L’Eritrea per forza e per amore.
Vita e vicissitudini di un territorio africano.
Nicky Di Paolo, Gian Carlo Stella e Manlio Bonati

Indice

 

Premessa

1        

Primi passi in Africa. Missionari, viaggiatori, commercianti e consoli tra negus e deggiacc.
 
2    Dall’apertura del Canale di Suez ad Assab. Da Assab a Dogali ed oltre.
3 Da Dogali all'Asmara.
   

Indice delle schede

Antonio Baldissera
Antonio Rizzo
Cronologia 1800-1868
Giovanni Branchi
Giovanni IV
Guglielmo Massaja
Il Tallero di Maria Teresa
Ras Alula

2. Dall’apertura del Canale di Suez ad Assab. Da Assab a Dogali ed oltre.
 

Nel 1969 si inaugurò il canale di Suez: le aspettative politiche coloniali europee del decennio precedente rivolte all’Africa orientale ed al medio ed estremo oriente si basavano tutte sulla  prospettiva  di  questo avvenimento che cambiò drasticamente la geografia mondiale rendendo Europa ed Africa orientale subsahariana molto vicine.

Un certo ritardo invece lo registrò l’Italia che, come abbiamo già ricordato, aveva da pensare alla sua unificazione.

Nel decennio successivo, infatti, a parte una sporadica corrispondenza fra i soliti missionari, il sig. Rizzo e lo Stato sabaudo in via di divenire Stato italiano, c’è da registrare due soli eventi di rilievo: la sconfitta e l’uccisione di Negussiè da parte di Teodoro e l’acquisto della baia di Assab da parte della compagnia di navigazione  Rubattino, avvenuto  nel 1870.

Mentre quindi in Etiopia continuava la guerra fra i potenti ras e negus che miravano al dominio dell’impero, con molta calma il nascente Stato italiano inseguiva la sua modesta politica coloniale.

L’acquisto della baia di Assab, duramente criticato dai media di allora (Assab è nel sud della Dancalia, fra i posti più inospitali del mondo), oggi può essere sicuramente interpretato come un evento memorabile per l’espansione coloniale italiana che mirava fin dall’inizio non solo alle coste eritree del Mar Rosso, ma anche e soprattutto al cuore dell’Etiopia. Ed Assab, in tal senso rappresentava, e rappresenta ancora oggi, un obiettivo ben preciso.

Assab

Purtroppo l’acquisto venne contestato dalla Turchia, che si riteneva padrona di tutta la costa africana del Mar Rosso. Ne intimarono però vanamente l’immediata l’evacuazione. Ne seguì, più che una guerra fredda, una bega diplomatica che si trascinò per 12 anni.

Nello  stesso periodo si continuò da parte italiana a  trattare con Menelik (nel frattempo era sparito anche Teodoro, ma a contendere Menelik era apparso Cahsa re del Tigrai ) con l’obiettivo di attivare rapporti di “amicizia e commercio”.

Il nuovo ministro degli esteri dell’Italia unita, Emilio Visconti Venosta, operava ufficialmente sulla scia del Negri ed era un accanito sostenitore dell’espansione coloniale. Rispetto al suo predecessore aveva però la fortuna di usufruire di rapporti epistolari più rapidi e sicuri: la posta, che dopo l’apertura del Canale di Suez  impiegava poco più di un mese, permise un carteggio frequente che nei primi anni dell’ ‘80-‘90 sfociò nell’accordo con Menelik che permise di dare il via alla prima spedizione scientifica ufficiale italiana; quella guidata dall’anziano marchese Orazio Antinori che si recò nel  1875 in Etiopia.

Su quella terra, ebbe a scrivere: “su questa ingrata terra africana tutto è spinto all’eccesso: il vento è procella, la pioggia diluvio, il sole incendio”.

Altri italiani, nel frattempo, viaggiarono in altre parti dell’Etiopia, come Matteucci, Bianchi, Vigoni, Pennazzi, ecc.

Nel giugno 1881 una di queste spedizioni, comandata da Giuseppe Maria Giulietti, veniva attaccata in Dancalia e trucidata: erano le prime 16 vittime dell’avventura africana ed in Italia si gridò subito alla vendetta, ma verso chi? Il territorio era ancora tenuto nominalmente degli egiziani, ma questi avevano ufficialmente declinato responsabilità su eventuali esploratori ed i dancali che avevano perpetrato l’eccidio non erano certo facilmente rintracciabili; l’inchiesta che seguì non portò ad alcun risultato.

Menelik ed in particolare Cahsa, divenuto imperatore con il nome di Giovanni IV, diffidavano dell’amicizia di tutti gli stranieri, italiani compresi, mentre questi ultimi cercavano di giustificare in patria le spese ingenti che una qualsiasi avventura coloniale avrebbe richiesto.

