In memoria delle vittime innocenti |
di quel triste periodo. |
(Eros Chiasserini) |
A cura di |
EROS CHIASSERINI |
ERITREA |
1941-1951 |
GLI ANNI DIFFICILI |
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Desideriamo ringraziare Marcello Melani |
Direttore del Mai Taclì |
che ci ha permesso la pubblicazione del lavoro di Eros Chiasserini |
La Redazione |
Indice |
1941 - 42 |
1943 - 44 |
1945 - 47 |
1948 |
1949 |
1949 | ||
All’imbrunire del 18 gennaio 1949 avvenne la prima di una lunga serie di scorrerie terroristiche a danno delle aziende agricole della Valle del Dorfu ad opera dell’etiope Hailé Abbai, un ex dipendente del concessionario Italo Rizzi, destinato a divenire tristemente famoso come feroce assassino. Durante l’assalto furono brutalmente malmenati la signora Giuseppina Rizzi di 74 anni, il fattore Giuseppe Coppola ed alcuni dipendenti. La banda si diede quindi al saccheggio delle abitazioni. Lasciata la concessione di Italo Rizzi il gruppo rivolse le sue attenzioni ad un’altra azienda agricola, quella di Orlando Rizzi, saccheggiandola di quanto materialmente asportabile arrecando un danno economico rimarchevole. Il saccheggio sistematico delle concessioni della Valle del Dorfu divenne una consuetudine per le bande di scifta di passaggio nella zona e nel corso del 1949 si ebbero ben sette razzie. Il 2 febbraio i banditi rapinarono di denaro ed indumenti il concessionario Francesco Alfano nei pressi della miniera di Gaala nella zona del Sahartì mentre il giorno 13 una banda razziava 36 bovini nella concessione di Antonio Cicoria in Hamezì. Anche i Giardini Sperimentali Governativi di Elabì e Filfil nella zona di Merara non furono esenti da incursioni e razzie da parte degli scifta. A dirigere quell’importante settore dell’economia eritrea era l’esperto agrario Silvio Nardi di 60 anni. Giunto in Eritrea nel 1921 si era dedicato con passione all’agricoltura e nel 1923 era passato alle dipendenze del governo quale responsabile dei Giardini. Dopo l’occupazione britannica venne riconfermato nel suo ruolo che assolveva con immutata passione. Malgrado la pericolosità della zona volle rimanere al suo posto di lavoro. Il 24 febbraio ricevette la prima visita degli scifta, ormai dilaganti nelle Pendici Orientali, e subì una prima rapina all’interno della sua abitazione. Altre seguirono nel tempo risolvendosi però sempre in maniera incruenta fino a quella fatale del 4 dicembre 1949. Il susseguirsi delle razzie e degli assassinii, divenuti ormai incontrollabili per le forze di polizia e per i soldati del 2° Battaglione del Royal Berkshire Regiment di stanza in Eritrea, consigliò la BMA ed il commissario di polizia colonnello Fitzpatrick a richiamare in Eritrea anche il 1° Battaglione dello stesso Reggimento, all’epoca di stanza in Germania, per dare man forte agli uomini impegnati nei rastrellamenti di repressione che fino allora avevano sortito ben pochi risultati. Il ricongiungimento dei due Battaglioni avvenne in Asmara il 5 marzo del 1949. La sera di quello stesso 5 marzo la banda dei fratelli Mosasghì effettuava una scorreria nell’abitato di Senafé aggredendo con bombe a mano quattro uomini della Guardie di Finanza che erano appena usciti dalla mensa dopo aver consumato la cena: Antonio Di Stasi, Alfredo Greco, Giovanni Sanchi e Alfredo Tramacere. Tutti rimasero leggermente feriti. Mentre Greco e Sanchi correvano verso la caserma per armarsi, Tramacere, coraggiosamente, cercò di bloccare uno degli aggressori ma venne raggiunto da numerosi colpi di scimitarra che lo ferirono gravemente e si accasciò esamine al suolo. Di Stasi cercò scampo all’interno della piccola centrale elettrica dove prestava servizio Lino Marchetti che proprio in quel momento aveva aperto la porta per rendersi conto di cosa stesse succedendo. Sfortunatamente uno degli scifta riuscì ad introdursi nel locale lanciando bombe a mano all’indirizzo dei due italiani che feriti si ritirarono nel cortile adiacente dove furono raggiunti da quattro colpi di fucile 91 sparati a bruciapelo. Di Stasi rimase ucciso sul colpo. Al termine dell’aggressione la banda armata si riunì all’esterno di un bar frequentato da italiani sfidandoli ad uscire quindi, forse già sazi del bagno di sangue, si avviava verso il quartiere nativo. Tramacere e Marchetti, gravemente feriti, furono trasferiti il giorno dopo prima a Decameré e quindi all’opsedale di Asmara dove decedevano entrambi. Lino Marchetti di 38 anni ex dipendente della S.A. Caproni dell’A.O.I. e rappresentante locale del CRIE, era gestore della centrale elettrica di Senafé. La Guardia di Finanza Antonio Di Stasi di 23 anni, giunto in Eritrea nel maggio del 1948, era stato in forza alla stazione doganale di Tessenei. Il suo trasferimento a Senafé era avvenuto la mattina stessa del suo assassinio. La Guardia di Finanza Alfredo Tramacere di 36 anni, in Eritrea da 11, aveva partecipato attivamente al secondo conflitto mondiale nelle zone di Tessenei e di Massaua. Con una lettera datata 7 marzo 1949, indirizzata al Comandante della Guardia di Finanza, il brigadiere F.G. Drew, amministratore capo dell’Eritrea, esprimeva “tutto il suo dispiacere” per la morte dei due Finanzieri ed assicurava che sia la BMA che la polizia “stavano facendo del loro meglio per catturare o eliminare i responsabili di quegli ultimi delitti, sulle cui identità non vi erano dubbi”. Malgrado le attestazioni di cordoglio ed i buoni propositi ripresero sia le aggressioni che gli assassinii. Il 19 marzo, al km 16 della camionale Asmara-Cheren, una banda di scifta assaliva a fucilate l’autocorriera