fermare l’auto. Il gruppo scese a terra per ripararsi da altri eventuali colpi mentre Silvio Conzada, 39 anni, estraeva alcune banconote mostrandole agli assalitori invitandoli a non sparare per non mettere in pericolo la vita delle donne e delle bambine. Per tutta risposta furono sparate altre tre fucilate e lanciata una bomba a mano che colpiva i due uomini ferendo gravemente Conzada asportandogli la mano che teneva il denaro. Per vie diverse le donne, le bambine e Pietro Tezze, benché ferito ad una spalla ed in altre parti del corpo, riuscirono a porsi in salvo e dare l’allarme al posto di polizia di Nefasit. Il cadavere di Silvio Conzada, recuperato il giorno dopo, presentava oltre all’asportazione della mano sinistra, altre numerose ferite e due colpi di accetta una al cranio e l’altra alla fronte che ne avevano causato la morte. Di queste sevizie erano state terrorizzate testimoni anche le due bambine.

Qualche giorno dopo, 11 marzo, una banda di scifta assaliva il “Bar Baggi” al km 11 della camionale Asmara-Cheren e quale sfida alla polizia e sicuri dell’impunità, lasciavano scritti i loro nomi sul luogo della rapina.

Questi due nuovi atroci episodi di terrorismo sollevarono le risentite proteste del CRIE che indirizzava una nuova lettera al t.c. J.C. Crawford, responsabile della segreteria politica della BMA, riferendo inoltre che, secondo alcune informazioni riportate da viaggiatori provenienti dall’Etiopia, numerosi abitanti del Tigrai erano stati riforniti di armi con l’evidente scopo di utilizzarle per minacciare gli italiani e le imprese italiane dell’Eritrea.

Nella risposta fatta pervenire al CRIE il t.c. J.C. Crawford assicurava che: “Io personalmente vi garantisco che l’Amministrazione Britannica farà ogni cosa in suo potere per provvedere alla protezione della comunità italiana” mentre l’amministratore capo dell’Eritrea, brig. F.G. Drew, ammetteva che: “esistevano obiettive difficoltà nel controllo della situazione ed il mantenimento della sicurezza poiché il territorio eritreo per la sua conformazione era particolarmente favorevole ai rapidi movimenti delle numerose bande di scifta mentre le forze a disposizione dell’Amministrazione erano limitate ed inadeguate al contenimento degli atti terroristici”.

Il 16 marzo apparve sul “Quotidiano Eritreo” un articolo intitolato: “E piantatela”, a firma di un non meglio identificato “Osservatore” che iniziava con queste parole: ”Ci riferiamo a quei signori, per loro fortuna non identificati, che con la loro fantasia malata si divertono ad inventare false notizie, le quali si diffondono rapidamente e creano l’allarme fra la popolazione. . . .”. come a voler dimostrare che le notizie degli assassinii, degli attentati e delle azioni terroristiche fossero frutto dell’immaginazione di fomentatori di malcontento.

La sera del 25 faceva la sua apparizione sulla sanguinosa scena del terrorismo quella che sarebbe diventata la tristemente famosa banda dei fratelli Berhé e Uoldegabriel Mosasghì.  Debuttarono con l’assalto ad una azienda agricola di Mai Gurà, presso Decameré. Giuseppe Catena di 50 anni, persona stimatissima, già alle dipendenze di vari concessionari delle Pendici Orientali, quali Costa e Michele Pollera, si era trasferito da breve tempo nella nuova azienda prendendo a mezzadria la concessione di Giacomo Garelli di Mai Gurà ritenendo tale zona più sicura. Terminata la giornata di lavoro stava leggendo sdraiato sulla brandina all’interno della sua baracca quando udì bussare alla porta. Credendo si trattasse di un amico nativo apriva senza alcun sospetto consentendo così l’ingresso degli aggressori che lo colpivano ripetutamente al capo con dei bastoni lasciandolo esamine al suolo. Si rivolsero quindi alla domestica, Letehaimanot Teglesghì, che sotto la minaccia di un coltello fu costretta a rivelare dove erano custoditi i soldi che i banditi rapinarono assieme agli indumenti ed altri oggetti. Giuseppe Catena fu soccorso ed accompagnato al vicino ospedale di Decameré e quindi, date le sue precarie condizioni per le varie fratture al cranio, venne tentato il trasferimento all’Ospedale Regina Elena di Asmara dove però giunse senza vita.

Dopo questo nuovo efferato delitto il CRIE presentò immediatamente una nota di vibrata protesta al t.c. J.C. Crawford ribadendo le preoccupazioni della comunità italiana più che mai convinta che l’amministrazione non fosse assolutamente in grado di garantire la sicurezza sul territorio. Furono suggerite ulteriori proposte per il mantenimento dell’ordine tra le quali il ripristino dei 22 posti di polizia attivi durante il governo italiano.

Quale unica e tiepida risposta il giorno 27 apparve sul “Quotidiano Eritreo”, a firma dell’amministratore capo brig. F.G. Drew, un avviso che minacciava gli scifta ed i loro fiancheggiatori di severe punizioni mentre benignamente prometteva ricompense in denaro a tutti colori che avessero collaborato con le autorità per la cattura dei banditi.