Rimane ancora oggi famosa la beffa dell’esposizione italiana di Torino del 1884 dove i soliti africanisti fecero in modo, a scopo sensazionalistico, che fossero presenti principi e principesse dancali: che furono ricevuti a Corte, colmati di doni, e nel castello di Carimate venne perpetuato l’evento dal famoso pittore Campi nelle volte delle magnifiche sale, ma furono presto cancellate allorchè si seppe che le principesse altro non erano che donne di facili costumi e i principi facchini del porto di Assab.

Nel 1884 la spedizione Bianchi venne attaccata ed annientata mentre cercava di tracciare una possibile via tra Assab ed il Tigrai: tale evento, benché drammatico, si prestò alle esigenze del nuovo ministro Italiano Pasquale Stanislao Mancini, che con abili mosse politiche e diplomatiche riuscì con il consenso di Inghilterra e Francia, e senza opposizioni da parte degli Egiziani, ad effettuare una spedizione militare punitiva che tuttavia non sbarcò mai ad Assab. Durante il tragitto essa ebbe ordine di attraccare a Massaia ed occupare quella città.

Così il 5 febbraio 1985 entrava nel canale di Massaua il piroscafo “Gottardo”, seguita dalle unità della flotta reale “Principe Amedeo”, “Vespucci” e “Garibaldi”. In Massaua sventolò per la prima volta la bandiera italiana anche se per qualche tempo affiancata da quella egiziana.

Massaua

Se l’occupazione di Massaua lasciò l’Europa del tutto indifferente, non fu così per gli etiopici. Così scriveva re Giovanni a Menelik subito dopo l’occupazione di Massaua “ gli italiani non sono venuti da queste parti perché nel loro paese manchi il pascolo ed il grano, ma vengono qui per ambizione, per ingrandirsi, perché sono troppi e non sono ricchi. Con l’aiuto di Dio ripartiranno umiliati e scontenti e con l’onore perduto davanti a tutto il mondo… Come Adamo volle gustare il pomo proibito per l’orgoglio di diventare più grande di Dio ed invece non trovò che il castigo ed il disonore, così accadrà agli Italiani.”

L’occupazione di Massaua costò moltissimo: il caldo, le malattie, la disorganizzazione fecero in modo che nei due anni successivi ci fu un traffico ininterrotto di navi tra Napoli e Massaua. In Africa si doveva trasportare di tutto: materiali da costruzione, ghiaccio, alimenti, agrumi, animali, armi, etc., nonchè soldati, operai, medici, infermieri; le navi tornavano cariche più che altro di ammalati.

Nel dicembre 1885 gli egiziani vennero espulsi da Massaua, ed il territorio organizzato secondo le nuove disposizioni. Ua-à e Sahatì, posti tenuti dagli egiziani, vennero occupati dagli italiani e ciò non piacque agli Abissini che speravano riavere quelle località dopo l’abbandono degli egiziani.

Ras Alula, ras dell’Amasien, intimò agli Italiani di ritirarsi subito da Ua-à e Sahatì, ricevendone però un diniego.

Ras Alula

Antonelli, inviato dal governo italiano presso Menelik, che si trovava ancora in Abissinia, avvertì ripetutamente del pericolo incombente sugli italiani.

All’aggravarsi dei rapporti con ras Alula, rispondeva telegraficamente il giorno 25 gennaio 1887 il ministro Di Robilant al generale Carlo Genè che comandava allora il possedimento di Massaua: “Noi non abbiamo inquietudini perché fidiamo intieramente in lei e nelle sue truppe”.

Ma il 24 Gennaio Sahatì era già stato attaccato da ras Alula ed il 26 avveniva la strage di Dogali.

Il forte di Sahatì

L’attacco di Ras Alula infatti andò a vuoto il giorno 24, quando attaccò Sahatì, ma riuscì in pieno due giorni dopo contro la colonna del tenente colonnello Tommaso De Cristoforis, mandata in appoggio da Moncullo a Sahatì, e composta da circa 600 uomini; partita all’alba, giunse a Dogali, a circa metà strada da Sahatì, nel pomeriggio e lì fu attaccata dall’esercito abissino forte di almeno 10.000 uomini. Si salvarono solo 90 soldati ed un ufficiale, in gran parte feriti che riuscirono a raggiungere Moncullo.

Dogali, oltre a far prendere coscienza agli Italiani che l’avventura coloniale non era una passeggiata, stabilì alcuni punti importanti. Per prima cosa convinse gli abissini che gli Italiani erano battibili, specie dopo l’ingente bottino di armi e munizioni che la disfatta li procurò, in secondo luogo fece capire agli italiani che le poche migliaia di uomini presenti a Massaua erano nella impossibilità di difendere i pur piccoli confini che si erano dati. Genè chiese quindi all’Italia un immediato invio di un contingente di almeno 10.000 uomini con armi pesanti e navi di appoggio onde poter effettuare una controffensiva e nel contempo sollecitava l’autorizzazione a stringere alleanza con tutte le tribù confinanti con Massaua dando in cambio protezione ed aiuti economici.