della Ditta Fulli che solo per la presenza di spirito dell’autista riusciva a sfuggire all’agguato. La mattina del 22 la banda capeggiata da Techesté Hailé bloccava sulla strada Asmara- Himbertì l’autobotte della Ditta SABA guidata da Primo Castellani. L’autista venne depredato del denaro e degli indumenti ed a stento ebbe salva la vita. Il terrorismo politico dilagante, diretto essenzialmente contro gli italiani indifesi, copriva ormai tutto il territorio spingendosi da tempo impunemente anche nei centri abitati tanto che la sera del 24 marzo tre nativi fermarono nel centro di Asmara il taxi contrassegnato dal nr. 69 guidato da Angelo Cultrara, 38 anni coniugato e padre di una bimba in tenera età, chiedendo di essere condotti verso la zona periferica di Acria. L’auto venne rinvenuta all’alba del giorno seguente ferma alla periferia della città con a bordo il cadavere di Cultrara, spogliato di ogni avere e degli indumenti, ucciso da un colpo di pistola al posto di guida. Presumibilmente fu fatto scendere, rapinato e costretto a risalire in macchina per poi essere colpito a sangue freddo. Anche la aziende agricole e le altre attività tornarono ben presto nel mirino degli scifta che fecero la loro apparizione la notte del 25 marzo alla concessione Cappellano nella zona del Sembel vicino Asmara dove, in mancanza del titolare, depredarono due operai nativi. Si spostarono quindi nella vicina concessione Gianquinto con l’intento di saccheggiarla ma questi, avvertito in tempo, riusciva a respingere l’assalto a colpi di fucile. La sera dopo, 26 marzo, in Dongollo Alto presso Ghinda una banda di circa 25 scifta al comando di Hagos Temnuò e Hailé Abbai assalì a fucilate il ristorante di Angelo Valbonesi “Le tagliatelle sempre pronte” che venne depredato della biancheria, viveri, indumenti e denaro. Il 27 marzo fu la volta dell’azienda del Conte Stefano Marazzani situata presso Debaroa sulla camionale Asmara-Addi Quala. Vennero asportati circa 120 bovini di razza pregiata allevati in stalla. Due rapine furono compiute sulla camionale Massaua-Asmara ad opera di una ventina di scifta. La prima il 2 aprile, poco fuori Massaua, ai danni di un gruppo di italiani che viaggiavano su sei auto. La seconda la mattina del 5 aprile nella Piana di Saberguma, a circa 2 km dal bivio di Ailet, e ne fu vittima Emilio Franchetti. Nelle prime ore della sera del 9 aprile riapparve sulla scena del terrorismo la famigerata banda di Uoldegabriel Mosasghì con un assalto al bar ristorante “Gallo d’Oro” a pochi chilometri da Asmara sulla camionale per Massaua. Devastarono ed incendiarono l’edificio razziando denaro e liquori. Terminato il saccheggio i componenti della banda, in preda all’alcol, si divisero in due gruppi. Il primo, composto da sette elementi, si diresse verso la zona periferica della città e, nel rione di Ghezzabanda, assassinarono con tre fucilate a bruciapelo dinanzi alla sua abitazione il 38enne Gennaro Di Matteo, autista di piazza. Rimasero illesi la figlia di 3 anni e la moglie Milena Barbini. Il secondo gruppo tentava un’analoga aggressione in una vicina abitazione ai danni del geometra Bocchi senza fortunatamente riuscire nell’intento. Questi feroci episodi destarono enorme impressione in città ed ancora una volta il CRIE espresse la sua ferma condanna alle autorità che apparivano sempre più incapaci di arginare il dilagare del terrorismo e garantire l’incolumità degli italiani. Ai funerali di Gennaro Di Matteo, avvenuti il 17 aprile, prese parte una folla imponente di italiani e nativi oltre ad una lunga colonna di vetture dei compagni di lavoro della vittima. La bara, ricoperta dal tricolore italiano, venne portata a spalle fino al Cimitero. In una lettera indirizzata ai massimi dirigenti della British Administration of Eritrea che, dal 1 aprile era subentrata alla British Military Administration, il CRIE riferiva tra le altre cose che insistenti voci provenienti da fonte sicura davano come plausibile il timore che un numero considerevole di armi fosse custodito nei locali delle chiese copte di Asmara e di Tzada Cristian, che un impiegato nativo della BAE fosse un sospetto organizzatore di aggressioni ai danni di cittadini italiani e che contro gli stessi si stavano preparando altri fatti di sangue. Sempre la sera del 9 aprile ci fu un’ulteriore aggressione a mano armata a scopo di rapina da parte di tre banditi ai danni dell’italiano Dalloli nella sua abitazione in Asmara. L’autorità britannica, chiamata pesantemente in causa per gli ultimi tragici avvenimenti impose, quale misura cautelativa, il coprifuoco nella città di Asmara dalle 19 alle 05. Un servizio di pattugliamento con carabinieri italiani e poliziotti eritrei al comando di un ispettore inglese fu istituito in ognuno dei sei quartieri urbani con l’ausilio di camionette armate ed autoblindate. La polizia decise infine una improvvisa irruzione nella sede dell’organizzazione “Andinnet”, la sezione giovanile di tendenza estremista del “Partito Unionista”, dove sequestrò armi detenute illegalmente, effettuò arresti e ne dispose lo scioglimento dichiarandola fuorilegge. Ad un momentaneo rallentamento delle azione terroristiche ed aggressioni nell’ambito cittadino fece riscontro l’intensificarsi del banditismo in altre zone. La mattina del 12 aprile sette scifta irruppero nella concessione agricola di Eusebio Andrei in località Addiscià vicino al Villaggio Toselli presso Decameré. Oltre al proprietario vennero rapinati anche alcuni dipendenti nativi. Il 14 aprile, al km 17 della camionale Asmara-Decameré, vennero bloccati