La mattina del 12 aprile presso la stazione ferroviaria di Anfutat, sulla linea Cheren-Agordat, venne assassinato a  scopo di rapina Giuseppe Bacchetta un 47enne piemontese che aveva in concessione una zona boscosa per il taglio della legna nei pressi di Agordat. Di buon mattino era sceso alla stazione di Anfutat assieme a due suoi dipendenti nativi per iniziare il lavoro. Giunti nei pressi del torrente Carobel uno dei due, l’etiope Ghebré Meressà, lo colpiva a tradimento con un colpo d’accetta  e lo stesso faceva il secondo dipendente, l’eritreo Uoldenchièl Temmanà. Compiuto l’omicidio si impadronirono del poco denaro del loro datore di lavoro e si allontanarono indisturbati. Fu abbastanza facile per la polizia individuare e catturare gli autori del delitto che nel luglio dello stesso anno furono condannati dalla Corte Britannica a 20 e 15 anni di reclusione rispettivamente.

L’estendersi delle azioni dei banditi, che ormai erano in grado di spadroneggiare indisturbati in sempre più vaste regioni del paese senza che la polizia potesse in qualche modo prevenirle o contrastarle, rese indispensabile l’utilizzo delle forze militari britanniche che effettuarono alcuni rastrellamenti riuscendo, talvolta, ad ingaggiare veri e propri combattimenti con gli scifta.

Malgrado ciò la situazione peggiorava di giorno in giorno ed i delitti, le aggressioni e le devastazioni contro gli italiani assunsero sempre più i contorni di un’ azione politica tendente a dimostrare alla III Sessione dell’Assemblea delle Nazioni Unite, riunita in quel periodo, l’avversità della popolazione eritrea alla concessione di un’amministrazione fiduciaria all’Italia o a qualsiasi altra soluzione che non fosse l’unione federata con l’Etiopia.

Nella notte fra il 4 ed il 5 maggio fu aggredito nella sua concessione mineraria di Ducambia, nei pressi di Barentù, l’italiano Armando Montanti che venne sorpreso nel sonno da un ladro munito di pugnale. La sua pronta reazione gli consentì di schivare i fendenti ed immobilizzare l’assalitore consegnandolo quindi alla polizia. Il delinquente, affidato alla vigilanza di un poliziotto nativo, venne  inopinatamente mal custodito e riuscì ad eclissarsi.

Come altri concessionari, Armando Montanti, denunciando il pericolo ormai palese ed incombente, richiese alle autorità di Agordat la concessione di armi da difesa che però gli vennero negate in considerazione del fatto che a “dieci chilometri di distanza dalla miniera era operante un posto di polizia”.

Sull’argomento intervenne nuovamente il CRIE per ribadire decisamente la necessità che gli italiani che vivevano in località isolate o comunque pericolose fossero adeguatamente armati e che le autorità militari considerassero l’opportunità di restituire ai legittimi proprietari le armi sequestrate all’atto dell’occupazione. L’accorato appello venne finalmente accolto e con lettera del 1 giugno, il t.c. J.C. Crawford, sostituto segretario capo della BMA, annunciava la decisione positiva dell’amministrazione alla concessione di armi da fuoco per la difesa personale.

Per nulla intimoriti dagli avvisi fatti pubblicare sui giornali dalle autorità, ammesso che li avessero letti, gli scifta ripresero indisturbati le aggressioni sulle rotabili.

Il 1 giugno 1948 tre banditi assalirono e rapinarono Eugenio Marsico a  Mai Ainì nei pressi di Decameré. La notte dell’11 giugno tra Addi Quala e Addi Ugri, al km 5, dieci banditi spararono contro l’autocarro di Sebastiano Caruso costringendolo a fermarsi. Obbligato a scendere dal mezzo venne malmenato e rapinato di ogni suo avere assieme ai due suoi passeggeri. Sulla stessa camionale, il 6 di luglio, fu compiuta una rapina ai danni dell’autista Luigi Grappi ed il successivo 7 luglio, in località Addi Bil, nella zona di Ghenafenà nel Seraé, uno scifta con fucile e bombe a mano aggrediva e rapinava Alfredo Dini e Nello Cambi.

Anche alla periferia della città si rinnovarono aggressioni e ruberie. La notte del 19 luglio, al Villaggio Genio, cinque scifta armati di scimitarra irruppero nell’abitazione dell’italiano Cecconi  depredandolo.

La mattina del 5 agosto nuova impresa della banda capeggiata da Hagos Temnuò che con i suoi accoliti assaltava, al km 30 della linea Asmara-Cheren, la “Littorina” condotta da Giovanni Balardi che restò ferito da alcune schegge di vetro dei finestrini frantumati per il lancio di una bomba a mano. Accelerando l’andatura riusciva a sottrarsi all’assalto inseguito dalla fucileria della banda. Nei pressi era al lavoro una squadra di operai che uditi gli scoppi e gli spari ed intuendo il pericolo di una probabile aggressione, si misero a correre in direzione della vicina stazione di Dem Sebai ma dopo pochi metri anche loro venivano fatti segno da colpi di fucile. Mario Miceli, 37 anni, veniva colpito mortalmente al torace e si accasciava sulla scarpata mentre Giovanni Curreli, 57 anni, restava colpito alle gambe, raggiunto dai banditi veniva finito a pugnalate. Il corpo, recuperato qualche ora dopo, recava nella mano un biglietto in lingua tigrina dove venivano espresse minacce e la rivendicazione dell’attentato da parte di Hagos Temnuò.