In Italia la strage di Dogali sollevò un’infinità di polemiche e Agostino Depretis, primo ministro, decise per il momento di temporeggiare: al contrario di quanto proposto dal Genè, si creò una specie di blocco navale contro l’Etiopia cercando di controllare tutta la costa del sud del Mar Rosso e in questo riuscì diplomaticamente ad ottenere il consenso di Inghilterra e Francia. Diede al contempo disposizioni onde cercare di riallacciare rapporti di buon vicinato con ras Alula. Quest’ultimo addirittura offrì per primo la pace con gli italiani, ma pretese, fra le altre cose, la consegna di mille fucili: polemiche a non finire suscitò il fatto inconcepibile che tali fucili e relative munizioni gli furono consegnati. Secondo alcuni re Giovanni non avrebbe mai dato a ras Alula l’ordine di attaccare Sahatì.

Una cosa è certa: ras Alula era un grande e valoroso generale che aveva mostrato nelle precedenti battaglie a cui aveva partecipato una notevole intelligenza. E capacità di comando le mostrò anche a Dogali anche se lasciò sul terreno un numero maggiore di morti degli italiani. E’ certo che Alula poteva attaccare Massaua e ributtare a mare gli italiani. C’è chi ritiene che re Giovanni non volesse scacciare del tutto gli italiani per paura che qualche stato più battagliero e più preparato ne prendesse il posto: gli inglesi per primi, ma anche gli egiziani avrebbero potuto cercare una rivincita, senza tralasciare i francesi ed altri ancora. Alula in ogni caso aveva ottenuto ciò che si era prefissato, ossia rigettare  gli italiani sulla costa ed aumentare il suo prestigio personale.

Un fatto importante che troppo speso viene dimenticato dagli storici è che dopo il 1885 c’è da registrare oltre ad una storia militare, lo sviluppo di una storia “civile” se così la si può chiamare. Infatti Massaua da piccolo borgo diventò in tempi relativamente brevi una cittadina con un porto che lavorava molto e che registrava un continuo arrivo di coloni che, con la solita intraprendenza italiana, iniziarono a fare di tutto, ma soprattutto si avvalsero immediatamente dell’aiuto e della collaborazione degli eritrei: questi ultimi videro negli italiani non degli invasori, ma apportatori di lavoro e di benessere e persone che li sapevano curare dalle loro malattie e proteggere dalle razzie delle varie tribù confinanti. Queste ultime non ascoltarono tanto i bandi e gli inviti dei militari a mettersi sotto la protezione della bandiera italiana, quanto semplicemente le voci degli indigeni di Massaua che parlavano bene di quei bianchi che mostravano verso di loro molta simpatia.

Il rapporto subito instaurato tra italiani e indigeni realizzato dai civili fu molto più importante delle campagne militari ed anzi consentì di creare quel clima di fiducia che poi permise ai militari stessi di dar vita al corpo degli ascari eritrei.

Desideriamo ricordare qui alcuni nomi di questi pionieri che senza nessuna brama di conquista, vennero in Africa con una sola ambizione, riuscire a lavorare.

Acquisto Giuseppe dal 1893 con i fratelli Luigi e Vincenzo, agricoltori; Belli Leopoldo dal 1896, commerciante; Belluso Giuseppe dal 1886, impresario edile, Benedetti Fausto dal 1881, concessionario e commerciante; Bonetti Costanzo dal 1884 industriale ed ingegnere, Bonifacio Luigi dal 1888, meccanico; Caridi Bruno dal 1875 impresario ferroviario; Caserini Oreste dal 1886 commerciante di legnami, ferramenta e birra; Cavanna  Carlo dal 1888, agricoltore collaborò con il Franchetti alla piantagione sperimentale di Godofelassi; Derviniotti Teodoro dal 1885 commerciante; Di Paolo Nicola dal 1886 (il nonno di Nicky),  prima nel genio militare, poi  artigiano e commerciante di legnami; Ertola Carlo dal 1886, agricoltore e poi con i figli Luigi, Emilio, Ernesto, industriali (tabacco, carne, prodotti caseari); Falletta Domenico Salvatore dal 1887 con i figli Domenico, Francesco, ed il fratello Pietro sono stati un’importante famiglia di industriali che spaziorono dalle imprese di costruzioni, alle agenzie di trasporti, all’importazione e trattamento dei carburanti. Ad Asmara rimane il palazzo ancora chiamato “Falletta” nel centro della città e modello di splendida architettura coloniale italiana; Gandolfi Primizio dal 1887 industriale edile; Licata Antonio dal 1818, concessionario agricolo; Giannavola Vincenzo dal 1885, agricoltore con il figlio Arcangelo; Licata Antonio dal 1818, concessionario agricolo; Magretti Paolo,  medico dal 1883;  Negri Luigi dal 1879 coltivatore di tabacco; Naretti Giacomo dal 1875  costruttore di edifici e di mobili; Naretti Luigi dal 1876, fotografo; Nerazzini Cesare dal 1882, medico; Pupuzzachi Michele dal 1880, industriale alimentare; Pestalozza Giulio, dal 1886 funzionario governativo, Polisco Angelo dal 1887, decoratore; Pugliese Alberto industriale meccanico dal 1888, Rossi Ernesto dal 1889, trasportatore  e agricoltore; Stella Giovanni dal 1849, pioniere  e missionario lazzarista e concessionario: importò il fico d’india in Eritrea.