e depredati di una considerevole somma di denaro il geometra Michele Pollera e l’ingegnere Paolo Raviglio che si stavano recando nella miniera aurifera di Gaalà nel Sahartì per pagare gli operai nativi. Stessa sorte toccava all’industriale Luigi Pacchetti intercettato il giorno dopo 15 aprile, da un bandito armato che lo rapinava di denaro ed indumenti al km 18 della camionale Asmara-Decameré. Pochi giorni dopo, nel pomeriggio del 22 aprile, al km 66 della camionale Asmara-Massaua, tre scifta spararono delle fucilate contro l’auto di Araldo Vannini che riuscì fortunosamente a sfuggire all’agguato. Peggiore sorte toccò invece ai connazionali Silvio Alti e Walter Covani, sopraggiunti sul luogo con altra vettura, che vennero depredati di denaro, orologi ed indumenti personali. La sera dell’8 maggio in località Bet Mariam, presso Addi Ugri, altra rapina da parte di cinque scifta armati di fucile ai danni di Vincenzo Maggi alleggerito del denaro, degli indumenti e del proprio fucile. Mentre proseguirono indisturbati gli atti di terrorismo e le rapine, il 9 maggio 1949 dinanzi alla Terza Sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU, venne dato l’annuncio di un raggiunto possibile compromesso per la spartizione dell’Eritrea tra Sudan Anglo-Egiziano ed Etiopia. Dopo una breve insignificante pausa ripresero le azioni terroristiche contro le aziende della regione. Le prime di questa nuova serie, la sera del 17 maggio, avvennero a danno delle concessioni agricole di Vittorio Nastasi ed Ivo De Biase, entrambe nella zona di Tzada Cristian a 7 km da Asmara. Furono razziate, del bestiame, del denaro e di ogni oggetto di valore asportabile. Il 24 maggio la concessione di Pietro Avveduto di Tzom Sorat, nella Valle del Dorfu, subì la prima di una serie di saccheggi e devastazioni. Uguale sorte subirono altre due aziende nella notte tra il 1 ed il 2 giugno. Una banda di sei scifta assalì per prima la miniera aurifera di Vasco Ignesti in Sciumagallé presso Asmara, rapinando gli operai di denaro ed indumenti e, poche ore dopo la stessa banda aggredì la concessione De Rossi in Addi Concì presso Asmara, depredando il personale nativo. Un duplice agguato mortale avvenne il 4 giugno a 9 km da Senafé sulla camionale per Addi Caieh. La banda dei fratelli Mosnaghì tese un agguato ai mezzi in transito erigendo uno sbarramento di pietre che bloccava la carreggiata in entrambi i sensi di marcia. Il primo a cadere nell’imboscata fu il carabiniere Quinto Alessi che a bordo della sua moto viaggiava alla volta di Addi Caieh assieme ad una nativa alla quale aveva concesso un passaggio. Sfortunatamente vide l’ostacolo con ritardo e non fece in tempo a fermare la moto che finì contro la barriera. Prima ancora che riuscisse a mettere i piedi a terra venne immobilizzato da alcuni scifta e disarmato della pistola. Riuscito a divincolarsi cercava scampo nella fuga ma venne raggiunto da numerosi colpi di fucile che lo uccisero sul colpo. Poco dopo sopraggiunse una Fiat “Balilla” condotta da Gustavo Bica con a bordo l’amico Guido Cipriani, la Guardia di Finanza Mario Vassella ed un eritreo impiegato governativo di Senafé. Il gruppo venne fatto segno da numerosi colpi di fucile ai quali Vassella rispose con la pistola d’ordinanza. Bica tentò di rifugiarsi dietro l’auto, ma venne raggiunto da tre colpi che lo uccisero. Il finanziere Vassella rimase ferito ad una gamba mentre Cipriani, ancora illeso, tentò disperatamente una inversione di marcia ma venne colpito da una pallottola al polso sinistro e l’auto, mal governata, finì la sua corsa in un fossato. Malgrado la ferita, balzò fuori dalla vettura e riuscì ad allontanarsi dalla zona. Il corpo di Gustavo Bica fu rinvenuto il giorno dopo presso un cespuglio depredato dell’orologio e delle scarpe. Giuseppe Jovine era un cantoniere di 52 anni, padre di otto figli, che curava la manutenzione di alcuni tratti di strada del Seraé. Viveva con la famiglia in Addi Ugri dove era amico e benvoluto da tutti. L’ 8 giugno, in sella alla sua moto, percorreva la strada di Arresa dopo aver ispezionato i lavori in corso. Giunto al km 8 una banda di sei o sette nativi, che si rivelarono subito degli scifta, lo bloccava. Non ebbe neanche il tempo materiale di fermare la moto e mettere i piedi a terra che, senza una parola, gli spararono un colpo di fucile al volto che lo uccise. Lo spogliarono del casco e del giaccone che usava durante il lavoro. Nei giorni 14 e 16 giugno altre aggressioni e rapine. Il 14 giugno, sulla camionale per Massaua, la banda di Hailé Habbai bloccava e rapinava l’autista Paolantonio Riva che ebbe salva la vita esclusivamente perché, come gli disse il capobanda, essendo sua madre eritrea, “nelle sue vene scorreva anche sangue abissino”. Il 16 giugno invece fu assalita la cartiera dei fratelli Perrone in Medrizien presso Asmara. I presenti furono spogliati di denaro ed indumenti. L’agricoltore Arturo Revello di 38 anni conduceva assieme al socio Ezechiele Ferrando la concessione di Mai Ambetà, situata al km 13 della rotabile Nefasit-Decameré. L’avevano rilevata da Domenico Cuccaro che era rimpatriato all’inizio dell’anno. I locali adibiti ad abitazione erano stati fortificati in maniera da poter resistere ad eventuali attacchi degli scifta ormai incombenti nella zona di Mai Habar. La sera del 19 giugno, subito dopo la cena consumata in compagnia del socio Ezechiele Ferrando, di suo figlio Giovanni e dell’amico Saverio Dell’Aquila, Arturo Revello si recava nella cucina situata al piano terreno dove inavvertitamente, malgrado le rigide disposizioni