Il 27 agosto nuove imprese della banda di Hagos Temnuò che attaccava la concessione dell’Avvocato Carlo Matteoda a Savur nella zona delle Pendici Orientali. Furono brutalmente percossi il figlio del proprietario, Alberto Matteoda, la guardia forestale Felicetti ed il fattore Quattrocchi. L’azienda fu completamente depredata delle armi e di ogni oggetto di valore. Prima di allontanarsi i terroristi minacciarono di ritornare entro breve tempo se loro e tutti i concessionari delle Pendici Orientali non avessero pagato con regolarità mensile l’importo di 200 sterline ognuno per rimanere ad operare nella zona.

La banda si spostava quindi verso l’azienda agricola Giannavola, anche questa in Savur, dove sorprendeva il mezzadro Nino Benedetto, la moglie con i due figli, la signora Cutrufo e figlia in visita agli amici. Anche questa azienda venne saccheggiata di armi, denaro, biancheria e quanto altro asportabile. Prima di allontanarsi i banditi percossero Benedetto ed il figlio maggiore ed intimarono di lasciare per sempre la concessione minacciandoli di morte.

Poche ore dopo, nella zona di Filfil, la banda assaliva l’azienda agricola degli Eredi Natale Pratò e poi ancora in Salomonà quella degli Eredi Giovanni Pitzulu che al pari delle altre subirono saccheggi.

Gli attacchi alle concessioni della zona divennero una triste consuetudine accompagnati sempre da taglieggiamenti e devastazioni. Le floride aziende operanti nelle Pendici Orientali attirarono sempre più numerose bande di scifta che in poco tempo ridussero in cenere anni ed anni di appassionato ed intenso lavoro.

Nel pomeriggio di quello stesso 27 agosto si consumava anche l’assassinio di Emilio Barbieri, 33 anni, sorpreso alla guida del suo autocarro al km 55,3 della camionale Asmara-Cheren in località Abrocangua. Una numerosa banda di scifta, che operava abitualmente nella valle dell’Anseba, aveva preparato un agguato alla corriera proveniente dalla capitale nell’intento di depredare i numerosi mercanti di bestiame del bassopiano occidentale che rientravano dopo aver effettuato le loro vendite ad  Asmara. Purtroppo, mezz’ora prima del loro passaggio, si trovò a transitare l’autocarro guidato da Emilio Barbieri che trasportava i prodotti agricoli della concessione di Luigi Ertola. Gli scifta decisero l’assalto sparando numerosi colpi di fucile che colpirono le gomme costringendo l’autista ad arrestare la marcia. Mentre era chino per tirare il freno a mano veniva raggiunto da un colpo in piena fronte che lo uccideva. Il cadavere fu depredato di ogni avere compresi i pantaloni ed una coperta. L’autocorriera, allertata in tempo,  riuscì a sventare l’aggressione.

La sera del 9 settembre un gruppo di una decina di scifta assaliva l’azienda di Pietro Falletta a Tzada Cristian, 8 km da Asmara,  dove raziarono 11 bovini. Il 13 novembre fu la volta della fattoria di Valentino Tega di Addi Gombolo, 5 km da Asmara, dove gli aggressori, dopo aver tentato di uccidere il fattore Domenico Fusaroli, rubarono 50 capi di bestiame.

Nella zona di Mai Habar, sulla camionale Nefasit-Decameré, la sera del 16 dicembre una banda di scifta assaliva la concessione di Gilda Cerrini depredando ogni cosa. La proprietaria ed il personale si salvarono dal massacro asserragliandosi in un locale appositamente predisposto per la difesa.

Il giorno di Natale del 1948, nella zona dell’Amba Galliano, due nativi armati di pistola e pugnale rapinarono per la strada Giovanni Castrignano e la moglie.

Pochi giorni dopo, il 29 dicembre, sempre per le vie di Asmara, altri due nativi aggredirono e ferirono con un pugnale il connazionale Giulio Della Pozza che derubarono di ogni avere.

Il susseguirsi ininterrotto di  aggressioni, razzie ed assassinii che avvenivano senza soluzione di continuità in tutto il territorio ai danni di persone, aziende agricole, impianti minerari, ed ogni altra attività di appartenenza italiana occupando quasi giornalmente le cronache dei giornali, sollecitò una ulteriore vibrante lettera di protesta da parte del CRIE indirizzata al commissario di polizia colonnello Fitzpatrick nella quale, oltre a denunciare le ultime aggressioni, si accusava come sempre e senza mezzi termini la BMA di scarso impegno nel combattere e debellare il terrorismo.

 

 

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