Ne avremo dimenticati molti, e ci scusiamo con le famiglie dei pionieri non ricordati.

In quegli anni gli inglesi, benchè proteggessero Re Giovanni, si dimostrano molto tolleranti con la politica coloniale italiana e correva voce che i francesi preferissero nel Mar Rosso gli italiani piuttosto che gli inglesi. In Italia intanto Francesco Crispi succedette ad Agostino Depretis: il nuovo primo ministro (che all’inizio fu contrario alla occupazione di Massaua), mostrò subito la volontà di volere la rivincita di Dogali facendo approvare dal parlamento italiano la somma di 20.000.000 di lire per preparasi alla guerra; nel contempo operò diplomaticamente e con successo in modo che fallissero i tentativi inglesi di mediare un accordo con re Giovanni. Mediazioni intercorsero tra gli inglesi e re Giovanni, che però essendo un fiero monarca non accettò compromessi: voleva cacciare gli Italiani dalla sua terra.

Nell’ottobre del 1887 prese il comando della spedizione per la riconquista di Sahatì  il generale Alessandro Asinari di San Marzano, con l’ordine di Crispi di rioccupare la località e costruire una ferrovia a scartamento ridotto che la collegasse a Massaua per permettere rapidissimi scambi di truppe e materiale bellico.

A Massaua pochi mesi dopo erano presenti circa 20.000 soldati compresi i primi 1900 basci-buzuk, oltre ad una squadra navale della regia marina. Frattanto un numero sempre maggiore di tribù chiedeva di entrare a far parte del protettorato italiano.

Col San Marzano giunse anche il generale Antonio Baldissera ed il colonnello Oreste Baratieri, assieme a tanti altri ufficiali poi divenuti noti: l’Italia cominciava a fare le cose in modo serio.

Palazzo coloniale a Massaua

Sahatì fu rioccupata silenziosamente, senza bisogno di alcuna battaglia e fu iniziata immediatamente la costruzione di imponenti opere di difesa. Re Giovanni, informato della perdita di Sahatì, scese dall’altipiano con un esercito immenso e con la speranza di attrarre fuori dalle fortificazioni gli italiani, si accampò nella piana di Sabarguma in paziente attesa. Ma questa volta gli italiani agirono con astuzia e non si mossero: in pochi mesi le carestie, le malattie degli uomini e degli animali, la carenza di acqua ed il caldo costrinsero l’esercito di re Giovanni a ritirarsi sull’altipiano.

Secondo alcuni, gli abissini furono impressionati ed impauriti anche dalle mongolfiere innalzate dagli italiani per studiare il campo nemico (“possiamo affrontare un esercito di uomini, ma non un esercito di Dio che viene dal cielo…” ) e dai fari elettrici montati nei forti .

La ritirata abissina fu disastrosa e ne approfittarono i dervisci che attaccarono Gondar e l’esercito ancora in fuga facendo prigionieri oltre 11.000 cristiani.

Sistemata Massaua riprese il gioco politico con l’Etiopia. La chiave di Crispi era Menelik: se fosse riuscito a tirarlo dalla sua parte promettendogli il trono di tutta l’Etiopia (come del resto avevano fatto gli inglesi con Re Giovanni), avrebbe avuto molte più probabilità di conquista. Ma Menelik concedeva poco e solo in cambio di fucili e relative munizioni. Nel dicembre 1887 lo stesso Crispi  approvava l’invio di 5000 fucili Remington a Menelik, come suggeritogli dall’Antonelli che ancora fungeva da inviato italiano nello Scioa: Menelik si propose anche come mediatore di pace fra l’ Italia e Re Giovanni, sperando di stare fuori della mischia per raccattarne poi i benefici.

Ma se la politica di Menelik non era onesta (da una parte blandiva gli italiani e dall’altra assicurava Re Giovanni della sua fedeltà), non può neppur dirsi che la nostra fosse sincera e leale, quando le lettere del governo italiano erano piene di promesse che non esistevano programmi espansionistici.

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