date ai dipendenti, le imposte della finestra erano state lasciate accostate. Mentre si avvicinava per chiuderle, attraverso lo stretto spiraglio, veniva sparato un colpo di fucile che lo colpiva in pieno petto uccidendolo all’istante. Ezechiele Ferrando, resosi subito conto che si trattava di un attacco dei banditi, riusciva fulmineamente a chiudere il varco evitando il sicuro massacro delle altre persone presenti. La mattina del 22 giugno la banda di Uoldegrabriel Mosasghì assaliva la concessione agricola dell’Avvocato Angelo Maiorani situata nella Valle del Tabò nella zona di Ghinda. Gli scifta saccheggiarono l’abitazione di stoviglie e masserizie e si impadronirono anche di un fucile da caccia. Il fattore Luigi Maggiulli ebbe salva la vita “per rispetto alla sua tarda età”. Prima di ritirarsi Uoldegrabriel Mosasghì gli lasciava un biglietto da far pervenire alle autorità di polizia nel quale si irrideva alla loro incapacità di catturarli. Il 29 giugno la stessa banda ripeteva l’assalto minacciando di morte Luigi Maggiulli se fosse stato trovato nuovamente nella concessione. Seguì una ulteriore razzia di quanto era rimasto la volta precedente ed un tentativo di incendio delle abitazioni. Diramato l’allarme una pattuglia della polizia eritrea guidata da un ufficiale britannico riusciva a raggiungere la banda nei pressi di Nalbiò ed ingaggiava un furioso combattimento. Gli scifta riuscirono a sfuggire alla cattura ma lasciarono sul terreno numerose armi ed una borsa di documenti tra i quali una lettera indirizzata a Uoldegabriel Mosasghì da due alti esponenti del Partito Unionista, uno dei quali identificato in Chidanemariam Lainé figlio di Ras Chidanemariam Gheremeschel di Arresa, presidente onorario dello stesso partito, nella quale si congratulavano per le sue gesta in favore della causa per l’Unione. Nuovamente in Asmara, la notte del 23 giugno, due ladri riuscivano a penetrare in una stanza dell’Albergo Italia occupata da Orlando Stupici. Svegliato di soprassalto si opponeva tenacemente alla rapina ma rimaneva ferito da diverse pugnalate. Diffusasi intanto la notizia di una quasi certa decisione dell’Assemblea delle Nazioni Unite in favore della spartizione dell’Eritrea tra il Sudan Anglo-Egiziano e l’Etiopia, il 26 giugno 1949 i partiti contrari a tale soluzione, giudicata altamente dannosa per il paese, decidevano di fondersi in un unico raggruppamento per contrastare la nuova eventualità dando vita al “Blocco Eritreo per l’Indipendenza”. Sempre nell’intento di costringere i concessionari ad abbandonare le loro imprese proseguirono gli assalti e le devastazioni delle aziende agricole e minerarie condotte da italiani. Il 1° luglio una banda di cinque scifta assaliva la concessione Eredi Di Pietra in Adi Cuscet-Sembel presso Asmara, con l’intenzione di ucciderne il proprietario. In sua mancanza rapinarono di misere cose il custode eritreo. La sera del 4 luglio vennero assalite e depredate le aziende agricole Fratelli Santini ed Enzo Santini in Deddà nelle Pendici Orientali. Da entrambe asportarono valori, masserizie ed indumenti. Si rifece viva la banda di Hailé Abbai che la sera del 5 luglio depredò la concessione di Giuseppina Farina, situata nella Valle del Dorfu, impadronendosi di danaro, oggetti di valore, armi da caccia e munizioni. Con una azione evidentemente concertata, il 10 luglio tre scifta armati di fucile bloccarono sulla strada Asmara-Zazzega i tre concessionari minerari Condomitti, Santini e Tringali depredandoli dell’intera somma destinata alle paghe dei loro dipendenti e di altri oggetti personali imponendo poi a Tringali di recarsi alla miniera per prelevare un fucile mentre, in attesa del suo ritorno, tenevano in ostaggio gli altri due italiani sotto la minaccia delle armi. Nei mesi di luglio ed agosto si ebbe una lunga serie di aggressioni e devastazioni: Il 15 luglio, miniera aurifera S.A. Miniera del Gaalà nel Sahartì. Il 7 agosto, concessione mineraria Eredi Ing. Gabriello Salvi in Addi Nefas a 6 km da Asmara. L’ 8 agosto, concessione agricola Felice Barbui in Hamezi. Il 9 agosto, concessione agricola dell’INAIL sulla camionale Asmara-Addi Ugri. L’ 11 agosto, la banda capeggiata da Ogbansé Iggigiù saccheggiò la concessione agricola dei Fratelli Crispi nelle Pendici Orientali. Il 13 agosto, concessione agricola del Comm. Mario Torriani in Merara, Pendici Orientali, il cui proprietario riuscì a stento a sottrarsi a morte certa respingendo con la pistola alcuni assalitori e dandosi quindi alla fuga. Sempre il 13 agosto, nuovamente nella concessione agricola Guido De Rossi in Addi Concì che subì poi un’altra incursione il seguente 12 settembre quando ormai non restava più nulla da depredare. Il 14 agosto, razzia di bestiame nella fattoria di Giovanni Pollera al Sembel presso Asmara. Sempre nell’intento di costringere i concessionari ad abbandonare le loro imprese proseguirono gli assalti e le devastazioni delle aziende agricole e minerarie condotte da italiani. Il 28 agosto 1949 al km 28 della camionale Asmara-Addi Ugri, una banda di otto scifta tese un’imboscata a tre automezzi in transito e rapinò italiani e nativi di somme di denaro e vari oggetti di valore per un considerevole importo. Il pomeriggio del 31 agosto la concessione dell’agricoltore Antonio Monticelli situata a Mai Habar, sulla camionale Nefasit-Decameré, venne assalita da una banda di 4 scifta armati di bombe a mano e fucili. Fu depredata dei viveri ed altri oggetti di valore. Il primo assalto al “Bar Dorfu” fu sferrato la sera del 31 agosto da parte di una banda di 14 scifta capeggiati dall’etiopico Hailé Abbai. Il locale era situato al 7 km della camionale Asmara-Massaua al bivio della strada sterrata che scende alla Valle del Dorfu. La proprietaria Giuseppina Pieggi-Silvestri, Armando Morniroli ed altri presenti subirono violenze e rapina. Dal locale vennero asportate tutte le bevande ed i viveri e quindi venne vandalicamente distrutto. La sera del 1 settembre altra incursione di scifta, questa volta ai danni della concessione Luigi Ertola di Cheren, che depredarono di tutti i viveri e dove furono uccisi due bovini per asportarne la maggior parte della carne. Il 2 settembre la banda capeggiata da Uoldegabriel Mosasghì fermava l’autocarro condotto da Dario Primerù a 9 km da Arresa sulla strada Asmara-Addi Ugri. L’autista ed i passeggeri, la maggior parte commercianti arabi, vennero rapinati del denaro, degli indumenti e di ogni oggetto di valore oltre che di tutte le merci trasportate. Dario Primerù salvò miracolosamente la vita per intercessione di un componente della banda, forse un suo ex dipendente. Ripresero con rinnovata frequenza gli assalti alle concessioni. Il 4 settembre toccò a quella agricola di Salvatore Filpi in Faghenà, Pendici Orientali, razziata da tre scifta. La stessa sera quattro scifta assalirono e saccheggiarono quella di Baldassarre Medaglia in Ona Monassé presso Asmara. Il 6 settembre ci fu un tentativo di assalto da parte di dodici scifta alla concessione di Giovanni Lombardi situata in Dorotai sulla camionale Cheren-Agordat. La banda fu coraggiosamente messa in fuga dall’agricoltore che rispose con determinazione e violenza al fuoco dei banditi. Sempre il 6, di sera, alcuni scifta tentarono un assalto all’abitazione dell’agricoltore Vincenzo Jacovino a Mai Habar, sulla camionale Nefasit-Decameré. Trinceratosi in casa Jacovino costrinse gli assalitori a desistere. Durante la notte dieci scifta assalirono la concessione di Luigi Ziantona al Sembel, Asmara, depredandola di vari oggetti oltre che di un fucile da caccia e relative munizioni. Il 7 settembre la banda di Ogbansé Iggigiù assaliva e saccheggiava la concessione agricola di Matteo Matteoda in Sciumbabatì nelle Pendici Orientali. Il 9 settembre, sulla strada Asmara-Medrizien, due scifta rapinarono Emilio Fareri ed il suo compagno di viaggio Agostini mentre erano diretti ad Hametzì. Il 13 settembre un’altra banda assaliva e devastava l’abitazione di Paolo Springolo nella sua concessione agricola di Merara, nelle Pendici Orientali. All’imbrunire del 14 settembre al km 8 della camionale Asmara-Decameré quattro scifta tentavano di fermare a colpi di fucile l’auto condotta dal Dott. Ugo Mazzacurati che viaggiava in compagnia di Flaminio Bortolai. Mentre l’auto accelerava per sottrarsi all’aggressione Bortolai rispondeva al fuoco Il 16 settembre nuovo saccheggio alla concessione agricola di Pietro Avveduto in Tzom Adorat, Valle del Dorfu. La sera del 26 settembre nella zona del Sembel, Asmara, una banda di scifta aggrediva, bastonava e rapinava del denaro l’agricoltore Stelio Isabettini. Nella notte del 27 settembre in Via Baldi in Asmara, due nativi armati aggredivano e rapinavano del denaro l’italiano Pietro Bissi. La sera del 3 ottobre una banda di scifta accerchiava l’abitazione dell’impresario edile Luigi Conte poco fuori l’abitato di Decameré sulla strada per Nefasit. Alle intimazioni di aprire il cancello l’italiano, per nulla intimorito, apriva il fuoco mettendo in fuga gli aggressori. Pochi mesi dopo, per le continue intimidazioni ed aggressioni che non consentivano il proseguimento del lavoro, l’impresario decise di abbandonare la sua proprietà che demolì completamente, compreso l’adiacente vasto vigneto, per non lasciarlo in mano ai nativi. All’inizio di ottobre ripresero anche le aggressioni finalizzate all’omicidio. Le prime vittime di questa nuova ondata di terrore furono gli italiani Salvatore Timonieri di anni 60 ed Otto Kasseroler di 26, ambedue assassinati la sera del 5 ottobre presso la stazione ferroviaria di Tzada Cristian a 15 km da Asmara. Una banda di cinque scifta, capeggiati dal terrorista Hagos Temnuò, assaltò per prima l’abitazione di Otto Kasseroler. Prelevato il proprietario lo trucidarono nel tratto che conduceva verso la stazione ferrovia distante poche centinaia di metri. Penetrati nei locali tentavano di abbattere con il calcio dei fucili la porta dell’alloggio dell’anziano caposquadra pensionato delle Ferrovie Eritree, Salvatore Timonieri, che in quel momento era in compagnia della figlia Concetta e del nipote di appena un mese, in visita al congiunto, di una giovane domestica e di un altro giovane nativo. Un colpo di fucile sparato attraverso la porta raggiungeva quest’ultimo alla mano. In preda al panico la giovane domestica, preso in braccio il piccolo e aperta una finestra del retro, cercava la fuga nei campi seguita da Concetta Timonieri. Attraverso la finestra, rimasta spalancata, vennero esplosi numerosi colpi di fucile uno dei quali raggiunse l’anziano ferroviere al collo uccidendolo all’istante. Il giorno dopo, sul corpo di Otto Kasseroler, fu trovato un biglietto scritto in tigrino firmato da Hagos Temnuò che rivendicava il duplice assassinio. In conseguenza a questo ulteriore barbaro massacro il CRIE si riuniva d’urgenza ed indirizzava una lettera al Rappresentante del Governo Italiano in Eritrea, il Conte Adalberto di Gropello, sollecitandolo ad avviare una forte azione di protesta contro le autorità britanniche sicuramente colpevoli di non aver adottato i provvedimenti da tempo invocati per ripristinare normali condizioni di vita e di sicurezza nel territorio e ad eseguire un adeguato controllo sulle organizzazioni politiche che sempre più apparivano responsabili di intolleranza ed aggressione nei confronti dei gruppi indipendentisti. Con l’intensificarsi delle aggressioni e del terrorismo nei centri abitati, nelle campagne, nelle vie di comunicazione e del banditismo volto a distruggere ogni traffico, attività agricola e mineraria, e l’abbandono di ogni attività produttiva seminando disordine e paura, il numero degli italiani che abbandonarono l’Eritrea aumentò di giorno in giorno. Una stima effettuata agli inizi del 1949 indicava in 20 mila il numero degli italiani residenti in Eritrea; di questi 17 mila in Asmara, circa 2 mila a Massaua ed i rimanenti sparsi nei vari centri abitati del paese. Nello stesso periodo le bande di scifta operanti nel territorio vennero stimate in circa 30 unità per un totale di circa mille uomini la maggior parte dei quali capeggiati dai fratelli Uoldegabriel e Berhé Mosasghì, Hagos Temnuò, Haile Abbai, Techesté Hailé, Brahané Nafur, Teclé Sereché, Asseressei Embaié, Brahané Nafur, Hailé Cascì, Abrahà Zemariam. Malgrado le denunce e le vibranti proteste del CRIE niente o quasi cambiò. Il 20 ottobre una ben organizzata banda di scifta assaltava la concessione agricola dell’Avv. Carlo Matteoda in Filfil sulle Pendici Orientali. Asportarono quanto possibile e, tramite il fattore Quarto, invitarono il proprietario a corrispondere un tributo mensile se voleva evitare la distruzione dell’azienda. Il 2 novembre la banda di Techesté Hailé face irruzione nell’azienda di allevamento di bovini di Antonio Battaglia in località Marhanò, a circa 5 km da Asmara ad un bivio della camionale Asmara-Addi Ugri, depredandola di tutti i capi di bestiame. Fu la prima di una lunga serie di razzie che nel successivo marzo 1950 sarebbero culminate con il feroce assassinio di Antonio Battaglia e del suo fraterno amico Armando Pedulla. La sera del 7 novembre il concessionario Pietro Avveduto mentre stava risalendo in autocarro la Valle del Dorfu diretto ad Asmara veniva bloccato e rapinato da un gruppo di scifta capeggiati da Hailé Abbai. Selvaggiamente percosso riportava numerose ferite ma riusciva fortunatamente a placare l’ira dei banditi ed a scampare a morte certa dialogando nella loro lingua che conosceva perfettamente. Nella stessa serata una ventina di scifta assalirono e depredarono del bestiame bovino l’azienda agricola di Artemio Maffi situata in Ona Menassé presso Asmara. Altre aggressioni e rapine furono portate a termine tra il 10 ed il 13 novembre. Giovanni Saragozza assalito da un ladro all’interno della propria abitazione in Asmara, nella zona di Campo Polo, rimase ferito ad un braccio da una pugnalata e riuscì fortunatamente ad evitare un colpo di pistola esploso al suo indirizzo dallo stesso individuo. Un gruppo di scifta tentò di razziare il bestiame dell’allevatore Angelo Pacchiana nella sua azienda del Sembel presso Asmara. Avvertito per tempo della presenza dei banditi li accoglieva a colpi di fucile e riusciva a respingerli. La famiglia di Mario Audifredi mentre percorreva a bordo della propria auto la camionale Asmara-Massaua venne bloccata al km 35 e rapinata di tutti i loro averi. La sera di domenica 13 novembre fu compiuto nel centro della cittadina di Addi Ugri uno dei più sanguinosi atti terroristici degli ultimi tempi. Una numerosa banda di scifta, divisa in due gruppi, attaccava con il lancio di bombe a mano il Bar Formia ed il Cinema Rex sparando contemporaneamente numerosi colpi di fucile per la via principale e verso il Bar Piazza dove si trovavano alcuni avventori. Nell’incursione furono colpiti a morte l’italiano Antonio Santangelo ed il cittadino greco Giorgio Aktidis mentre un altro italiano, Gregorio Merodi veniva ferito gravemente e decedeva all’Ospedale Regina Elena di Asmara il successivo 16 novembre. Quasi certamente l’attacco terroristico fu opera degli scifta guidati da Hagos Temnuò ed Asseressei Embaié che nei giorni precedenti erano stati segnalati nella zona del Seraé. Sul luogo i banditi lasciarono alcuni biglietti di intimidazione rivolti ad italiani ed eritrei invitandoli a dissociarsi dal “Blocco Eritreo per l’Indipendenza” se volevano evitare ulteriori attacchi. In un secondo biglietto, indirizzato all’amministrazione britannica, si leggeva testualmente: “Mantenete la vostra promessa e dateci l’ Indipendenza con l’Unione alla Etiopia”. La mattina del 17 novembre la banda dell’etiope Hailé Habbai fermava presso Embatkalla, sulla camionale Asmara-Massaua, il taxi di Placido Guidara che trasportava quattro commercianti arabi. L’autista ed i passeggeri venivano fatti scendere e l’italiano trucidato sul posto per ordine del capobanda. Tutti subirono la rapina dei loro averi. Placido Guidara, 40 anni, da pochi giorni si era trasferito da Addi Ugri ad Asmara con la moglie e la figlia di due anni e mezzo sperando in una esistenza più sicura e nell’intento di migliorare le sue modeste condizioni economiche. Qualche ora prima, poco distante, la stessa banda di assassini aveva ucciso con pari crudeltà il commerciante indiano Dulabhje Premjee. Il duplice omicidio, che seguiva di pochi giorni l’eccidio di Addi Ugri, suscitò estrema emozione tra la popolazione italiana e nativa di Asmara ed infiammò ulteriormente il risentimento nei confronti dell’amministrazione britannica dimostratasi ancora una volta incapace di mantenere l’ordine e garantire la sicurezza della popolazione. Il CRIE faceva sentire ancora una volta la propria voce e diffondeva un comunicato diretto alla popolazione che si esprimeva in questi termini: “A tutti gli abitanti dell’Eritrea” “I dolorosi crimini che da molto tempo insanguinano le contrade dell’Eritrea e che, senza distinzione di razza e di comunità, colpiscono inermi cittadini, costituiscono una palese violazione di ogni diritto umano, contro la quale si eleva spontaneo ed unanime il sentimento di esecrazione di ogni uomo cresciuto al rispetto dell’umana dignità. Nonostante le ripetute proteste di questo Comitato, si é manifestata l’assoluta mancanza di tutela della sicurezza pubblica. Contro i responsabili di questa insostenibile situazione non può e non deve mancare la protesta di tutti gli abitanti dell’Eritrea i quali, per naturale e indiscutibile aspirazione, intendono di poter lavorare tranquillamente in serena attesa delle decisioni che il supremo organo mondiale vorrà prendere sulle sorti di questo territorio. Questa protesta dovrà concretarsi, per desiderio concorde espresso dalla popolazione, nella sospensione di ogni attività dalle ore 00 alle ore 24 di sabato 19 corrente. Il Comitato Rappresentativo degli Italiani in Eritrea (CRIE), invita la popolazione ad attuare tale manifestazione in perfetta disciplina, volendo essa manifestazione essere esclusivamente un monito della Collettività contro i negatori di ogni vivere civile e costituire un richiamo energico e risoluto a chi ha il dovere di tutelare l’ordine pubblico di questo territorio”. Contemporaneamente venne inviato un telegramma di protesta alla Segreteria delle Nazioni Unite a Lake Success. Questo il testo: “Il C.R.I.E. denunzia at opinione pubblica internazionale inerzia freddamente mantenuta Autorità britannica occupazione invocando autorevole efficace intervento O.N.U. at tutela et protezione vita ed averi abitanti Eritrea”. I funerali di Placido Guidara furono seguiti da una gran folla di italiani e nativi uniti nell’unanime cordoglio mentre tutte le seracinesche dei negozi rimasero abbassate. Alla cerimonia funebre in Cattedrale era presente il Vicario Apostolico dell’Eritrea, Mons. Giancrisostomo Marinoni che al termine della Sacra Funzione prese la parola per esprimere tra le altre cose: “Non ho bisogno di parole per destare negli animi vostri sensi di dolore e di deprecazione: basta uno sguardo a quella bara. Non ho bisogno per dire il dolore che tutti portiamo scolpito sulla fronte. Ciò che conta non è il dolore privato di una famiglia, ma il dolore di un popolo. Poco importa a quale nazione, a quale razza appartengono le vittime: è il dolore di un popolo, del mio popolo, del popolo che il Signore mi ha affidato. Ecco perché sento più profondamente la tragedia che viviamo. . . . . . Non spetta a me cercare le ragioni di questi delitti che turbano e sconvolgono la vita pubblica, né è mio compito investigare chi, consciamente od incosciamente, ha armato la mano di questi assassini che hanno ucciso i nostri fratelli, né tocca a me investigare per individuare chi va seminando l’odio e la vendetta in mezzo a noi. . . . . . Protesto a nome delle famiglie che vengono distrutte, a nome dei focolari che vengono spenti, a nome dei bambini che rimangono orfani. Protesto a nome di tutta questa gente non protetta e dominata dal terrore per quanto va succedendo e tutte queste proteste le faccio dinanzi all’Altare, nel nome di Dio, il quale ha comandato di non uccidere e nell’Evangelo che dice: Chi usa le armi, di armi perisce. . . . . . Invoco per voi la forza necessaria per perdonare, come invoco la cristiana rassegnazione alle famiglie così colpite. Invoco fiducia per tutta la nostra gente e vorrei che potesse giungere l’eco del mio appello a quelle Autorità che ci governano perché sappiano e vogliano proteggerci e difenderci. Abbiamo diritto alla vita: tocca a loro custodirci e riservarci questo diritto”. Il sabato 19 novembre 1949 fu un giorno di lutto che si manifestò anche con una sospensione dell’attività lavorativa degli italiani su tutto il territorio eritreo ed in particolare ad Asmara. In quello stesso giorno di così sentito dolore, sul Quotidiano Eritreo veniva pubblicato un comunicato dell’amministratore capo brigadiere Francis Greville Drew nel quale rimarcava che il destino dell’Eritrea era nelle mani dell’ONU ed era subordinato ai giudizi ed alle decisioni della IV^ Sessione che al momento non si era ancora espressa. Criticava duramente le azioni di protesta del CRIE che, dopo i fatti di Addi Ugri e gli altri assassinii, aveva invitato la popolazione ad attuare una sospensione delle attività lavorative per 24 ore. “Questa azione - sottolineava il comunicato - è chiaramente di natura politica e può solo aggravare la situazione”. . . . “. . si invita la popolazione ad astenersi da malconcepite attività, come proteste e scioperi che non possono che provocare risentimento presso gli avversari politici, esacerbando la presente situazione”. Non si era ancora spenta l’eco dell’imponente manifestazione di cordoglio per l’uccisione di Placido Guidara quando la sera del 26 novembre venne consumato l’ennesimo assassinio ai danni di un lavoratore italiano. Giovanni Peressini, 44 anni, proprietario di un autrocarro FIAT 634 effettuava da tempo il trasporto di legna da una concessione boschiva nella zona del Mareb verso Decameré percorrendo la strada di Mai Ainì. Completato il carico con qualche ritardo, soltanto verso sera era in grado di riprendere la strada del ritorno verso Decameré. Lo accompagnava, come sempre, l’aiuto eritreo ed occasionalmente alcuni taglialegna nativi. Ormai a buio, percorrendo un tratto di strada impervia, uno spostamento del carico obbligava ad una sosta per rimediare all’inconveniente. Fu in quel frangente che il gruppo venne circondato da una banda di scifta rivelatasi poi per quella di Uoldegabriel Mosasghì. Peressini ed i nativi venivano fatti scendere ed obbligati a cospargere l’autocarro di nafta ed appiccare il fuoco. Mentre le fiamme si alzavano violente l’italiano fu condotto a pochi metri di distanza ed obbligato a spogliarsi poi il capobanda ordinava ad un suo gregario di trucidarlo a pugnalate. Colpito da dodici colpi in varie parti del corpo, l’autista italiano moriva dopo breve agonia. Ai nativi terrorizzati, Uoldegabriel Mosasghì, ordinava di riferire al capodistretto del Tedrer, suo acerrimo nemico, che presto si sarebbe fatto vivo anche con lui. Il giorno seguente, in Decameré, ebbero luogo i solenni funerali del povero Peressini ai quali presero parte tutti i connazionali della cittadina, molti arrivati da Asmara e le più alte autorità con alla testa il Rappresentante del Governo Italiano in Eritrea, Conte Adalberto di Gropello. Il 27 novembre 1949 si riuniva in seduta plenaria il CRIE che deliberava di richiedere un incontro con l’amministratore capo F.G. Drew ed il consigliere politico presso la BAE, Cook, al fine di trovare una credibile soluzione al problema terrorismo e ribadire la decisa protesta “per il perdurare della insostenibile situazione che offendeva ogni legge di civile convivenza”. Durante un colloquio, avvenuto il 3 dicembre, la delegazione italiana rinnovava l’accusa all’ala estremista del Partito Unionista di fomentare il terrorismo a sfondo politico, come dimostravano i numerosi processi a carico di dirigenti unionisti e lo scioglimento dell’organizzazione estremista “Andinnet” ordinato mesi prima dalla BAE dopo l’assassinio del capo della Lega Mussulmana, Abdel Kader Kebiré, contraria alla federazione. Veniva ribadito il concetto che la popolazione italiana non accettava le inaudite affermazioni dell’amministrazione britannica che giustificava gli insuccessi dell’opera repressiva e di protezione della polizia per insufficienza di mezzi finanziari perché “ciò equivarrebbe ad affermare che l’equilibrio della bilancia finanziaria in Eritrea si debba raggiungere con il sacrificio di vite umane e la depredazione di pacifici cittadini”. La delegazione rinnovava infine la richiesta, più volte insistentemente espressa, che l’amministrazione applicasse i mezzi più idonei per porre fine allo stato di pericolo esistente in Eritrea. Le risposte dell’amministratore britannico, brigadiere Francis Greville Drew furono quanto meno sconcertanti ponendo subito in evidenza che la popolazione italiana e l’amministrazione britannica parlavano due lingue diverse e che in sostanza male si conciliavano ad un costruttivo colloquio e, confermando le difficoltà nella lotta di repressione, affermava che: “Non vi è dubbio che scifta e mandanti si considerino dei patrioti e come tali riscuotano simpatia tra la popolazione che evita di dare informazioni sui loro movimenti”. Sosteneva inoltre che a generare quello stato di cose aveva influito l’ingerenza di due nazioni, l’Italia e l’Etiopia, poiché: “Vi sono gravi sospetti tra le popolazioni locali che il Governo Italiano aiuti il Blocco dell’Indipendenza e ciò accentuerà l’attività terroristica”. Affermazione gravissima resa dall’ amministratore britannico poiché era da tempo evidente che non soltanto l’Italia e l’Etiopia potessero avere interesse alla questione eritrea ma principalmente l’Inghilterra che, tra l’altro, appariva estremamente tollerante verso il terrorismo che stava assumendo proporzioni inquietanti e sempre più speso faceva insorgere il sospetto che non si trattasse soltanto di tolleranza. Appena il tempo per leggere sui giornali i primi commenti al colloquio avvenuto il giorno prima ad Asmara che nel pomeriggio di domenica 4 dicembre veniva consumato l’ennesimo assassinio. Una banda di 18 scifta capeggiata da Hailé Abbai in compagnia di Ogbansé Igigiù, un eritreo nativo dell’Hamasien, piombava nel Campo Sperimentale Governativo di Elabì, presso Merara, nelle Pendici Orientali dove il capo vivaista Silvio Nardi di 60 anni prestava la sua opera dal lontano 1923. L’improvvisa irruzione sorprendeva i due gregari armati di fucile, lì distaccati dal Commissariato di Asmara a difesa della fattoria governativa, che venivano disarmati. Messi in allarme dall’abbaiare dei cani Silvio Nardi ed il suo domestico uscivano dall’ abitazione poco distante dal modesto corpo di guardia. Il domestico intuiva immediatamente le intenzioni del capobanda ed in ginocchio supplica di risparmiare il padrone. Hailé Abbai irritato lo percosse con il “curbasc” e rivolgendosi verso l’italiano gli sparava a bruciapelo un colpo di fucile al ventre. Quasi incredulo Silvio Nardi cadde a terra, dove venne raggiunto quasi subito da un secondo colpo sparato dietro l’orecchio che lo fulminava. Ogbasé Igigiù, che ben conosceva Silvio Nardi, assistette intimorito alla scena e venne redarguito duramente dall’etiopico Abbai che sbeffeggiandolo per il suo pavido comportamento ed indicando il corpo gli disse: “Hai visto come si fa ad ammazzare gli italiani”?
Compiuto l’assassinio la banda si diresse verso il villaggio di Ficcé dove, circa un’ora dopo, aggrediva il modesto posto di polizia nativa ferendo gravemente due dei gregari e disarmando gli altri. Si divisero quindi in più gruppi ed iniziarono a rastrellare le numerose aziende agricole della zona per devastarle ed alla ricerca dei proprietari italiani da uccidere. |